Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

El Bagatella, ossia il simbolo del peccato

Sul motivo della presenza del Bagatto come prima carta dei Trionfi

 

 

Andrea Vitali, settembre 2012

 

“On appelle la bagatelle le péché qui degrade plus la nature humaine, qui l'énerve, qui l'aveugle, qui la depouillant de sa noblesse et d'une fierté legitime, l'asservit aux plus humiliantes sensations. C'est bien avec raison que le Sage nous avertit, que l'homme insensé commet le crime, par manière de badinage: Quasi per risum stultus operatur scelus. Prov. X. 23”

                                                                         

                                                                              Abbé de Feller

 

Come evidenziato in Il Bagattol’immagine di questa carta presenta un prestigiatore intento alla sua attività. Bagatto è vocabolo derivato da bagatella, termine che “compare nei volgari italiani scritti dalla fine del Quattrocento, per diffondersi nel corso del Cinquecento in un’area che va dal Nord Italia alla Campania di Masuccio Salernitano, facendo perno soprattutto sul territorio centro-settentrionale”. 1 Infatti, il primo documento sui trionfi che riporta questo termine è il manoscritto Sermo perutilis de ludo di un anonimo monaco, datato fine Quattrocento - inizi Cinquecento. Nei documenti sui tarocchi del sec. XVI verrà chiamato Bagatella, il BagattellaBagatello, il Bagatino, il Gabbatèlla, 2 Bagato. Bagato, trasformato in Bagatto, diventerà successivamente il termine più usato.  

 

Seppur l’etimo Bagatella sia ancora oggetto di indagine, i più importanti dizionari etimologici e altre fonti 3 lo derivano dal basso latino Baga, fardello, roba, bagaglio e con altra ipotesi da Bagattíno o Bagatino moneta di minimo valore coniata a Venezia nel 1371, dal latino Bàca, baccae, figurato, piccolo oggetto rotondo “Di maniera che vale letteralmente Piccola cosarella che alcuno possiede; Robicciuola da nulla”. 4

 

Vincenzo Coronelli e Gilles Ménage (si veda nota 3) la identificano con il sostantivo latino nugæ (Res levis pretii ac momenti, cioè cosa di poco valore e considerazione), termine così spiegato dal Dizionario latino Georges - Calonghi - Badellino: “Bazzecole, frottole, ciance, futilità e, in forma traslata, persona da nulla, senza cervello, leggero, frivolo”.

 

Esiste anche il termine bagattare come riportato nel Glossarium manuale ad scriptores mediae et infimae latinitatis con il significato di “Nugari, tricari” [quest’ ultimo da trĭcæ = sciocchezze, baie]. 5

 

La parola Bagattandi, che significa “di bagattare”, appare, assieme a Bagatella in un passaggio di Paolo Scordilla citato dal Muratori così come tradotto dal nipote:

 

“Paolo Scordilla, che circa l’Anno 1398, scrisse le Vite degli Arcivescovi di Ravenna Part. I del Tomo II, Rer. Ital. p. 214 così scrive: Cuius zizaniae siminator fuit Servideus, primo Cantor huius Ecclesiae, & c. cognomine vocatus el Bagatella, propter ejus cavillationes umbratiles & pueriles, vel quod illam artem noverit Bagattandi” [Di cui fu seminatore di zizzania Servideus, primo cantore di questa Chiesa, chiamato per cognome el Bagatella a causa dei suoi cavilli ombrosi e puerili, o perché conosceva bene quell’arte di bagattare (Bagattandi)]. 6

 

Il Muratori menziona inoltre la parola araba Bakatta, termine che in italiano suona Bagattare significante ‘affrettare un discorso o l’andatura’, ciò che i modenesi chiamano Abbagattare e i fiorentini Acciabattare [fare le cose in fretta e male, abborracciare]. Con una T sola invece, continua il Muratori, il mondo arabo ha Bagata che significa ‘scompigliare, disordinare’, termine da cui probabilmente, egli afferma, il mondo occidentale trasse Bagatelle, a significare cose da nulla o i giochi dei saltimbanchi o prestigiatori.

 

Questo il testo originale del Muratori tratto dalle sue Dissertazioni a cui facciamo seguire nostra traduzione e la versione in lingua italiana pubblicata postuma dal nipote dopo la morte dell’autore:

 

“Nulla inter Linguas, olim Italis notas, offert mihi verbum, quod voci, de qua agimus, sono literarum propius sit, quàm Arabica. Ullis quippe est Bakatta, quod Italice redditum evadit Bacattare, Bagattare. Ab iis accepisse Mutinenses videntur hoc verbum, quum ajunt Bagattare & Abbagattare rem aliquam, idest eam sine studio, ас inepte ргаe festinatione conficere: pro quo Acciabattare Florentini dicunt. Dicimus etiam Bagatta-mestiere. Significat autem Arabicum Bakatta, Gollio teste, Festinare in sermone, vel in incessu, Corripere, Monere verbis, Rem disgregare, eamdemque colligere. Est Arabum Populo & alterum simile verbum, unico T. scriptum, idest Bagata, significans Miscere, Confundere negotium, cibumsermonem suum. Fieri potuit, ut olim Itali, qui ex Arabum gente dominante in Sicilia Calabria, & ob mercaturam ac literarum studia, apud eos familiari, tot alias voces accepere. Bagattare quoque didicerint, eoque uterentur ad significandam Joculatorum, Agyrtarum, & Scurrarum artem, qui fabulis, ludis, ac rebus puerilibus, & nullius pretii, spectatores detinebant. Illos propterea Bagattare dixerint, eorumque ludos Bagattellas, diminutivo nomine efformato e Bagattare, nuncupare cœperint”. 7

 

(Nessuna fra le lingue, note un tempo agl’Italici, mi presenta una parola che nel suono delle lettere sia più vicina alla voce di cui trattiamo, quanto la lingua araba.  Infatti, loro hanno Bakatta, che reso in italiano diventa Bacattare, Bagattare.  Da loro pare che i Modenesi abbiano preso questa parola, quando dicono Bagattare e Abbagattare una cosa, cioè portarla a termine per la fretta senza impegno e con insipienza, affrettarsi, rovinare: per cui i Fiorentini dicono Acciabattare. Diciamo anche Bagatta – mestiere. D’altra parte, l’Arabico Bakatta, testimone il Gollio, significa affrettarsi nel parlare o nell’incedere, accellerare, ammonire verbalmente, disgregare una situazione, impedire in qualche parte. Un altro simile verbo hanno gli Arabi, cioè Bagata, scritto con una sola T significante Mescolare, Confondere, il proprio affare, il cibo, il discorso. Poté essere che gl’Italiani dalla gente araba, ossia dai Saraceni che una volta dominarono in Sicilia e Calabria, e gran traffico facevano per i vari nostri paesi, imparassero dai loro familiari tante altre parole. Avranno imparato e usato Bagattare a significare l’arte dei giocolieri, dei ciarlatani e dei pagliacci che intrattenevano gli spettatori con favole, giochi e azioni puerili di nessun valore. Per questo motivo li chiamarono Bagattare, i loro giochi Bagatellas in forma di nome diminutivo, e iniziarono a dire Bagattare).

 

Traduzione curata dal nipote del Muratori:

 

Dissertazione Trentesimaterza

 

"Se a me si chiede l’origine di questa voce, rispondo di nulla aver trovato di certo, e poter io solamente esibire una conjettura. Ha la lingua Arabica Bakatta, che accomodato nella nostra Lingua diviene Bagattare. Significa esso, per attestato del Gollio, Festinare in sermone, vel in incessu. I Modenesi dicono Abbagattare, ciò che i Fiorentini chiamano Acciabattare. Un’altro [sic] simile verbo hanno essi Arabi, cioè Bagata, con un solo T significante Miscere, Confundere negotium, cibum, sermonem suumCorripere, Monere verbis, Rem disgregare, eamdemque colligere. Non è inverosimile, che gl’Italiani dalla gente Araba, o sia dai Saraceni, che una volta dominarono in Sicilia e Calabria, e gran traffico faceano per varj nostri paesi, imparassero Bagattare, come ne hanno imparato tant’altre parole; e chiamassero le cose da nulla, e le furberie, e i giuochi de’ Cantambanchi, Bagatelle". 8

 

