Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

Dell'Etimo Tarocco

Dalla Grecia antica al mondo arabo e da questo all'Italia

 

Andrea Vitali, giugno 2008

 

 

In seguito alle nostre ricerche abbiamo reperito numerosi documenti spazianti dal Duecento a tutto l’Ottocento, grazie ai quali possiamo senza alcun dubbio affermare che con la parola tarocco si intese desumere il nome di quel gioco dalla carta del Matto, tanto che l’autore seicento Andrea Moniglia lo espresse chiaramente attribuendogli il significato di Balordo 1, termine che in italiano è sinonimo di pazzo 2. Che un gioco di carte abbia preso il suo nome da una carta dei Trionfi è d’altronde cosa non inusuale come da noi evidenziato trattando del gioco delle minchiate che in Liguria e Sicilia era chiamato gioco dei Ganellini o Gallerini, termini con cui veniva identificato, al singolare, la carta del Bagatto 3.  

In un nostro saggio 4 abbiamo evidenziato una serie di documenti (ma l’elenco potrebbe essere ulteriormente ampliato) dove il significato di tarocco = matto risulta inequivocabile. Occorre sottolineare che il termine tarocco, anche nella sua versione taroch o tarochus 5, è stato interpretato in alcuni di questi documenti come idiota o folle dai filologi moderni, mentre in altri documenti, che ne costituiscono la maggior parte, il significato di tarocco come folle, matto, idiota, è espressamente chiarito dagli autori, mentre a volte si evince per correlazione come testimonia un documento cinquecentesco dove il nome veneto del vento theroco, nella variante di un medesimo testo viene chiamato vento scirocho, vento che nella tradizione italiana è ritenuto rendere folli le persone 6.  

 

Come evidenziato altrove 7, il termine Tharocus può essere messo in relazione anche con Bacco, in riferimento alla follia che caratterizzava i riti orgiastici svolti in suo onore.

 

La parola tarocco deve farsi derivare dal mondo arabo, il quale lo ereditò dalla lingua greca antica 8Taraché, sinonimo di Tárachos ricorre in fonti più antiche rispetto al secondo e anche ellenistiche, con diversi significati: 1. disordine fisico, soprattutto dell’intestino; 2. disordine mentale; 3. disordine che si impadronisce di un’armata, o una mandria, o un popolo; 4. disordine politico, tumulto. Alcuni esempi dell’uso nella seconda accezione, quella di disordine mentale:

 

Pindaro (Olimpiche, 7.30): «La mente stravolta [hai dè frenôn tarachài] svia persino il saggio»

Platone (Fedone, 66b): «Questo intruso [il corpo] ci assorda, ci dà agitazione [tarachèn], ci disarciona [la mente]»

Platone (Repubblica, IV 444b): «È nel disordine e nella confusione [tarachèn kài plànen] di queste parti dell’anima che consistono l’ingiustizia, l’intemperanza» etc.

Ivi (IX 577e): «[L’anima] sempre trascinata violentemente dalla passione sarà piena di agitazione [tarachês] e di rimorso»

Ivi (X 602d): «[Le illusioni ottiche] gettano disordine [tarachè] nella nostra anima»

Tucidide (Guerra del Peloponneso, III 79): «[I peloponnesiaci] non erano più inclini ad attaccare la città [Corcira], malgrado i suoi abitanti versassero in uno stato di grande confusione [en pollè tarachê] e paura»

Sorano di Efeso (Delle malattie delle donne, I, 46): «[Dopo la concezione] lo sperma può essere espulso [dall’utero] per l’effetto di diverse cause: uno spavento, un dispiacere, un piacere improvviso, e in generale ogni profondo sconvolgimento psichico [dianòias ischyràn tarachèn].

 

Questo termine passò in seguito nel mondo arabo. Una delle etimologie che ha avuto maggior credito, anche nei dizionari etimologici delle altre lingue europee (poiché il gioco dei tarocchi comparve in Italia, il vocabolo corrispondente nella lingua francese, inglese, tedesca, ecc, è quasi sempre derivato dall’Italiano) 9, è quella che riconduce i Tarocchi, come carte, a Tara, la cui origine è oramai accertata dall'arabo Tárah, forma colloquiale per Tarh “detrazione, defalco” cosa che si pone in disparte, che si toglie via”, poi anche “difetto, imperfezione”. Ciò deriverebbe dal verbo arabo Taraha, con significato di “togliere, sottrarre”, in lingua italiana "tarare" 10

 

La parola tarocco, che significa matto, imbecille, idiota, è equivalente a tarato, cioè mancante di intelletto, in quanto al soggetto è stato tolto, defalcato, un certo quoziente intellettivo. Con il termine tara si indica anche una anomalia o malattia ereditaria. In lingua castigliana, abbiamo il sostantivo Tarea, sempre derivante dalla stessa radice araba, con medesimo significato di vizio, difetto: «Es interesante que este mismo verbo también nos dia la palabra Tara en sentido de "vicio" y "defecto"».

