Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

A Dio non dispiace il Tarocchino

Gioco per il sollievo della povera umanità e gioco di moda

 

Andrea Vitali, dicembre 2011

 

 

Un Gioco non sgradito a Dio nella Bologna del Settecento


L’opera Raccolta di Prose e Lettere scritte nel sec. XVIII, edita in più volumi, raccoglie una documentazione davvero notevole. Accanto a componimenti di personalità oggi poco ricordate, ne appaiono altri di uomini famosi come Francesco Algarotti, Gaspare Gozzi, Giuseppe Baretti, Apostolo Zeno, Metastasio, Anton Maria Salvini e tanti altri.


Fra la raccolta delle Lettere, curata dal Gamba, risulta interessante per i nostri studi quella che il religioso Antonio Golini inviò a un certo Sebastiano Pedrini bolognese. Con essa il Golini rincuora l’amico per la morte di Monsignor Peggi, “maestro pubblico di raziocinio per sessanta anni all’Università” 1, invitandolo inoltre, data la sua tarda età, a non contrarre matrimonio con l’amica Rosalia, ma di mantenere con ella un più puro legame lasciando i piaceri dell’Imeneo ai giovani, onorando in tal modo scambievolmente il Signore “a cui non dispiacciono nè il tarrocchino, nè le conversazioni, ed altri divertimenti innocenti e necessarj al sollievo della povera umanità, ed utili ancor talvolta a rinfrancare lo spirito”. L’idea che il gioco dei tarocchi e tarocchini continuasse a essere perseguitato dalla Chiesa come gioco d’azzardo deve pertanto limitarsi a quelle situazioni che inducevano alla derisione dell'avversario, alla bestemmia e perfino all'uccisione. Se giocato fra le mura domestiche fra persone responsabili era un gioco ben voluto da Dio come scrive il buon Golini, uno dei tanti divertimenti 'innocenti e necessari al sollievo della povera umanità’.


Conosciamo Antonio Golini da una sua breve biografia riportata dal curatore del volume:


"Nacque in Bassano nel 1717. Mori in patria nel 1782.

Appartenne alla Compagnia di Gesù fin a tanto che l'Ordine fu soppresso, e passò poi sempre i suoi giorni in patria, dove morì insignito, per voto de’ suoi concittadini, dell’arcipretato ch’è in Bassano il primo seggio ecclesiastico. Non volle mai cimentare il suo nome con opere a stampa, ma ebbe fama di molta dottrina e di epistolografo eccellente. Alquante sue Lettere familiari si pubblicarono postume in Bassano nel 1823, in 8.°, e di esse avrassi qui un saggio. Io scrittore voglio qui far ricordo che quand’era giovincello andavami sciabicando predichette davanti a qualche altarino di Bassano, ed io inuzzoliva tutto quando interveniva talvolta come udiente monsignor Golini. Gesummaria! Siamo ormai a’ 62 anni! Questi non mi fanno tuttavia obbliare quanto mi sentissi preso di quella sua molto soavità di maniere, di quella sua bella dignità personale, e parmi d’essere tuttavia al cospetto suo, orgoglioso del mio rocetto e della mia berretta a spichi, e beato delle ciambelle e de’ confortini de’ quali il venerabile Prelato erami liberale".


Lettera di Antonio Golini al Sig. Sebastiano Pedrini  


"Sono giuste le vostre lagrime e ben dovute alla perdita dell’uomo più insigne che onorasse Bologna, e del cuor più perfetto che rendesse cara e rispettabile l’amicizia. Monsignor Peggi aveva le doti tutte ond’essere e vivo e morto venerato ed amato da chiunque sente il prezzo della virtù eminente e della più vasta e sublime dottrina. Maestro grandissimo nella cattedra, sacerdote santo e immacolato, era poi anco nella società il più amabile e tenero amico. Io mi compiaccio d’averlo conosciuto, e d’essere entrato a parte di cotesta sua dolce ed onorevole amicizia, e me ne glorio e glorierò sempre, siccome d’uno degli ornamenti più distinti della mia vita; nè lascierò mai di ricordarlo con venerazione, nè di spargere il mio pianto sulla sua memoria e sul suo cenere reverendo. Questi ufficj si rendono tanto più dovuti in voi, che foste come il suo figliuol prediletto, da lui nutrito e accarezzato colle dolcezze più tenere e coll’attenzioni più amorose e sollecite d’un vero padre amantissimo. Piangetelo adunque senza termine, ch’è lodevole e debito il vostro pianto, ma non contento di questo solo, adoperatevi con tutta l’attività vostra, sicchè nel cospetto di Dio e del mondo ancora gli si rendano gli onori convenienti ad un uomo sì benemerito della sua patria, e all‘Ecclesiastico più venerando dello Stato Pontificio. Insorger dovrebbono a gara a voler celebrar le sue lodi i tanti suoi chiari discepoli che illustrarono ed illustrano la vostra provincia; ma il suggetto è da Dio destinato anco per far conoscere a Bologna e all’Italia sino a quanto possano giungere l’ingegno e l’affetto del nostro Preti, e ciò da Dio stesso per le vie sue mirabili alla patria ricondotto, perchè alla morte di lui si trovasse presente un oratore degno di sì grande argomento. Alle vostre e alle istanze comuni aggiungetegli anco le mie, e salutatelo molto e ringraziatelo ancora del gentile paragrafo lusinghiero da lui scritto per me al conte abate Roberti. Compiacciomi che la signora Rosalia stia bene, e trovisi di buon umore: nuovo argomento che non sono soli gli scrupoli che la distolgono dallo stringere il nodo. Non mi è mai. entrato in mente che potesse essere meno che buona cotesta vostra amicizia. Così potrete, voi proseguirla senza inquietudini, le quali non vi lascieranno del tutto mai, se non cacciate affatto dal cuore le voglie di matrimonio, a cui ella per riguardi divini non vuol aderire. Siete ormai vecchio, carissimo, per queste faccende, e la unione dello spirito la potete avere ugualmente senza quella della materia, e così in un più puro legame amare e onorare scambievolmente il nostro buon Dio, a cui non dispiacciono nè il tarrocchino, nè le conversazioni, ed altri divertimenti innocenti e necessarj al sollievo della povera umanità, ed utili ancor talvolta a rinfrancare lo spirito. Godetevi questi, e lasciate l’Imeneo a chi è fresco negli anni, e può onorar questo Dio.  [...]" 2.