Interessanti sono i termini Abbagattato e Bagattato che hanno dato origine nella lingua italiana all’espressione ‘sono abbagattato o bagattato’ a significare che si è presa una fregatura o si è subito un incidente di varia natura. Bagattare indica anche rovinare una cosa o qualcuno. 9 Occorre anche sottolineare che la parola riportata dal Muratori Acciabattare, in lingua corrente Ciabattare, cioè camminare strascicando le ciabatte, è imparentata con ciabattino, che è colui che ripara le scarpe rotte e più raramente un fabbricante di ciabatte, termine che in senso figurato significa ‘Chi fa male un lavoro per mancanza di impegno o di capacità”, 10 quindi un bagatello. Non a caso in alcune carte di tarocchi il Bagatto è identificato come un calzolaio o un artigiano in genere 11 a indicare un personaggio tenuto in scarsa considerazione. Di seguito, brevi passi tratti da opere seicentesche in cui viene utilizzato il termine Acciabattato:

 

"Onde sarebbe stata temerarietà l'esporre agli occhi acutissimi dell'invidia un lavoro acciabattato". 12 

 

"Queste parole, & attioni de’ Deputati davano chiaramente à divedere, che non erano per affaticarsi in troppo lungo uficio per impetrare a’ Francesi la chiesta sodisfatione anzi spasimassero di voglia di compiere il lavoro acciabattato con gli Spagnoli per parlare poscia à favore de’ proprij Collegati, più per forma, che per altro". 13

 

"Eccolo [il Cristo], accusato à varij tribunali, querelato da gente bugiarda, infamato come reo, con un processo tumultuario, pieno di nullità, senza servare ordine alcuno di ragione, acciabattato all’infretta, frà le tenebre della notte, senza voler aspettare la luce del giorno. Malladetta Sinagoga di malignanti!  Che forma di giudicio precipitato è codesta!". 14

 

Ritornando al termine baca e a sostegno di una derivazione etimologica di bagatella da questo vocabolo, esisteva il termine baccattella, come si ritrova ad esempio nell’opera Dialogo della signora Tullia D'Aragona della infinità di amore, dove in un dialogo a tre, un uomo così si rivolge alla signora menzionata nel titolo: “Diro che voi sappiate far con le parole quello, che fanno i giucolatori di baccattelle colle mani”. 15

 

Un ulteriore esempio è testimoniato dalla poesia “Guarda ben ti dich' io, guarda ben, guarda” di Antonio di Matteo di Meglio (Firenze, 1384-1448), autore di prose e poesie nonché cantore salariato rerum moralium della Signoria Fiorentina: “Giuoco è da baccatelle / l’andar pure alle belle (1) - con chi sguizza”. 16

 

(1) l’andar pur alle belle = assumere un atteggiamento disponibile e cordiale. 

 

I versi sottolineano che il compiacere a coloro che non erano interessati a stabilire un vero legame era un gioco di nessun valore, nel senso di inutile se non addirittura dannoso. L’insegnamento dell’intera poesia pone l’accento sul non fidarsi delle persone inaffidabili, come recitano i seguenti versi: “Del ben far non pentire, / ma quârti [guardati] dal servire - ad uomo ingrato” [Non pentirti del bene che fai, ma guardati nel servire un uomo ingrato]. Inoltre, altri versi indicano una perdita di tempo uscire con le donne e una follia lasciarsi coinvolgere in trame amorose: “È mal bestiame, / il perdere tempo in dame, / e stare in varie trame - è atto folle”. 17

 

Da questi esempi poiché bagatella sembra intercambiabile con baccatella, risulta difficile affermare se l'origine sia da farsi derivare dal latino baca, bacca (piccolo frutto), o dal diminutivo di baga, fardello, roba, oppure dalla parola araba riportata dal Muratori. Forse i primi due termini si mischiarono fra loro dato che i giochi di prestigio si attuavano con piccoli oggetti presi da piccole borse che nascondevano i loro segreti ai curiosi. Gli esempi riportati rivelano significati diversi come la loro interrelazione: le bagatelle sono le piccole cose che il bagattellierebagatella usa per i suoi bagatelle-inganni.

 

La parola bagatella con il significato di cosa di poco conto ebbe larga diffusione europea: bagatelle in Francia e Bretagna, e bagatela in Spagna, Portogallo, Paesi Baschi e America Latina. A essa vennero attribuiti anche i significati di ‘giocattolo’ e ‘marionette’, mentre l'ulteriore vocabolo gherminella venne riferito a “una sorta di gioco di prestigio eseguito utilizzando una funicella e un bastone”, 18 dove i giocatori scommettevano su un risultato che ritenevano sicuro ma che era abilmente controllato dall'operatore. Si ha testimonianza di bagatella come giocattolo dal Don Quixote (1615), laddove un personaggio, nell’affermare di aver tradotto un libro dal toscano al castigliano, valuta i juguettes, cioè i giocattoli, al pari di bagatele, ovvero cosucce da nulla:

 

- ¿ Qué titulo tiene el libro? – preguntó don Quijotte.

-  A lo que el autor respondió

-  Senõr, el libro, en toscano, se llama Le bagatele.

-  Y ¿ qué responde le bagatele en nuestro castellano? – preguntó don Quijote.

-  Le bagatele – dijo el autor - es como si en castellano dijésemo los juguetes... 19.

 

(- Qual'è il titolo del libro?" chiese Don Chisciotte.

-  A cui l'autore rispose

-  Signore, il libro, in toscano, si chiama Le bagatele.

-  E a cosa corrisponde le bagatele nel nostro castigliano? Domandò don Chisciotte.

- Le bagatele”, disse l'autore, è come se in castigliano si dicesse i giocattoli).

 

Per il significato esplicito e non metaforico di bagatella e varianti come burattino o marionetta, esiste una varietà di riferimenti italiani. In un dizionario napoletano dell'Ottocento con i termini bavattelle guarattelle vengono chiamati quegli spettacoli che coinvolgevano i burattini nonché i burattini stessi. 20 “Occorre considerare che nel Medioevo - e anche in seguito - la figura del burattinaio e quella del prestigiatore si identificano, anche perché i pupazzi, oltre a servire ad attirare il pubblico, venivano concretamente impiegati nei giochi di prestigio e di illusionismo”. 21 Troviamo anche un ioco de bagatelle in Masuccio Salernitano (prima del 1476), e baggattielle in Giambattista Basile. Nel Canton Ticino e a Bergamo esiste il maschile bagatèll, modificato in magatèll in Lombardia e Piemonte. Tutti danno, tra gli altri significati, quello di burattino/marionetta. 22

 

Vennero chiamate bagatelle anche certi intrattenimenti frivoli o lascivi fatte con marionette e fantocci, come apprendiamo dai resoconti di Pietro della Valle, il quale nelle lettere inviate a conoscenti in occasione dei suoi viaggi nel Medio Oriente e in Oriente descrive le molte situazioni a cui aveva assistito. In particolare, dichiara di aver assistito in Costantinopoli a rappresentazioni recitate che lui chiama appunto bagatelle, svolte con le ombre pari a quelle che se ne vedevano in Largo Castello a Napoli oppure a Roma in Piazza Navona. Queste erano fatte da bagattellieri o ‘giuocolatori’ che per gli oggetti utilizzati e le stravaganze delle drammaturgie rendevano tali spettacoli più osceni di quelli organizzati in patria nei bordelli in occasione del carnevale e tanto più in occasione della Quaresima.

 

Lettera 2 da Costantinopoli:

 

"Però in tempo di digiuno in queste case di Cahue [luoghi dove veniva tostato o venduto il caffé], che così si chiamano vi sono anche de' giuocolatori, che trattengono gli assistenti con mille bagattelle; e tra le altre, come vidi io l'altra sera, che vi andai fanno veder loro, dietro una tela o carta illuminata, diverse rappresentationi di ombre, e figure di fantochi, che si muovono caminano, e fanno mille atti, come quelli, che alle volte facciamo noi ancora in certi apparati. Le quali ombre di bambocci, non si vedono però mute, come le nostre; ma le fanno parlare in quella guisa che fanno in Napoli al largo del Castello, & in piazza Navona in Roma, i bagattellieri; cioè, il giuocolatore la dentro parla per loro con diversa voce in vari linguaggi, e fà diverse burle galanti assai bene: ma le rappresentationi son tutte di cose oscenissime, e di atti trà huomini, e donne dishonesti, con far veder tali stravaganze di gesti, e di stromenti ingredienti, che il Carnevale in bordello sarebbon troppo lascivi, quanto più per passatempi della quaresima". 23

 

Fra gli antichi canti carnascialeschi fiorentini il Canto di Lanzi maestri di fare fraccurradi, e bagatelle composto da Guglielmo detto il Giuggiola è significativo al riguardo:

 

Fracurrade (1), Bagatelle,

   Giuche Lanzi (2) destramente,

   Ch’ell’ è fuore, e ch’ell’è drente

   Star bel giuoche Germinelle (3).