 

Il primo documento conosciuto in cui appare il termine Tarocho in riferimento al gioco si trova in una Berzelletta di un anonimo autore italiano stampata a Brescia verso il 1502 11:

 

…Si a tarocho ho già giocato

Mai mi uien el bagatella,

Mai el mondo māco el matto

Ne giustitia meschinella,

Langiol mai con sua fauella

Non mi uien a uisitar.

       Maladetto sia il giocar.

 

Un secondo riscontro si trova in un registro di conti della corte estense relativo al secondo semestre 1505 in una annotazione datata al 30 giugno per ricomparire una seconda volta nello stesso registro al 26 dicembre.

 

Di seguito intendiamo offrire una panoramica su come la parola tarocco venne interpretata nei secoli passati oltre a fornire alcune interpretazioni di studiosi contemporanei, rammentando comunque che il suo significato di matto risulta oramai ben chiaro.

 

Contrastanti significati caratterizzano le interpretazioni del termine tarocco negli autori del Rinascimento, tutte incerte sulla conoscenza dell’etimo (12).

 

Il Lollio nella sua celebre Invettiva così definisce il suo amato-odiato passatempo: “…quel nome bizzarro / Di tarocco, senza ethimologia, / Fa palese a ciascun, che i ghiribizzi / Gli havesser guasto, e storpiato il cervello. / Questa squadra di ladri, e di ribaldi, / Questi, che il vulgo suol chiamare Trionfi, / M’han fatto tante volte si gran torti,/ Si manifeste ingiurie, ch’io non posso / Se non mai sempre di lor lamentarmi /…” 13.

 

Nel Capitolo del Gioco della Primiera Francesco Berni scrive che “…viso proprio di tarocco colui a chi piace questo gioco, che altro non vuol dir Tarocco che ignocco, sciocco, balocco degno di star fra fornari et calzolai et plebei a giocarsi in tutto di un Carlino in quanto a tarocchi, o a trionfi, o a Smischiate che si sia, che ad ogni modo tutto importa minchioneria et dapocaggine, pascendo l’occhio col sole, et con la luna, et col Dodici come fanno i puti” 14.

 

Ma il giurista Andrea Alciati, il celebre autore degli Emblemata in un’altra sua opera, il Parergon Juris apparsa per la prima volta nel 1538, al Cap. XVI intitolato De ludis nostri temporis così interpreta l’etimo della parola: "Interrogatus sæpissimè fui, an veteres lusum chartularum haberent, quo transigere tempora otiosi maximè solent. Respondi, nusquam me hoc legisse: habuisse quidem alios lusus, quos Iul. Pollux lib. IX. recenset: hunc verò, quod equidem sciam, nemo prodidit: tametsi ille, qui vulgò Tarochorum dicitur, Græcum etymum habeat. possunt enim [hetarochoi] ii sodales dici, qui cibi causa ad lusum conveniunt, & chartulis hoc ferè ordine lusitant".

 

(Mi hanno chiesto moltissime volte, se gli antichi avevano il gioco delle carte, col quale oggi gli oziosi sono soliti preferibilmente trascorrere il loro tempo. Ho risposto di non averlo letto da nessuna parte: per la verità avevano altri giochi che Giulio Polluce passa in rassegna nel 9° libro. Ma di questo, per quanto ne so, nessuno ha mai parlato; sebbene quello che volgarmente viene detto gioco dei tarocchi abbia un ètimo greco. Possono infatti chiamarsi hetarochoi quei ‘compagni’ che si riuniscono a giocare per il cibo e sono soliti giocare le carte generalmente in questo ordine).

 

Mundus habet primas, croceis dein Angelus alis:
Tum Phœbus, luna, et stellæ, cum fulmine dæmon:
Fama necem, Crux ante senem, fortuna quadrigas:
Cedit amor forti et justo, regemque; sacerdos:
Flaminicam regina præit queis caupo propinat
Omnibus, extremo stultus discernitur actu 15.