Una nuova moda nella Ferrara del Settecento: giocare ai Tarrocchini con la mano sinistra


Il ferrarese Girolamo Baruffaldi (1675-1755), dopo essersi laureato in filosofia e in utroque iure (diritto canonico e civile), all’età di 25 anni venne ordinato sacerdote. Dal padre, appassionato archeologo, ereditò una cospicua collezione libraria che incrementò con opere storiche di una certa importanza. Un archivio che nel 1711, in occasione della contesa intercorsa fra gli Estensi e il Papato per il possesso di Comacchio, gli venne sequestrato con relativa condanna all’esilio in quanto accusato di aver passato al Muratori un documento comprovante l'attendibilità delle tesi sostenute dai Signori di Ferrara. In seguito, appurata la sua innocenza, fece ritorno a Ferrara dove assunse la carica di protonotaro apostolico e canonico della Cattedrale oltre a essere nominato professore di Eloquenza.


Successivamente divenne arciprete di Pieve di Cento vivendo sotto la protezione del cardinal Lambertini (il futuro Papa Benedetto XIV) che lo difese contro i numerosi nemici appartenenti all’Accademia della Selva da cui si era distaccato creandone una propria denominata la Vigna. Di seguito gli vennero confiscati nuovamente tutti i suoi libri con l’accusa di aver rubato dall'archivio arcivescovile di Bologna la bolla di Alessandro VI. Subìto un processo venne riconosciuto innocente. Morì a Cento all’età di ottant’anni.


Il Baruffaldi venne riconosciuto come uno fra i più abili falsari del suo tempo in quanto contraffece diverse testimonianze che per lungo tempo furono ritenute autentiche, come la celebre iscrizione del duomo di Ferrara "Li mille cento trenta cenqe nato" e diverse poesie da lui inserite nell’opera Rime scelte dei poeti ferraresi che imbrogliarono perfino il Leopardi. Ma al di là di questo aspetto di falso filologo, compose numerose e interessanti opere sulla storia di Ferrara: la serenata Il Concilio dei Pianeti, posta in musica da Albinoni; il poema in otto libri Il Canapaio incentrato sugli aspetti agronomici della coltivazione della canapa; le tragedie Giocasta, la Diofebe e l’Ezzelino; diverse commedie e i Baccanali, di cui La Tabaccheide (Lode al tabacco) in quasi duemila versi è da ritenersi il componimento più riuscito. I Baccanali, per l'argomento festosamente satirico e per la varietà dei metri sono da ricondurre al genere letterario del ditirambo, pur se di essi, in una introduzione o 'progimnasio', premessa all'edizione parziale del 1722, l'autore rivendicherà l'originalità dell'invenzione.


Nel Baccanale V dell’edizione originale del 1722 intitolato I Sughi, l’autore, creando un parallelo fra la necessità di mescolare i sughi nel paiolo con la mano sinistra se con la destra ci si trovava in difficoltà, menziona i Tarocchini Bolognesi riferendosi all’uso, diventato oramai una nuova moda per le donne, di giocare distribuendo le carte con la sinistra anche se non mancine. Tale informazione risulta molto importante in quanto l’autore scrisse questo Baccanale nel 1722, anno in cui vivendo a Ferrara assunse la carica di professore di Eloquenza presso quella Università. Citando i ‘tarrocchini’ veniamo edotti che nella Ferrara del Settecento non si usava il mazzo di tarocchi derivato dalla tradizione estense e che risaliva al sec. XV, ma la variante bolognese ideata verso la metà del Cinquecento.

 
I Sughi - Baccanale V


Gira pur, nè ti stancare,
E rigira, e rimaneggia,
E tremena, e rivolteggia,
E poi torna a rigirare:
Se la destra
Non t’è destra,
Tu sommistra
Con la sinistra,
Che in cucina anco si loda
Per capriccio esser mancino,
Come appunto al Tarrocchino
Per le dame è nuova moda (3).


Note

 
1. Giovan Battista Roberti, Opere, Tomo Secondo, Bassano, Remondini di Venezia, 1789, p. 18.
2. Raccolta di Prose e Lettere scritte nel sec. XVIII, Volume III: Lettere Familiari, Tomo II, Milano, Società Tip. De’ Classici Italiani, 1830, p. 153.
3. Girolamo Baruffaldi, Baccanali, Venezia, Carlo Buonarrigo, 1722, p. 70.



Copyright Andrea Vitali © Tutti i diritti riservati 2011