Con Bicchiere, e con Ballotte,

   Giuoche destre, accorte, enette

   Volte prime sopre, e sotte,

   Frughe dentre con bacchette:

   Tal che quelle cave, e mette,

   Che seder non puo niente,

   Benche queste fuore, e dentre

   Stare un giuoche poi piu belle. 24

 

(1) Fracurradi è un certo trattenimento da brigate spensierate, il qual gioco si fa con certi fantocci su per le punta delle dita, et si pigliano l’uno l’altro, giostrano, scherzano, s’ammazzano, si tolgono l’uno a l’altro certi castegli”. 25

(2) Lanzi = diminutivo di lanzichenecchi, dal tedesco landchnechten, fanti. Si fa qui riferimento ai fanti mercenari tedeschi impiegati negli eserciti italiani. Alessandro Parenti parafrasa le prime due righe come: "I tedeschi giocano abilmente con pupazzi e bagatelle, che è fuori, che è dentro, un gioco bellissimo". Lo stile della canzone, egli afferma, imita il modo di parlare italiano di queste persone. 26

(3) Germinelle = Gioco di abilità e di destrezza compiuto per lo più da truffatori e imbroglioni, consistente nel far apparire e scomparire una cordicella dentro e fuori una bacchetta cava tenuta fra le mani per confondere lo spettatore. 27

 

Se inizialmente i versi parlano di Fracurrade, cioè del gioco dove ogni dito ospitava un particolare burattino in miniatura, la successiva parola Bagatelle parla di due giochi di inganno: le germinelle (o gherminelle) e quello dei bussolotti, con le coppe (bicchiere) complete di palle (ballote) e bacchette (bacchette), oggetti tipici dei maghi, dove il verso “Volte prime sopre, e sotte” (Voltate prima sopra e sotto) evidenzia come il prestigiatore mostri le coppe (bussolotti) inizialmente vuote, mentre il verso “Tal che quel cave e mette” si riferisce all'azione di rimuovere e inserire le palline sotto le coppe.

 

Bagatella appare anche nel poema Udite nova pazzia, tradizionalmente attribuito a Jacopone da Todi (intorno al 1300), ma in realtà opera di un più tardo autore. Scrive al riguardo Alessandro Parenti: “Il testo è certamente apocrifo e forse anche quattrocentesco, se si dà fede alla rubrica che si legge in un codice palatino del XV secolo: “Canticum actum Padue nono Kalendas Maij anno domini 1415” 28 (Cantico eseguito a Padova il nono giorno prima delle calende di maggio [23 aprile] dell'anno del Signore 1415). In realtà, da un’indagine sul codice, risulta che la sua stesura debba essere datata verso la fine del’ 400. Da un’edizione del 1617 come da successive, i versi riportano:

 

Lassovi la fortuna fella

travagliar qual bagattella

quanto più si mostra bella

come anguilla squizza via. 29

 

Qui bagatella sembra descrivere la fortuna come imbrogliona, illusionista, ma altre interpretazioni potrebbero essere probabili come la seguente: 

 

Lascio [a voi] la sorte traditrice

agitarsi come una marionetta:

quanto più fa moine [si mostra favorevole],

tanto più sguizza via come un’anguilla. 30

 

Esistono altre due versioni della poesia di cui la prima si trova in un manoscritto a Verona:

 

Lasso ancor fortuna fella

travagliar sua bagatella. 31

 

La seconda in una stesura manoscritta a Firenze che fa riferimento al 1415 come anno di composizione:

 

Lasso la fortuna bella

travagliar sua baccatella. 32.

 

Questi ultimi due codici sono molto interessanti in quanto implicano che la marionetta non è la fortuna che si sposta da un posto all'altro, ma colui che si lascia sedurre da quella, che si precipita in ogni luogo per trovarla rendendosi conto che gli sfugge di mano appena la incontra. Nella definizione di Andrea Moniglia di Tarocco come "Balordo, Fantoccio, Malfatto", 33 fantoccio significa appunto ‘burattino’, ma per Moniglia anche una persona senza volontà propria.

 

Esiste ancora un'ulteriore versione della stanza in un’edizione del 1514:

 

Lassove la fortuna fella

travagliare sua bagatella

quanto piu se monstra bella

come anguila squiza via. 34

 

In questo caso, se non fosse per le altre versioni, si potrebbe pensare che bagatella significhi semplicemente trucco.

 

L'attribuzione bagatella = marionetta è correlata al provenzale bavastel, babastel, bagastel e all'antico catalano bavastell, termini con significato univoco di ‘marionetta’. Inoltre, in molte città e regioni italiane, come Genova e il nord delle Marche, termini come bugatt (burattino, spaventapasseri) diventano bugatta (bambola). 35 Abbiamo anche pupazzo dal latino púpa, a significare sia bambola che burattino. Esiste poi la pupatolla, abbigliamento femminile per bambole e per pupazzi.

 

Riguardo al termine bavastel, alcuni versi tratti dal serventese (canto di lode) Fadet juglar della fine del XII o inizio del XIII secolo, elencano le abilità richieste a un giocoliere:

 

E paucs pomels

ab dos coltelz

sapchas gitar e retenir;

e chans d’auzels

 e bavastelz

e fai lor castels assaillir. 36

 

(E piccole sfere di metallo

con due coltelli,

saper [li] lanciare e prendere [li];

e [come imitare] il canto degli uccelli

e [come si usano] pupazzi [bavastelz = anche marionette]

e farli attaccare i loro castelli).

 

Il termine bavastel, derivato dal francese antico baastel e varianti, indica l'attrezzatura del prestigiatore, nonché "tours d'escamotage" (gioco di prestigio) e tromperie (inganno). Baastel diventa quindi Basteleur e Bâteleur, divenuto questo ultimo il nome della carta dei tarocchi francesi. 37 Resta il fatto che i significati di giocattolo e di marionette non godettero di grande diffusione rispetto a quelli che vedremo in seguito di sciocchezza, gioco di prestigio e frode.

 

In letteratura, per quanto di mia conoscenza, la parola bagatella non compare quasi mai con il significato di cosa di poco conto, ma nel contesto della carta stessa. Così scrive Teofilo Folengo in un sonetto composto attraverso i seguenti cinque trionfi: Fortuna, Mondo, Temperantia, Stella e Bagatella: 

 

“Questa Fortuna al Mondo è ‘n Bagattella, / ‘C’hor quinci altrui solleva hor quindi abbassa. / Non è Temperantia in lei, pero fracassa / La Forza di chi nacque in prava Stella”. 38

 

Qui la fortuna non viene chiamata Bagatella per designare un trucco o una sciocchezza, ma piuttosto come un potente agente di trucchi che abbatte le persone proprio quando pensavano di aver raggiunto il successo. Bagatella diviene quindi l'attore piuttosto che l'oggetto dell'azione, quello che in italiano veniva chiamato comunemente bagattelliere, definito dal Grande Dizionario della Crusca come “Giocatore di bagattelle; prestigiatore; imbonitore; burattinaio che intratteneva il pubblico per vendere la merce”. 39

 

In questo contesto, oltre a bagatella, abbiamo anche la forma grammaticalmente maschile bagatello, come riportato in uno strambotto fiorentino del 1500 circa, 40 con lo stesso significato di persona che usava trucchi e illusioni per fare soldi a spese della folla:

 

Miracomãdo aquel angelo pio, / al mõdo al sole alla luna & lostello

 / alla saetta & a quel diavol rio / la morte el traditore el vecchierello

 / la rota el caro & e giustizia di dio / forteza & temperanza & e amor bello

 / al Papa imperatore & Imperatrice / al bagatello al matto più felice.

 

Al contempo, bagatello significava anche una cosuccia di poco conto oltre al gioco dei prestigiatori, come da nostro scritto a cui rimandiamo il lettore. 41 Nella diffusione italiana e straniera sono ben distinguibili tre filoni principali che riguardano la parola bagatella: il primo a significare ‘cosa da poco, di scarso valore’; il secondo ‘gioco di prestigio o di abilità’ e il terzo ‘azione truffaldina, frode’. Vedremo di seguito e per quale motivo questi tre significati verranno insieme collegati al concetto di bagatella. Riportiamo due esempi riguardanti il significato di Bagatella come cosa di poco valore.