Il mondo ha il primato, poi l’angelo dalle ali dorate;
poi Febo, la luna e le stelle, col fulmine il demonio;
la fama precede la morte, la croce il vecchio, la fortuna il carro;
l’amore cede al forte e al giusto, il sacerdote precede il re,
la regina precede la flamminica 16, l’oste offre da bere
a tutti costoro, infine il matto si riconosce dal comportamento.

 

L’ordine dei Trionfi citati risulta il seguente: Mondo, Angelo, Febo (Sole), Luna, Stelle, Fulmine (Torre), Diavolo, Fama, Morte, Croce (Appeso), Vecchio (Eremita), Fortuna, Carro, Fortezza, Giusto (Giustizia), Amore, Sacerdote (Papa), Re (Imperatore), Regina (Imperatrice), Flamminica (Papessa), Oste (Giocoliere), Stolto.

 

Occorre rilevare che la parola hetarōchoi, in greco nel testo, non è traducibile. Esiste invece hetairos che significa compagno, amico, che l’Alciati traduce in latino con sodalis.

 

Anche l’anonimo autore del Discorso, perché fosse trovato il Giuoco, e particolarmente quello del Tarocco 17 fa derivare il termine dalla lingua greca: “Tarocco in lingua Greca altro non vuol dire, che salso e pretioso condimento, nome veramente conveniente e proprio, essendo questo di diverse cose fatto in concime (sic) saporito di acutezze e giovevoli contemplazioni ripieno, e perciò pretioso e solo fra tutti gli altri degno di essere tenuto in pregio, essendo tutti gli altri a paragone di questo, schiocchi e d’invenzioni privi, e di giudizio, che ad altro non tendono, che à fine pernicioso e brutto”. A questo proposito occorre dire che nella lingua greca esiste il verbo Tarichèuo il quale significa ‘mettere a seccare sotto sale’, in salamoia e per estensione anche ‘mummificare’. Inoltre, i sostantivi Tàrichos e Tàrichon significano ‘carne (o pesce) conservata sotto sale’ e per estensione ‘mummia’ 18. Questi sostantivi passarono al Latino dove abbiamo Tărīcus (Tarichus), a, um ‘et dicitur de salsamento piscium et de carne quae sit sale condita’19.

 

Nell’Iconologia del Ripa il termine Tarochino è menzionato come nome comune di una specie di pappagallo. Così il Ripa nella descrizione della Divotione “Donna giovanetta vestita semplicemente di bianco, starà con ambi le braccia aperte in atto di abbracciare qual si voglia cosa, che sé gli rappresenti avanti, con dimostratione preghevole, & d'inchinarsi altrui, & al petto per gioiello harà un specchio; Harà il capo adorno da vaga e bella acconciatura, sopra la quale vi sarà con bella gratia un Tarochino spetie di Papagallo, overo una Gazza…” 20. Sempre trattando della Divotione il Ripa afferma che una delle sue prerogative principali consiste nella ‘docilità’ che l’autore mette in rapporto simbolico con il Tarochino: “Tiene in capo con bella gratia il Tarochino overo Gazza, perché questi uccelli sono docilissimi nel imitare le parole, & la voce umana, onde del Tarochino Monsignor della Casa si dice:

 

Vago augelletto delle verdi piume
Che pellegrino il parlar nostro apprendi.

 

Per questa sua docilità e per il fatto che viene descritto come uccello pulitissimo “è lo più necto uccello che ci sia” nel Medioevo divenne addirittura simbolo del Cristo, in quanto “fu ello solo in del mondo di neteçça, ché tutti l’altri homini sono lordi” 21. Poiché il pappagallo porta sopra il capo delle piume quasi a comporre una specie di parrucca, Tarochino potrebbe stare per Parochino (in lingua francese e inglese pappagallo si traduce con Parrot). Dato che il termine si trova tuttavia ripetuto per due volte in forma identica in maiuscolo all’interno del testo, risulta difficile poterlo considerare come un errore (T per P). In ogni modo, se abbiamo parlato di questo uccello è per ricordare l’espressione “parlare come un pappagallo” vale a dire ripetere in continuazione certe parole udite, che fanno apparire matti coloro che lo fanno. Al riguardo, ecco quanto disse un maestro ai fanciulli ai quali stava insegnando: “Maestro. Fanciulli miei, ditemi, sa parlare un bue? – Un fanciullo. Oh, nossignore, il bue non sa parlare. M. E la pecora, il cavallo, la gallina sanno parlare essi? – F. Neppure perché gli animali non parlano – Un altro fanciullo. Oh, sissignore, che vi sono animali che parlano: il pappagallo p. es. è un animale che parla. M. (Rivolgendosi a quest’ultimo) Avete ragione; ma il pappagallo non fa che ripetere qualche parola a forza di averla udita, senza conoscerne il significato. Vi pare che si potrebbe tenere un ragionamento con un pappagallo?” 22. Il parallelo con i matti appare inequivocabile, dato che quando parlano sostenendo di aver ragione, continuano a ripetere le stesse cose senza coscienza.