 

Il Vasari (1511-1574) riferendosi al pittore Giovannantonio detto "Il Soddoma da Verzelli", chiamato anche Mattaccio, dice di lui:

 

"Ma egli hebbe sempre l'animo alle baie, e lavorò a capricci: di niuna cosa maggiormente curandosi, che di vestire pomposamente, portando giuboni di brocato, cappe tutte fregiate di tela d'oro, cuffioni ricchissimi, collane, & altre simili bagattelle, e cose da buffoni, e cantanbanchi". 42

 

La parola Bagatella ebbe nella lingua latina un termine equivalente. Erasmo da Rotterdam in un suo discorso sul gentil sesso si valse della parola nugas:

 

“Iisdem ferme de causis hoc hominum genere mulieres gaudere solent impensius, utpote ad voluptatem & nugas natura propensiores. Proinde quicquid cum huiusmodi factitarint, etiamsi nonnumquam serium nimis, illae tamen jocum ac lusum interpretantur, ut est ingeniosus, praesertim ad praetexenda commissa sua, sexus ille”

 

(Ed è press’a poco per i medesimi motivi che le donne, più inclini come sono per natura al divertimento e alle bagatelle [nugas], di solito si trovano così a proprio agio con questo genere di uomini [i folli]. Perciò qualsiasi azione costoro abbiano compiuto - nonostante talvolta si tratti di azioni fin troppo serie -, le donne le interpretano alla stregua di un gioco e di un divertimento, tanto ingegnoso è il loro sesso soprattutto nel nascondere le proprie marachelle). 43

 

Passando con Agnolo Firenzuola (1493-1545) al significato di Bagatella come ‘gioco di prestigio o abilità” si riporta un passo della sua traduzione dell’Asino d’oro di Apuleio dal libro primo: “Io vidi in Siena, in su la piazza che e’ chiamano il Campo, un giocatore di bagatelle [circulator] a cavallo per ghiottornia di pochi quattrini inghiottirsi una spada appuntatissima, e cacciarsi in corpo uno spiedo porchereccio da quella parte ch’egli ha la punta”. 44

 

Nel Morgante del Pulci (1432-1484) troviamo due esempi di ‘azione truffaldina, astuzia, inganno’: il primo quando Gano di Maganza “fece il tristo e il cagnaccio all’usanza, / E lasciossi cader come un ribaldo. / Guarda se sa ancor far la bagattella”, cioè guarda se, come è suo solito, si comporta da vile dissimulando la sua viltà con una finzione furbesca. 45 Sempre in riferimento a Gano i versi “Pensa, lettor, che il traditor rassetti / Tutte sue bagatelle e sue bugie, / E mandragole e serpe e bossoletti / E polvere e cartocci e ciurmerie / Mostrassi, e tutti sciogliesse i sacchetti”. 46

 

Simile significato nella XX novella del Novellino di Masuccio Salernitano (c. 1410-1475) dove un gentiluomo di Salerno, innamorato perdutamente di una vedova, venne finalmente castigato, lui che “mai da niuno ponito de quanti inganni e bagatelle avea adoperate tutto ‘l suo vivente”. 47

 

Scrive il Macchiavelli (1469-1527) nella Clizia laddove Nicomaco, un vecchio innamorato di Clizia, risponde a Sofronia (Atto secondo - Scena terza): “Nicomaco: Tu mi minacci di chiacchiere, fa ch’io non dica tu credi forse ch’io sia cieco et che non conosca e’ giuochi di queste tue bagatelle, io sapevo bene che le madri volevano bene à figliuoli, ma non credevo che le volessino tener le mani alle loro dishonestà”. 48

 

Così Pietro Aretino (1492-1556) in un dialogo fra i due famigli Cappa e Rosso in La cortigiana (Atto primo - Scena XX): “Cappa. Tu sei molto allegro, Rosso, tu stai ridendo da ti stesso: che vuol dire? Rosso: Io mi rido d’una giuntaria, ch’è stato fatta tanto destra che non se ne sarebbe accorto il maestro de le bagatelle; e te la conterò più per agio”. 49

 

Ludovico Ariosto (1474-1533) nella Cassaria, quando l’astuto Volpino trama un inganno ai danni del vecchio padrone (Atto quarto - Scena seconda), esclama fra sé e sé: “Volpino: Ma venga pur, venga a sua posta, che apparecchiata ho già la tasca da farli il più netto e il più bel giuoco di bagatelle ch’altro maestro giocasse mai”. 50

 

Concludo - ma gli esempi sarebbero ancor più numerosi - con la commedia l’Assiuolo del Cecchi, composta fra il 1549 e 1550 (Atto terzo - Scena prima): “Vo’ sarete servito. Orsù a cominciar questo giuoco di bagatelle”; con gli Straccioni del Caro, vissuto dal 1543 al 1556, (Atto quarto - Scena prima): “O tu di’ le bugie o la fortuna fa oggi le bagatelle con noi” e con La fantesca di Giovan Battista della Porta, dalla prima edizione del 1592 (Atto primo - Scena prima): “E questi che fan le bagatelle, pur fan veder molte cose che non sono”. 51

 

Quando Baldassarre Castiglione (1478-1529) nel primo libro del Cortigiano indicò le attività che ogni buon cortigiano doveva conoscere e mettere in pratica, suggerì anche quelle da evitare come "volteggiar in terra, andare in su la corda e tai cose, che quasi hanno del giocolare e poco sono a gentilomo convenienti”. 52 Sta di fatto che diversamente dalla editio princeps del 1528 (Codice Vaticano Latino 8204), negli abbozzi originali e nel manoscritto successivo (c. 1513-1516) troviamo accanto al giocolare anche il termine bagatella “e tal cose che quasi hanno del giocolare o bagatella, e poco sono a gentilom convenienti”. Il Castiglione modificò successivamente la frase togliendo bagatella, poiché, in quanto amante della precisione, volle indicare ai cortigiani i reali atteggiamenti da evitare senza lasciare dubbi sull’interpretazione di questi ultimi. 53

 

Per meglio chiarire la differenza esistente fra giocolare bagatella illustriamo di seguito il significato del primo termine. Vittorio Cian, nella sua edizione commentata dell’opera del Castiglione del 1894, lo deriva dal latino medievale jocularis, significante giullare, buffone, saltimbanco. 54 Jocularis nell’ antichità indicava motti o parole facete mentre colui che li proferiva era chiamato joculator. Nel medioevo joculator passò a designare il personaggio che allietava attraverso il canto, la recitazione, il ballo e vari giochi di destrezza il pubblico sia delle corti che delle piazze, e jocularis la sua attività. Nacque allora quello che in volgare si chiamò dapprima in francese e provenzale jo(n)gler joglar, da cui l’italiano giullare. 55

 

“La forma latineggiante giocolare” scrive Ghino Ghinassi “ha anch’essa, nei volgari italiani, una storia antica, che risale ai primi secoli della lingua, ed è, più o meno, un sinonimo di giullare: un sinonimo, pare, di rango più elevato in ragione della sua maggiore vicinanza formale al latino, e forse per questo un po’ più raro della voce d’origine francese. Per il resto i due vocaboli possono vivere e alternarsi nello stesso testo, come accade, per esempio, nel Novellino, dove, alla Novella XLIII, si parla dello stesso personaggio prima come un giucolare e poi come un giullare con perfetta sinonimia e interscambiabilità. Sembra tuttavia che, rispetto a quello di bagatella, il contesto in cui si situa il vocabolo tenda ed essere più elevato e meno spregiativamente connotato. Il giocolare si incontra piuttosto nelle corti, sia laiche che ecclesiastiche, o alle mense vescovili (come nel passo del Novellino citato or ora); più difficile è incontrarlo in piazza fra il popolino intento a esibirsi in pagliacciate o ciurmerie”. 56  

 

Riassumendo, per giocolare deve intendersi un giullare il cui lavoro è quello di intrattenere il pubblico sia con musiche, balli e recitazioni sia con esercizi di abilità e destrezza fisica. Si tratta di persone che, seppur di umili origini, si esibivano presso le corti e i ceti più alti della società, senza essere oggetto di scherno o considerazioni di biasimo. Per tutto il Quattrocento e il Cinquecento il termine giocolare mantenne una propria identità per poi smarrirsi sostituito da giocoliere

 

Che la figura rappresentata nella carta del Bagatto sia invece un prestigiatore è fuori discussione, sia per le innumerevoli testimonianze artistiche che lo identificano come tale, sia per il soprannome di ' Bagatello' attribuito a Francesco da Milano, celebre prestigiatore e autore verso il 1550 di una fra le prime opere sulla prestidigitazione intitolata Opera nuova non più vista, nella quale potrai facilmente imparare molti giochi di mano. Composta da Francesco di Milano, nominato in tutto il mondo il Bagatello. 57

 

A differenza del giocolare, il bagatello (come esprime il nome) era considerato personaggio di poco valore, un nonnulla che si serviva di trucchi e di illusioni per far soldi a scapito dei convenuti. Nel suo ‘maravigliare’ ciò che sembrava vero in realtà era solo apparenza e falsità. Un gioco di abilità e destrezza che implicava furberia e inganno. Dimostrare di essere in grado di far tornare integro in un solo istante un pezzo di tessuto prima tagliato in tante parti, denunciava qualcosa di magico. Il bagatello era un mago di destrezza, ma come sappiamo la Chiesa condannava ogni forma di magia, compresa quella in cui si utilizzavano trucchi poiché il nemico di Dio, cioè il diavolo, così come il cistercense Isaac de l’Etoile (c. 1110-1167/69) espresse in un suo sermone, era “artefice di mille trucchi”. 58

 

La falsità di chi operava bagatelle sia si fosse trattato di un prestigiatore o di un maestro di inganni, venne pertanto a essere accomunata alla falsità dell’avversario di Dio, per eccellenza il nemico di ogni virtù. Anton Francesco Doni, accademico Peregrino, nei Marmi (anni di composizione 1552-1553), mette in bocca a Ghioro, al termine della lettura di un libro di massime ed esortazioni, le seguenti parole:

 

Ghioro: Lieva Signore via de la Corte tua primamente, tutti gli Adulatori; perche chi ama l’adulatione, è nimico della verità. Scaccia i Buffoni, bandisci i Cerretani, et i Maestri di Bagatella, conciosia che son tutti gente da beffe, et un Signore che sta sempre involto nelle cose leggieri, malvolentieri spedisce gravi negotij. Tutti i vagabondi, et gli instabili, sien sempre lontano da te; perche questi son nemici della virtù”. 59

 

I prestigiatori venivano considerati vagabondi e instabili per eccellenza in quanto per lavoro erano costretti a spostarsi in continuazione da una località all’altra, anche se tendenzialmente non bene accetti. I contesti in cui l’abilità del prestigiatore era guardata con sospetto, al limite del truffaldino, erano in effetti frequenti. Riporto, come esempio, il resoconto di un fatto accaduto in Alto Adige tratto dal Viaggio in Alamagna di Francesco Vettori, viaggio da lui compiuto nel 1507-1508 e dato in breve alle stampe:

 

“Dopo mangiare, capitò nell’osteria uno ciurmatore e giucolatore di bagatelle et aveva gran seguito di gente. E, se bene parlava italiano, adoperava più le mani che la lingua, di sorte che ragunò, con questa sua articella, qualche somma di crazie. Quello facessi non dico, perché noi altri siamo tanto usi a vedere simil cose che scriverle saria superfluo. Nè avea in tutto finito di raccorre e’ danari e rassettare le sue bagatelle, che sopraggiungono quivi forse didici famigli e con furia lo legorno e menoronlo”. L’oste spiegherà poi al Vettori che non era costume di Alamagna farsi portar via i danari “con questi modi”. 60

 

Da questo e dagli altri esempi letterari sopra riportati, si evince che per bagatelle erano intesi sia i giochi di prestigio che gli strumenti del mago o le azioni furbesche in genere, e non le persone che le attuavano, come ulteriormente si evince da In lode dell’orinale di Francesco Berni (c. 1520):

 

“Vale altrui l’orinal per tre scarselle / Et ha più ripostigli e più secreti / Che le bisacce delle bagattelle”. In questo passo “per allusione equivoca si confronta l’orinale con la borsa dell’illusionista, fornita di doppi fondi e di tasche segrete, che nascondono gli attrezzi delle sue magie”. 61

 

Pertanto, bagatelle è da intendersi, a differenza del giocolare, non come nomen agentis, ma come nomen actionis. La persona che fa i giochi è il ‘bagattelliere’ o ‘bagattegliere’ oppure il ‘maestro di bagatelle’ e nei tarocchi il Bagatto. 

 

“Bagattelle. per g. fem. t & l dop. Præstigia, Giuochi di mano.

Bagattelliere præstigiator. Colui che fa le bagattelle, frascherie, ciance”. 62

 

Nel Sermo perutilis de ludo, ‘El bagatella’ deve essere inteso invece come soprannome e in alcuni casi, come sopra descritto riguardo al Chaos del tri per uno del Folengo, come attributo della persona agente.

 

Si è notato come i prestigiatori e la loro attività fossero visti con sospetto non solo dalla Chiesa, ma anche dalla società civile. Già in epoca carolingia Carlo Magno aveva emanato norme contro prestigiatori, maghi, indovini, ciarlatani: “Ideo praecipimus ut calculatores, et incantatores, et tempestarii, vel obligatores non siant; et ubicumque sunt, emendentur vel damnentur [...] usque dum Deo inspirante spondeant emendationem peccato rum” (Quindi ordiniamo che non vi siano prestigiatori, guaritori, maghi delle tempeste e indovini, e dovunque siano, vengano puniti e condannati [...] finchè, per grazia di Dio, non promettano di emendarsi dai loro peccati). 63

 

Albino Alkwin (c.735-844) dirà “Qui Histriones et Mimos et Saltatores introducunt in domo suam, quam magna eos immondorum sequitur turba spiritum” (Coloro che introducono istrioni, mimi e saltimbanchi nella loro casa, quanto grande turba di spiriti immondi li segue) 64 e Salviano nel V secolo “Spectacula sunt diaboli”, 65 mentre san Bernardo da Chiaravalle in un sermone del 1150 affermerà “Un uomo che frequenta i giocolieri avrà presto una sposa di nome Povertà. Se accade che i trucchi dei prestigiatori colpiscano la vostra attenzione abituatevi ad evitarli e fuorviatene il pensiero. I trucchi dei prestigiatori non piacciono mai a Dio”. 66

 

Giovanni di Salisbury (1120-1180) consigliò addirittura ai principi di sterminare, piuttosto che nutrire, tutti i componenti della familia diaboli, e fra questi i prestigiatori per i quali non era stata promulgata alcuna legge: “Nam de histrionibus et mimis, scurris et meretricibus, lenonibus et huiusmodi prodigiis hominum, quae principem potius oportet exterminare quam fovere, non fuerat in lege mentio facienda”. 67 (Infatti, per quanto riguarda gli istrioni, i mimi, i buffoni, le meretrici, i lenoni e simili aberrazioni o abominazioni degli uomini che chi governa dovrebbe piuttosto sterminare che favorire, non era stata fatta menzione nella legislazione).

 

In seguito alla richiesta rivolta a Bernardo di Chiaravalle di scrivere le regole per un nuovo ordine che avrebbe portato come nome Militum Xpisti o Milizia del Tempio o Poveri Cavalieri di Cristo, il 14 gennaio 1128 nella Cattedrale di Troyes, alla presenza dei diversi rappresentanti della Chiesa e dopo lungo dibattito, la regola del Tempio venne approvata, dando definitiva nascita all'ordine templare. Bernardo metterà in evidenza nel De laude novae militiae le differenze sostanziali che distinguevano il nuovo ordine dalla cavalleria laica e fra queste il disprezzo verso i mimi, i maghi, i ciarlatani, che venivano respinti come vanità e follia:

 

“Scacos et aleas detestantur; abhorrent venationem, nec ludica illa avium rapina, ut assolte, delectantur. Mimos et mago set fabulatores, scurrilesque cantilenas, atque ludorum spectacula, tamquam vanitates et insanias falsas respuunt et abominantur" (Essi detestano gli scacchi e il gioco dei dadi; hanno in orrore la caccia e nella ridicola persecuzione degli uccelli non trovano l'usato piacere. Evitano e aborriscono i mimi e i maghi, gli affabulatori, le canzoni indecenti e gli spettacoli ludici, che condannano e respingono come vanità e follie ingannatrici). 68

 

D'altronde non poteva essere diversamente, così come scrive Jacques Le Goff sul concetto di lavoro nell’alto medioevo:

 