 

Come abbiamo visto precedentemente, il gioco dei Tarocchi venne nel Rinascimento molto lodato. Altri esempi in tal senso si riscontrano nel famoso testo di Francesco Piscina Discorso sopra l’ordine delle figure dei tarocchi (Monte Regale, 1565) e nel Syntagma iuris universi, (Lione, 1582) del giureconsulto e canonico Pierre Gregoire il quale scrive “Tuttavia furono inventati giochi di carte, nei quali mentre si gioca appaiono le tracce di una certa erudizione, come nei tarocchi, e in quelli insieme ai quali sono state composte massime sacre e di filosofi, presso il tipografo Vuechello di Parigi. Per il resto, di quelli e di giochi simili abusa l’umana cupidigia, finché c’è di mezzo il denaro e il desiderio di possederne” 23.

 

Continuando a descrivere quanto si riteneva sul significato della parola tarocco e la sua etimologia, anche se oggi ne siamo a conoscenza, quale gioco di carte vari dizionari davano l’etimo come incerto o ignoto. Una valutazione che avviene ancora oggi consultando, ad esempio, il Vocabolario Treccani. Altri proponevano vari tentativi di derivazione etimologica, alcuni davvero fantasiosi. Fra questi: Taro(t) come anagramma del latino Rota, fusione di improbabili parole egizie significanti ‘via’ e ‘re’, dunque ‘via regia’.  Ad esempio, Antoine Court De Gébelin, iniziatore della dottrina esoterica dei tarocchi, nell'ottavo volume della sua monumentale opera Le Monde Primitif 24 fece fantasiosamente derivare l'etimo dalle parole egizie Tar, sentiero o strada, e Ro, Ros o Rog, significante re o reale, cosicché ‘tarocco’ avrebbe significato "strada reale della vita" 25

 

Un tempo si tendeva a pensare che il termine Tarocco / Tarocchi traesse origine dal tipo di decorazione delle carte stesse, dette a Tara, dal latino volgare Taràre, variante del verbo classico Térĕre, cioè cospargere di punteggiature. La lavorazione in rilievo e punteggiata delle carte prima (e poi dei dorsi delle stesse) ricondurrebbe alla buccia scabrosa e aurea delle arance di Sicilia omonime. Nel Dizionario etimologico della lingua italiana di Ottorino Pianigiani (Firenze, 1907) alla voce Tarocchi è scritto: "Fr. tarots [onde Taroté, marcato di segni alla guisa de' tarocchi]; ted. taroke: antico gioco italiano di carte...Le carte dei tarocchi si vedono per solito dipinte con finezza, a guisa di miniature sopra un fondo dorato, cosparso di punteggiature formanti graziosi arabeschi e contornato di un fondo argentato, nel quale le solite punteggiature raffigurano un nastro girante a spirale. Senza dubbio questa Tàra, ossia stampa o impressione fatta di piccole punteggiature allineate con ordine [cfr. basso latino taràre, forare, affine al latino classico tèrere: battere], deve aver dato il nome ai tarocchi, di cui le carte attuali ricordano l'antica origine, quando hanno il tergo coperto di arabeschi o punteggiature in nero o in colore. [Vi è poi chi nota come il francese tarot designasse anche un dado, portante a ciascun lato un numero di buchi neri; il nome potrebbe essere passato poi al gioco stesso delle carte]. Deriv. Taroccàre”.

 