“l’uomo deve lavorare a immagine di Dio. Il lavoro di Dio è la creazione. Ogni professione che non sia creativa è dunque infame o inferiore. Bisogna fare come il contadino, che crea la messe, o almeno come l’artigiano che trasforma la materia prima in oggetto. Non potendo creare, bisogna trasformare - «mutare» -, modificare - «emendare» - migliorare - «meliorare». Perciò è condannato il mercante, in quanto non crea nulla. È questa una struttura mentale essenziale della società cristiana, nutrita di una teologia e di una morale fiorite in regime precapitalista. L’ideologia medievale è materialista nel senso stretto. Ha valore solamente la produzione di materia. Il valore astratto definito dall’economia capitalista le sfugge, le ripugna, è condannato da essa 69. Un concetto che “appare nettamente in diversi manuali dei confessori, in particolare in Tommaso di Cobham che cita a questo proposito Aristotele”. 70

 

Più tardi, tra il secolo XI e XIII, la rivoluzione economica porterà a limitare il disprezzo verso molte professioni prima ritenute peccaminose. Causa di condanna dei mercanti, degli artigiani come di qualsiasi altra attività, rimarrà la cattiva intenzione, cioè l’agire per cupidigia - ex cupiditate - e per amore del guadagno - lucri causa. Con questa lettura della lucri causa e dell’ex cupiditate occorre valutare la presenza dell’Artixan nei cosiddetti Tarocchi del Mantegna: un monito indirizzato agli artigiani affinché non seguissero queste due cattive intenzioni, responsabili di condanna e conseguentemente di rovina della propria anima. Un insegnamento che nel proseguo sarà indirizzato verso tutti coloro che agivano tramite bagatelle.

 

L’atteggiamento della Chiesa rimarrà comunque costante nella condanna dei prestigiatori. Nel secolo XIII Bertoldo da Ratisbonda respingerà dalla società cristiana solo l’accozzaglia dei vagabondi, degli erranti, dei ‘vagi’. Essi formeranno la familia diaboli, la famiglia del diavolo, di fronte a tutti gli altri mestieri, a tutti gli altri stati ormai ammessi nella famiglia di Cristo, la familia Christi. Tutti i componenti della familia diaboli erano collocati in fondo alla scala sociale perché non soltanto conducevano vita disonesta, ma soprattutto perché inducevano gli altri a farlo. La loro pericolosità era quindi duplice, come duplice il loro peccato. Ma la riprovazione della Chiesa non si rivolgeva esclusivamente a loro: con pari intensi­tà la condanna cadeva anche sugli spettatori. In questa censura i domenicani non furono da meno degli altri ordini religiosi: in un passo de Il Salterio di Gesù e Maria, dove per Salterio deve intendersi il Rosario, il domenicano bretone beato Alano de la Roche (1428-1475) racconta l’incontro di san Domenico con bestie infernali. Alla domanda di quest’ultimo di manifestarsi, queste diranno di essere “le quindici Regine dell’Inferno, le seduttrici del mondo” e di esercitare il comando “sugli stessi maghi e sui prestigiatori simili ad essi” oltre che sugli astrologi, in quanto “quei presagi, che essi fingono di predire, come veri dagli astri, sono inventati dai nostri inganni”. 71

 

Cinque erano considerati i modi con cui i demoni potevano ingannare così come descritti da Tommaso Garzoni nel Il serraglio de gli stupori del mondo:

 

Appartamento prestigioso

 

Stanza Seconda - Sommario

 

"Si dimanda prestigio Demoniaco essercitato ò dal Demonio istesso, ò da magi operanti per virtù di quello, quando però à ciascun di questi sia permesso da Iddio: conciosiacosache gli Demoni per propria natura hanno una certa potestà sopra certe cose inferiori, la quale possono essercitare circa quello quando Iddio lo permette loro; per far, che quelle cose, che appaiono altrimente di quelle che sono. Et però dee sapersi, che in cinque modi può il Demonio prestigiare, overo illudere alcuno, et far si, che giudichi una cosa in altro modo di quello, ch’è in effetto.

Il primo modo si fà con l'agitatione, ò trattatione artifitiosa, ... & questo lo può fare anco il Demonio, & molto meglio dell'huomo, potendo egli molto meglio dell'huomo saper le cose che per arte si fanno, e accommodarsi meglio à quelle. Il secondo modo si fa con l'applicatione, ò adhibitione, o interpositione d'alcun corpo, che s'interpone fra l'occhio, et la cosa veduta, come s'è detto nel dichiarar la seconda sorte di Prestigio, perche con queste cose tali meglio dell'huomo può illudere il Demonio conoscendole anco meglio di quello. Il terzo modo è, quando nel corpo assonto si mostra d'essere una cosa, quale non è; si come per esempio narra San Gregorio nel primo libro de' suoi Dialoghi di una Monaca, la quale mangiò una Lattuca, che invero (si come disse il Diavolo) non era Lattuca, ma si bene un Demonio in forma di lattuca, overo ch'egli era in quella lattuca; come anco apparse à Santo Antonio in forma d'una massa d'oro nel deserto, et come parimente fà, quando coprendo un vero huomo, lo fà apparere un'altro animale, et bestia. Et cotesta non è gran maraviglia (dice il Pico nella sua stria) perche se un corpo può ingannare gli sentimenti corporali, et fargli parere una cosa altrimenti di quello, che è, si come vediamo che fà il vetro, il qual imprime quel suo colore nell'occhio per cotal modo, che fa parere tutte l'altre cose simili à se nel colore, benche siano altrimente in se colorate; quanto maggiormente i spiriti ignudi da ogni corpo, cioè gli demoni potranno conturbare la fantasia, et ingannare gli occhi, et gli altri sentimenti delle creature inferiori? Et più di sopra dice il Pico, che pare, che i Demoni mutino una specie di un'animale in un altra; et non è vero, che cosi sia: Ma è ben vero, che cosi fà apparire, overo imprimendo dette specie, et figure finte nell'imaginatione, e fantasia, overo mettendo avanti gli occhi corporali un'altra spetie finta, et figura. Il quarto modo è, quando ei turba l'organo visivo facendoli apparire una cosa per un'altra: verbi gratia una cosa oscura, facendola apparire chiara, da un'altra chiara facendola apparere nubilosa. Il che può anco procedere per via naturale, come per isperienze si vede in quelli, che piangono, che dopo il pianto per gli humori ivi congregati alle volte la luce gli appare altramente di quello, che pareva per innanzi, et fregandosi li occhi dopo il fregare si vedono le cose in altro modo, che per innanzi non si vedevano: col qual modo, e Demoniacamente, et naturalmente una vecchia appare all'occhio altrui talvolta giovane; si come à Fulgentio Lionello, parte per la fantasia corrotta intorno alle donne, parte per l'organo del viso ordinariamente conturbato, successe un giorno, che un cataletto da morti apparato, gli parve che fosse una Gentildonna distesa in Chiesa v'accorse per aiutarla à levare in piedi con grandissimo riso di alcuni circostanti. Il Quinto modo è quando il Demonio opera nella nostra potenza imaginativa, & questo fa con la commotione degli humori transmutando le specie sensibili, accioche nelle potentie sensitive si causino quasi fresche, et nuove apparitioni; come sarebbe verbi gratia (dicono il Spranger, et l'Institore nella parte seconda alla questione prima) quando quelle cose, che sono ignee, overo aquatiche facesse apparire terrestri, overo secche”. 72

 

La condanna dei bagattellieri rimase ferma e costante per il carattere vano e ingannevole delle loro azioni. Così scrive Tommaso Garzoni da Bagnacavallo nel capitolo Formatori di spettacoli in genere, e de’ ceretani o ciurmatori massime della sua Piazza universale di tutte le professioni del mondo (1585):

 

“Ma ci è una certa sorte di spettacol moderno trovato da varie specie di ceretani, del qual inten­do, per curiosità del mondo, [...] particolarmente ragionare. I ceretani dunque [...] fra la vilissima plebe s'hanno acquistato ormai credito tale che molto maggior concorso con più lieto applauso si fa loro ch'agli eccellenti oratori del verbo divino e agli onorati catedranti delle scienze e arti ingenue, di piccola corona rispetto a loro circondati intorno. Fu di questa professione qualche memoria an­cora presso agli antichi, essendo che i bagatellieri, latinamente detti gesticolatores, e, secondo i Greci, chironomi, ottennero qualche nome fra loro, dando piacere con le bagatelle e frascherie [...]. Ma a' tempi nostri, il numero e le specie di co­storo son cresciute a guisa della mal'erba, in modo che per ogni città, per ogni terra, per ogni piazza non si vede altro che ceretani o cantinbanchi, che più pre­sto mangiaguadagni puon dimandarsi che altramente. E tutti con vane arti e in­ganni illudono le menti del popolazzo, e allettano l'orecchia a sentir le frottole raccontate da loro, gli occhi a veder le bagatelle, i sensi tutti a stare attenti alle prove ridicolose che in piazza fanno”. 73

 

Alcuni di questi ‘peccatori’ si convertirono donando alla Chiesa i propri beni acquisiti tramite il loro lavoro. Nell’anno 1058 un certo Alberto pentitosi della vita condotta fino ad allora, fece una donazione alla canonica “consistente in due pezze di terra con case, e cinque chiusure di campi arativi” 74. Dal che si può dedurre quanto quel tipo di attività fosse lucrativa.