Altri ritennero che il nome derivasse dal verbo Taroccare, adattamento dal verbo Altercari / Altercare, rispondere con una carta più potente 26, e disputare con alcuno, "brontolare, protestare vivacemente, crucciarsi in particolare a causa di una forte alterazione emotiva, imprecare, sbuffare, andare in collera" 27, significando inoltre "Trovare da ridire, far critiche malevole" 28. Nel dialetto ferrarese ancora oggi tarocar significa arrabbiarsi e anche falsificare, mentre tarocada equivale a stupidaggine, cretinata e truffa. Da "Taroccare" deriverebbe la parola Taroccone a indicare chi è solito taroccare, chi s'impazientisce e rimprovera 29. Nel dialetto siciliano Taroccu significa bestemmia come troviamo in questi versi dell'Abate Giovanni Meli del secolo XVIII tratti dal 'Primu Cantu' (Primo Canto) del suo poema D. Chisciotti, e Sanciu Panza: "Un taroccu pantoticu, a l’usanza / D' un jucaturi, chi ’ntempu d’un nenti / Perdí tutta la summa, chi ci avanza" (Una bestemmia solenne, grande, al modo di un giocatore che in un battibaleno perde tutta la somma che gli era rimasta) 30. Se si considera che il termine Minchiata proviene dal latino Mentula, il pene, a significare una cosa di poco conto, una bazzecola, una quisquiglia, cretinata o stupidaggine (in italiano e in numerosi dialetti le “stupidaggini”, intese come cose senza valore, e fra queste il gioco delle carte, vengono rese con termini derivati dai nomi dell’organo sessuale maschile), appare plausibile accomunare il significato di “tarocco”, vale a dire 'matto, folle' a quello di “minchiata” nel senso di stupidaggine, cosa di poco valore, così come troviamo espresso dal Berni.  'Altercare' nel senso di rispondere con una carta più alta si imparenta con "sminchiare", termine utilizzato dai giocatori bolognesi quando sono "di mano" per chiedere al compagno di intervenire con il trionfo più importante. Alcuni sostengono che Minchiata possa derivare da questo ultimo termine. La parola Germini che venne sostituita da Minchiate per indicare i tarocchi in Toscana sembrerebbe derivare da Gemini, cioè il segno dei Gemelli che nell'elenco dei segni zodiacali risulta essere il più alto in quel gioco.  

 

Veber Gulinelli suggerì una derivazione dal binomio letterario latino medievale Tartarus oculis, che in volgare significa ‘inferno, occhi’, ossia Tarocchi, per evidenziare secondo la morale cattolica che quelle carte erano gli occhi dell'inferno o del demonio, per dannare chi le usava 31.

 

Per lo storico della mistica Gerardo Lonardoni la dottrina celata nel tarocco sarebbe da ritrovarsi in due sistemi simbolici di origine orientale, e cioè gli Shivasutra o aforismi di Shiva di origine induista, e le Tare tibetane di origine buddista. Gli Aforismi di Shiva sono 78, suddivisi in tre capitoli o ‘dischiudimenti’ il più importante dei quali si compone di 22 aforismi; segue il secondo dischiudimento di 10 aforismi e il dischiudimento minore di 46. Le Tare tibetane sono in numero di 22, ognuna delle quali mostra caratteristiche proprie ben definite e possiede una propria preghiera, un proprio mantra e così via. In questi sistemi simbolici, che sono state dettagliatamente analizzate nell’opera La Via del sacro acui facciamo riferimento, le attribuzioni numeriche sono corrette: infatti 22 è il numero cui si riferiscono le Tare e il principale dischiudimento degli Shivasutra, e 10 è il numero cui si riferisce il secondo e meno importante dischiudimento degli Shivasutra 32.

 

Così scrive il prof Cardini nella presentazione all’opera di Lonardoni «Sono stati alcuni grandi iconologi e storici dell’arte, dal Krautheimer al Wittkower, al Baltrušaitis, a introdurci nel mondo straordinario della “migrazione dei simboli”: un mondo che fino ad alcuni decenni fa sembrava riservato alle fantasie erudite, ma sovente funamboliche, di alcuni esoteristi assetati di mistero e che, d’altro canto, era stato visitato, con risultati qualche volta incredibili ma comunque di grande fascino, anche da antropologi ed etnologi da una parte, psicanalisti e psicologi del profondo dall’altra. Ormai, dopo il dibattito lungo, estenuante e magari “superato” (nel senso di accantonato), mai però davvero risolto, tra diffusionisti e strutturalisti e dopo le profonde indagini relative alle analogie tra i sistemi fonetici e l’immaginario, siamo giunti alle conclusioni che Umberto Eco ha saputo, da par suo, tradurre in termini di dotta e divertente ironia: la realtà è una trama strettissima di somiglianze e di coincidenze, e poiché in fondo noi possiamo immaginare il mondo solo attivando un numero abbastanza limitato di forme-base e di numeri-base, è abbastanza naturale che “tutto si tenga” (o sembri tenersi) e che non ci sia nulla che non si possa leggere come l’aspetto esterno di una profonda, insondabile verità. D’altro canto, gli antropologi culturali c’invitano, quando si consideri un monumento, un manufatto, un’immagine, a non fermarci mai – quando proprio non si possono evitare le secche del ricorso ai vecchi strumenti comparativistici – agli aspetti morfologici delle cose, ma a indagare sempre anche quelli connessi con i contesti e le funzioni….Ecco perché si resta stupiti e in fondo diffidenti dinanzi a questo saggio ricco di erudizione e d’intuizioni, nel quale s’insegue un complesso mitosimbolico legato alle forme e ai colori della dea Tara, la principale divinità induista accolta nel buddhismo, la Stella del Polo Nord distinta in varie forme – le ventun “emanazioni primarie” caratterizzate da colori differenti, tra i quali primeggiano il bianco e il verde. Pericolosa consigliera, l’omofonia: ma davvero si deve per questo far finta di niente dinanzi alla somiglianza tra la Tara indiana, la tariqa degli arabi e la parola “tarocco”? Non abbandoniamoci con la beata fiducia degli esoteristi dilettanti – ai quali basta che una teoria sia diversa da quelle dei noiosi “scientisti” per convertirsi ad essa – alla magia del 4, del 22, del 56 e del 78 che questo libro suggerisce. Leggiamolo con vigile coscienza, alla caccia degli errori, delle approssimazioni, delle forzature e delle incongruenze. Ma non neghiamone la fondatezza quanto meno induttiva e indiziaria. Vi sono davvero più misteri in cielo e in terra di quanti non creda la nostra filosofia» 33.

 

Riguardo al termine Tārā 34, il prof. Jacques May, emerito dell’Università di Losanna, buddhologo di grande fama, specialista della corrente mahayanica del vijñānavāda-yogācāca, rammenta come l’autorevole dizionario di pāli della Pāli Text Society rinvii a una possibile origine anaria (semitica) del termine. Si riteneva infatti che Tārā e tutti gli altri lemmi simili (teonimi e no) derivassero dalla radice indoeuropea Tř- (o Tr -).

Si allude qui a Tāraka, Tārakā, Tārikā Tārana, Tāranī, Tārinī, alcuni dei quali ancora presenti anche nelle lingue moderne dell’India. In quanto formati dal causativo di Tř- (tār-) significano: salvatore, redentore, conservatore, liberatore, passatore, astro. In lingua hindi, per esempio, il sostantivo maschile Tārā vale oggi: stella, astro, pupilla degli occhi, persona, casa; sicché si dice “tum merī ānkhom ke tāre ho: sei la luce degli occhi miei”.

Tārā, poi, era la Salvatrice, la Passatrice, una dei dieci aspetti (mahāvidyā) della Sakti; “Stella” la paredra, cioè la compagna del dio Brhaspati, rapita dal dio lunare Soma-Candra; la moglie del re degli Scini Vālin nell’epoca del Rāmāyana. Tāranā e Tārī sono anche i nomi della ‘barca’, come quella che fa passare all’altra sponda. Specialmente nel buddhismo mahayanico e tantrico essa assunse notevoli funzioni nell’India, a Giava e nell’Asia sudorientale del VI secolo. E infine in Tibet dove il suo nome è reso con SGrol-ma (Cinese: Tuolo – Giapponese: Tarani bosatsu – Mongolo: Daracke).

Essa è la Liberatrice, la Salvatrice, la ‘Stella della Redenzione’, la Compassione attiva, la Forza Misericordiosa, del ‘Dhyānibodhisattva’ Avalokiteśvara: “Il Signore (íśvara) che guarda (lokita) in giù (ava)” il Signore che ci considera. È Colei che ci fa passare dall’altra parte, identificata con la perfezione della sapienza (una delle sei perfezioni dei bodhisattva), la Prajñāpāramitā: “La Sapienza (Prajñā) ita (itā) di là (param)”.

Tuttavia, ‘stella’ è il significato prevalente. Ed è vero che, risalendo secoli e millenni, le radici, rispettivamente indoeuropee e semitiche, sembrano convergere. Il trilittero semitico ŢTR e la radice STĔR indoeuropea sono molto simili (STER / STĔR / STR-). Quali dei due è anteriore? Se il semitico (accadico) ha influito sull’indoeuropeo non deve essere avvenuto certamente quando Ciro l’achemenide conquistò Babele/Babilonia, sconfiggendone l’ultimo re, nell’ottobre del 539 a.C., e liberando gli Ebrei dalla loro cattività, ma ben prima.

Dal semitico abbiamo il nome della Grande Dea che sostituisce la sumerica Inanna, cioè Ištar con tutte le sue varianti. Un bell’esempio di questo incrociarsi è il nome della regina ebraica ESTHER: dal semitico o dall’iranico STĂR - .