 

A questo punto, a chi si chiede per quale motivo venne inserita la figura di un prestigiatore quale carta iniziale dei trionfi, rammentiamo il significato etico-cristiano che connota l’intera struttura trionfale, 75 già enunciato altrove 76 e che di seguito riportiamo:

 

“Dal primo ordine di trionfi conosciuto 77, risalente all’inizio del Cinquecento, risulta evidente che si trattava di un gioco a sfondo etico. Il Prestigiatore (Bagatto) raffigura l’uomo peccatore a cui sono state date guide temporali, l’Imperatrice e l’Imperatore e guide spirituali, il Papa e la Papessa (la Fede). Gli istinti umani devono essere mitigati dalle virtù: l’Amore dalla Temperanza e il desiderio di gloria e potere, ossia il Carro, dalla Forza (la cristiana virtù Fortitudo). La Ruota della Fortuna insegna come ogni successo sia effimero e che anche i potenti sono destinati a diventare polvere. L’Eremita, che segue la Ruota, rappresenta il tempo al quale ogni essere deve sottostare e la necessità per ciascun uomo di meditare sul valore reale dell’esistenza, mentre l’Appeso (il Traditore) denuncia il pericolo di cadere nella tentazione e nel peccato tradendo il proprio Creatore prima che la Morte sopraggiunga.

 

Anche l’Aldilà è rappresentato secondo la tipica concezione medievale: l’Inferno e quindi il Diavolo, è posto sotto la crosta terrestre sopra la quale si estendono le sfere celesti. Come nel cosmo aristotelico, la sfera terrestre è circondata da un cerchio di fuochi celesti, raffigurati da fulmini, che colpiscono una Torre (luogo abitato da peccatori)). Le sfere planetarie sono sintetizzate dai tre astri principali: Venere, la Stella per eccellenza, la Luna e il Sole. La sfera più alta è l’Empireo, sede degli Angeli che nel giorno del Giudizio saranno chiamati a risvegliare i morti dalle loro tombe. In quel giorno la Giustizia divina trionferà, pesando le anime e dividendo i buoni dai malvagi. Sopra tutti sta il Mondo, cioè ‘El Dio Padre’, come scrisse l’anonimo monaco che commentò i trionfi dei tarocchi verso la fine del Quattrocento. Lo stesso religioso pose il Matto dopo il Mondo, come a indicare la sua estraneità a ogni regola e insegnamento in quanto, difettandogli la ragione, non era in grado di comprendere le verità rivelate. 78 Nello stesso tempo la struttura dei trionfi, manifestante un’educazione etica attraverso i vari gradini (trionfi) della scala, suggeriva al non credente, impersonato anch’egli dal Matto / Insipiens - considerato tale perché non credente anche se dotato di ragione - di poter giungere alla contemplazione del Divino percorrendo la via dello Spirito”.

 

Risulta più che ovvio che un simile tipo di insegnamento non mirava a riassumere l’etica religiosa cristiana alle persone sagge e virtuose, ma ai peccatori, a coloro che più di altri necessitavano di essere convertiti. Va da sé che inserendo l’immagine del Bagatto, nella sua accezione di ‘azione truffaldina’ (nomen actionis), si volle mettere in evidenza un punto di partenza che rappresentava il simbolo per eccellenza del peccato. Con la domanda “perché proprio la figura di un prestigiatore e non di un altro peccatore” rispondiamo dicendo che la Chiesa considerò la bagatella come una delle massime espressioni del peccato, tanto da creare un tòpos che dal Quattrocento, epoca in cui il termine apparve, si perpetuò nella storia della Chiesa fino al diciannovesimo secolo.

 

L’abate de Feller commentando l’opera di François Louis Gauthier (1696-1780) Traité contre l’amour des parures et de luxe des habits (Trattato contro l’amore per gli ornamenti e il lusso degli abiti) 79 scrive:

 

“Il titolo ricorda l'eccellente trattato dello stesso autore su Les mauvaises chansons [Le cattive canzoni], 80 un soggetto che gli spiriti del secolo trattano da bagatella e che è una delle grandi fonti della corruzione dei costumi e del libertinaggio sfrenato, che getta nell'inquietudine e nella desolazione tutti i livelli della società” (Le titre de l’ouvrage rappelle l’excellent traité sur les mauvaises chansons, matière que le esprits dù siècle traitent de bagatelle et qui est une des grandes sources de la corruption des mœurs et du libertinage effréné qui inquiète et désole tous les états de la société). 81

 

Scrive il Feller che il Gauthier intende, con s. Paolo, che “le donne che fanno professione di Religiosità (e lo stesso vale per gli uomini) siano vestite con abiti dignitosi, e che siano ornate con modestia”Aggiunge che gli uomini che si occupano troppo dei loro ornamenti passano per effeminati e le donne per vanitose e facili “Perché se quelle donne sono caste, la castità si manifesta anche in mezzo a quelle bagatelle. Si dice che quegli ornamenti non danno motivo di pensar male; ma io replico che il Diavolo pensa sempre male” (Testo originale: Il veut, avec S. Paul que les femmes qui font profession de Piété, - & il en faut, dit-il, dire autant des hommes - soient vêtus d’Habits bienséans, & qu’elles soient modestement parées. Il ajoûte que les hommes qui s’occupent trop de leurs Parures, passent avec raison pour des efféminés, & les femmes pour être vaines & faciles. Car, dit-il, si elles ont de la chasteté; elle ne paroît pas au moins dans ces bagatelles. On dit qu’on n’y pense pas de mal; mais je réponds que le Diable en pense toujours).

 

Di seguito, prendendo in esame l’opera dell’abate Maydieu Histoire de la vertueuse portugaise; ou le modèle des femmes chrétiennes sull’istruzione del popolo, 82 il Feller scrive: “On verra dans cet ouvrage des tableaux alarmans de tous les genres de vices, et sur-tout de celui que la dégradation des mœurs distingue par le nom di bagatelle” (Si vedranno in quest’opera dei resoconti allarmanti di tutti i tipi di vizi, e soprattutto di quelli che la degradazione dei costumi indica con il nome di bagatelle), fornendo di seguito, in nota, il significato di bagatella:

 

“On appelle la bagatelle le péché qui degrade plus la nature humaine, qui l'énerve, qui l'aveugle, qui la depouillant de sa noblesse et d'une fierté legitime, l'asservit aux plus humiliantes sensations. C'est bien avec raison que le Sage nous avertit, que l'homme insensé commet le crime, par manière de badinage: Quasi per risum stultus operatur scelus. Prov. X. 10" (Chiamiamo bagatella il peccato che degrada maggiormente la natura umana, che la snerva, che l’acceca, che spogliandola della sua nobiltà e di una sua fierezza legittima, l’asservisce alle sensazioni più umilianti. È ben a ragione che il Saggio ci avverte che l’uomo insensato commette il crimine alla maniera di una burla. Quasi ridendo lo stolto commette peccato. Proverbi, X, 23). 83

        

Commentando il passo dei Proverbi potremmo affermare, come altrove già scritto 84, che lo stolto è il Matto dei tarocchi, che necessita di uscire dalla situazione di non credente per giungere addirittura a diventare, seguendo le orme del santo di Assisi, folle di Dio. Il Bagatto crede in Dio ma ritiene di poter sorvolare su tante cose imposte dalla Chiesa ritenendole bagatelle, mancanze di poco conto. Fra queste, il non occuparsi troppo o per nulla della propria anima, il trascorrere il buon tempo concesso da Dio per curare eccessivamente il proprio corpo, il divertimento e il litigare, fino a giungere a considerare come bagatella addirittura la messa e l’eucarestia. La Chiesa prese a prestito il termine con cui certe lingue identificavano un peccato di poca importanza, tutto sommato un peccatuccio, elevandolo al contrario a nome e simbolo di grande colpa. Gli esempi in tal senso sono innumerevoli. Ne riporterò diversi, iniziando dal XIX per giungere a ritroso al XVI secolo.