 

Note

 

1. Si veda Il significato di Tarocco in Andrea Moniglia - 1660.

2. Per una panoramica dei molteplici etimi inerenti alla pazzia nella lingua italiana si veda Il significato della parola Tarocco.

3. Si veda Trattato del gioco delle Minchiate.

4.  Tarocco sta per Matto.

5.  Ross Sinclaid Caldwell ha fatto notare come la parola Tarochus con il significato di idiota, pazzo, si ritrovi in una maccheronea di Bassano Mantovano di fine sec. XV.

6. Si veda Vento Theroco.

7. Si veda Tharocus Bacchus est.

8. Si cfr: Henry George Liddell, Robert Scott, Henry Stuart Jones, and Roderick McKenzie, A Greek-English Lexicon (Oxford, Clarendon Press, Edizione 1996).

9. In Avignone, dove vi fu una grande attività di produzione di carte da gioco, troviamo nel 1507 la parola tarau(x).

10. Una medesima disamina di questa derivazione etimologica venne compiuta nel 2006 da Jess Karlin.

11. Barzelletta Nuova qual tratta del giuoco, dal qual ne viene insuportabili vitii, a chi seguita ditto stile, gionge a increpabil morte, Brescia, Bernardino Misinta, s.d., [c. 1502]. La scoperta di questo documento si deve a Thierry Depaulis che ne fece ampia disamina nel giornale della Playing- Card: «Entre farsa et barzelletta: jeux de cartes italiens autour de 1500», The Playing-Card, vol. 37, no. 2, Ott.-Dic. 2008, pp. 89-102.

12. Alcuni documenti di quel periodo attestano che il gioco dei Trionfi era distinto dal gioco dei Tarocchi, come troviamo negli Statuti della Città di Crema del 1536: “Quilibet possit ludere ad tabulas et schacos et triumphos et tarochum de die et de nocte”. Statuta Municipalia Cremae, Venetiis, Pincius 1536, III. "De poena ludendi et de domo in qua luditur", folio 89r. Questi Statuti danno l’opportunità di giocare non soltanto “ad tabulas et schacos” ma anche a “triumphos et tarochum” sia di notte che di giorno. Sul gioco dei Trionfi a iniziare dal sec. XVI in poi, si veda Trionfi, Trionfini, Trionfetti. Nel presente articolo, per Tarocchi si intende il gioco composto da 22 trionfi.

13. Flavio Alberto Lollio, Invettiva di F. Alberto Lollio accademico Philareto contra il giuoco del tarocco, ms. 257, cc. 30, 1550, Ferrara, Biblioteca Ariostea.

14. Francesco Berni, Capitolo del Gioco della Primiera col Comento di messer Pietropaulo da San Chirico, Roma, per F. Minitio Calvo, M.D.XXVI [1526], s.n.p. Viene qui evidenziata dall'autore la distinzione fra gioco dei Tarocchi e gioco dei Trionfi che in effetti era altra cosa. Si veda al riguardo Trionfi, Trionfini, Trionfetti.

15. ΠΑΡΕΡΓΩΝ [Parergon] Juris Libri VII. Posteriores, DN. Andrea Alciato Autore, Lugduni, Apud Sebaatianum Gryphium, M.D.XLII [1542], pp. 72 -73.

16. La flaminica era una sacerdotessa di Giove, la moglie di un flamen (sacerdote), uno degli uffici religiosi più alti nella Roma antica.

17. Il titolo intero è Discorso, perché fosse trovato il Giuoco, e particolarmente quello del Tarocco dove si dichiara a pieno il significato di tutte le Figure di esso Giuoco, Venezia? c.1570. La traduzione è stata svolta sul ms. 1072, Vol. XII. F presente presso la Biblioteca Universitaria di Bologna.

18. Da un punto di vista fonologico non crea problemi lo spostamento dell’accento sulla seconda sillaba (Tarìchon), mentre è da considerarsi praticamente assurda la trasformazione della i in o.

19. Apicio in Lexicon Totius Latinitatis, Pavia, 1940. L'umanista Ludovico Ricchieri, conosciuto come Celio Rodigino, nelle sue Lectionum Antiquarum scrive: "Invenio apud Graecos dici quidem tarichos, salsamentum", Liber XIII, Cap. XXVI. Basilea, 1542, p. 497. 

20. Libro I, Ed. Venezia, 1645, p. 163.

21.  De la natura del papagallo, in Davide Cecchi (Ed. critica e cura): “Il Libro della Natura degli Animali. Bestiario Toscano del sec. XIII”, XLIII, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2019.

22. Esercizi d’Intelligenza preparatorii all’Insegnamento della Lettura, in “L’Istruttore Elementare. Giornale di Educazione e Istruzione Primaria, Compilato dal Maestro A. Mazorana”, Anno Secondo, Trieste, Tipografia del Lloyd Austriaco, 1854, p. 93.

23. Pierre Gregoire, Tertia ac postrema Syntagmatis Juris Universi Pars, Pars III, Liber XXXIX), Cap. 4, n.11 (Ludi foliorum qui innoxj, & ludi & lusoris mala), Lugduni, Apud Antonium Gryphium, M.D.LXXXII. [1582].

24. Il titolo completo dell'opera è Monde primitif analisée et comparé avec le monde moderne, considéré dans l’histoire civile, réligieuse et allégorique du calendrier et almanach.

25. Sul De Gébelin e la sua opera si veda Le Monde Primitif di Antoine Court De Gébelin

26. Nel commento a Il Malmantile Racquistato del Lippi, il Manuzzi così si esprime al riguardo:" Taroccare: dicesi del giuoco delle minchiate, quando alcuno non ha del seme delle cartuccie dove sono figurati danari, coppe, spade e bastoni, e conviene che risponda alla data con qualche tarocco". 

27. Voce: Taroccare in Salvatore Battaglia (a cura di), “Grande Dizionario della lingua Italiana”, 2000. Si veda in proposito il nostro saggio L’Hospidale de Pazzi Incurabili di Tomaso Garzoni da Bagnacavallo. Così nel Canto IV del Ricciardetto (fra il 1716 e il 1725) di Niccolò Forteguerri: "Ma mentre ch' ei fatica e che tarocca, / Ecco che piomba ancor sopra di lui / Un'altra rete da quell'altra rocca / E restano prigioni tutti dui [Orlando e Rinaldo]", e nel Il Meo Patacca (1695) di Giuseppe Berneri "Con te tu ciancie no, non me la ficchi, / Co ste frollosarie non m' infinocchi, / Disse Meo, con ingiurie tu me picchi, / E poi non vuoi ch'io contro te tarrocchi?" (Canto Secondo, Ottava 30). La medesima voce nel Vocabolario Universale Italiano, compilato a cura della Società Tipografica Tramater e C., Napoli, 1840: "(in modo basso) gridare, adirarsi [inquietarsi gridando forte, schiamazzare]. Lat. ira, excandescere. Dal greco Tarachos tumulto. In turco Taraka, tumulto, strepito, rumore. In persiano Tyrak vale per il medesimo".

28. Ne La Carta del navegar pitoresco del 1660, una delle più originali opere della letteratura veneziana, l'artista-scrittore Marco Boschini scrive "Ghe vuol ogio in la lume e sale in zucca, / e aver studià, per far de sti quadroni, / e lassar tarocar quei babioni, / che 'l natural la note e 'l zorno struca".  

29. Alla Voce: Taroccare in C. Battisti e G. Alessio (a cura) “Dizionario Etimologico Italiano”, Firenze, 1957, troviamo: veneziano Tarocàr: bisticciarsi – romagnolo Tarochè: gridare, adirarsi, bestemmiare - genovese e piacentino Tarocà: contendere, altercare cortonese Tarocchè: altercare, litigare, brontolare - moltalese Taroccà: bisticciare - bolognese Tarucär, garrire - calabrese Taroccu: orrenda bestemmia, sciocchezza - siciliano Taroccu: moccolo, bestemmia e Taruccari: gridare, bestemmiare - pisano Taloccà: brontolare stizzosamente.

30. Poesie Siciliane dell’Abate Giovanni Meli, Pubblico professore di Chimica. Nella Reg. Accademia degli Studi di Palermo, Tomo III, In Palermo, Presso Solli, MDCCLXXXVII [1787], p. 14. Nella nona edizione, pubblicata a Palermo nel 1853 per la Tipografia Pagano, troviamo il Dizionario delle Voci e Maniere Oscure di Giovanni Meli il quale per taroccu da bestemmia (V. XXXIX) e per pantoticu grande, grosso, solenne (V. XXIX).

31. Veber Gulinelli, Carte da Gioco Italiane, Carpi, 2011, p. 77. 

32. Gerardo Lonardoni, La Via del Sacro. I Simboli dei Tarocchi fra Oriente e Occidente, Bologna, Edizioni Martina, 2008.

33. Ibidem, p. IX.

34. Questa disamina etimologica del termine Tara si basa su un colloquio avuto dallo scrivente con l'orientalista Prof. Flavio Poli.

 

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