 

Dice il presbitero Giuseppe Cafasso (1811-1860) rivolgendosi alla gioventù:

 

“Giovani, e figlie, che m’ascoltate, voi sentirete soventi a dire nel mondo che quelle facezie, que’ peccati sono un niente, sono bagatelle; che non è vero sieno peccati così grandi, che Dio mandi all’Inferno per questo che li castighi poi tanto; sentite: guardatevi bene da queste lingue, lasciate dire, lasciate fare, voi state fermi a ciò, che la fede vi dice. Essere queste cose il più gran male, e condurre all’inferno tante anime disgraziate: si sente purtroppo sulla bocca di tanti, che la legge di non mangiar carne Venerdì e Sabbato è una minchioneria, un impostura, un capriccio degli uomini, e nessun uomo avere questo diritto; si sente di più che non v’è bisogno d’andarsi a confessare, potersi salvare senza la Confessione, essere un peso messo dalla Chiesa, e non da Dio: falso miei cari, falso: la fede ci obbliga a credere che i Sacramenti e fra questi la Confessione, furono da Dio istituiti; la fede ci obbliga a credere, e professare, che la Chiesa, fu fondata da Dio, aver ricevuto da lui medesimo tutta quella autorità, che vuole ed esigge il bene delle anime. O credere tutte queste verità, o rinunziare al battesimo, rinunziare al nome, ed al carattere di cristiani”. 85

 

Giacomo Margotti (1823-1887), sacerdote e dottore in Teologia, scrive:

 

“Quanto alla questione del pane, che comprende tutte le questioni di agiatezza, e di bella e buona vita, questa si cura a tutto uomo. Quanto a quella, che riflette l'onore di Dio, e il progresso morale del cittadino, si reputa una bagatella”. 86

 

Così il cappuccino della provincia veneta Marino di Cadore (Giuseppe Zanetti, 1745-1827):

 

“Eccolo quindi sotto il peso di que’ peccati che si credon da noi bagatelle dappoco, fragilità di natura, convenienze di mondo, dal peso di questi peccati aggravato cade Gesù Cristo, cade boccone a terra, l’allegrezza del Cielo si attrista, la gloria degli Angeli rendesi mesta, assalito l’autor della vita dall’orrore di morte: tristis, trìstìs est anima mea usque ad mortem”. 87


In tal modo Giuseppe Antonio Costantini (1692-1772)

 

“E' un grande inganno il nostro, e pur troppo comune alla maggior parte delle Donne, e credo anche degli Uomini, il credere di soddisfare ai doveri di Religione con bagatelle, che niuna violenza ci costano. Credere di poter accarezzare le nostre passioni, ed essere amici di Dio. Aver cuore di Lupo, ed aver sopravveste di Agnello. No, nò; non c' inganniamo, amica dilettissima; bisogna prima purgare l'interno, e vincere quelle inclinazioni, che ci rendono nemici di Dio. Ma nudrire un cuor nero, ed avere la veste candida, sarà sempre il colorito del tradimento”. 88

 

Angelo Paciuchelli da Montepulciano (sec. XVII), frate dell’Ordine de’ Predicatori e Provinciale della Provincia Romana scrisse in proposito:

 

“E gran vituperio de gl’ huomini, che essi vestano vanamente, e s’adornino quasi che fossero donne [...] A questi giorni passati si è veduto un tale, che trovandosi in chiesa, overa molta gente, alla presenza di tutti, trasse uno specchietto dal cinto del suo cappello, molto artifiziosamente accomodatovi, e rimirandosi in esso, si acconciò il collare, i capelli, e la barba. Non finirebbe mai chi volesse discendere a’ particolari, e descriver le tante lor bagatelle, e pazzie”. 89

 

Così F. Benedetto Fedele di San Filippo (sec. XVII), francescano del terzo ordine dal Panegirico Decimoquarto: Non può esser giammai piccolo colui, che attende all’acquisto di cose grandi. Mentre l’uomo è piccolo, per l’acquisto di cose piccole, d’un pomo, d’una vesticciola, o di simile bagatella, s’affatica". 90

 

Il poligrafo e avventuriero Gregorio Leti (1630-1701) nel seguente passo dell’Historia Ginevrina mette in guardia le autorità religiose affinché impongano ai parroci di portare pace all’interno delle famiglie invece di far prediche che solo il vento avrebbe ascoltato. Una cura pastorale più che necessaria perché le divisioni famigliari avrebbero condotto i litiganti, a causa di queste bagatelle che essi non consideravano peccati, a essere castigati della giustizia divina:

 

“Dagli Huomini più savii io hò sempre inteso dire, che per rimediare à questo inconveniente, converrebbe sgravare i Ministri di quel peso di tante Prediche inutili che si fanno al vento, o pure a’ banchi delle Chiese, e raccommandarli un poco meglio la cura Pastorale, nella visita degli Infermi, e nel mantenere la buona unione tra le Famiglie, poiché ardisco dire con mio rossore, che gli Huomini più libertini, non che quelli più dabene si scandalizzano nel vedere in Geneva tante distintioni, tante discordie, e tante nemicitie tra Padre, e Figlio, tra Marito, e Moglie, e tra prossimi parenti, senza che alcuno Ministro si mescoli a pacificarli con carità Christiana, prima d'àndare per bagatelle nella giustitia; gli ordini della Chiesa son'ottimi in questo, se fossero ben' osservati, & eseguiti”. 91

 

Per giungere alla partecipazione della gloria divina, serviva, come affermò il minore cappuccino Francesco da Sestri (1619-?), abbandonare le bagatelle terrene, così come fanno i bimbi una volta usciti dalle loro fasce:

 

Ragionamento I - Parte seconda

 

"Mà, passando dalla lettera allo spirito, con molta ragione si celebrava con feste, con musiche, e conviti il giorno, che si spoppavano i putti; perché misticamente figurava quello, in cui i fanciulli cominciavano non semplicemente a vivere, ma à ben vivere: in cui lasciano d’essere pargoletti bisognosi di latte, e principiano ad essere huomini, che si nodriscono d’alimento più sostentioso, per crescere nella virtù: in cui, usciti dalle fasce, dalle minutie, e bagatelle terrene, s’introducono ad investigare, à cercare, & à dimandare beni celesti, & eterni: in cui, staccati dalle poppe del mondo, e dalle lusinghe della carne, sospirano, ed aspirano a’ diletti, e contenti di Paradiso, che realmente gustano alla mensa del Padre Eterno preparata nel Sacramento Eucharistico, che propone loro il vitello saginato, che ingrassa l’anime, e le impingua di gratia; perché à suo tempo siano partecipi della gloria”. 92

 

Lorenzo de Zamora († 1614), monaco cistercense e lettore di scrittura sacra presso il Collegio di San Bernardo di Alcala, parlando degli attributi dell’essenza divina denunciò con assoluta fermezza, reputandoli bagatelle privi di vita e senza spirito, gli idoli e “certi Dearelli”:

 

Delli attributi della Divina Essenza (Libro primo - Discorso quarto)

 

"Sono certi Dearelli fatti al gusto di ciascuno, figuruccie, & bagatelle senza spirito, e senza vita, & pvavoluccie simili a quelle che tal’hora, mentre lavorano in casa delle loro Maestre, sogliono fare le fanciulle. Et anco in questo se le attribuisce troppo honore, perché le pvavoluccie, & figurine rappresentano pure qualche cosa, ò una gratiosa sposa, ò un giovane lascivo, overo altre somiglianti cose. Ma gl’ Idoli sono un niente, una vanità, e chimera, che dentro all’intelletto l’huomo forma... Dio è uno solo, e singolarissimo, che habita in se medesimo, & non come credono alcuni, in un luogo fuora dell’universo; è tutto in se medesimo, è tutto in tutte le parti intiero, considerando, & ordinando le generazioni delle cose. Un Dio solo habbiamo, & tutto il resto è burla. Nil est in mundo. Bagatele & frascherie sono gl’Idoli adorati dalla Gentilità per Dei". 93

 

Il 17 novembre 1616 il Sacro Tribunale dell’Inquisizione di Venezia indagò su un monsignore di Spalato, sospettato di eresia per aver trasmesso in Inghilterra “scripta contraria sanctae romanae ecclesiae ac fidei catholice” (scritti contrari alla santa romana Chiesa e alla fede cattolica). Durante l’interrogatorio di alcuni testimoni, uno di loro ammise che in effetti quel monsignore era andato in Inghilterra allo scopo di far pubblicare una nuova dottrina differente da quella cattolica, da lui considerata invero una bagatella. Un’orrenda colpa per l’Inquisizione.


“Vocatus comparuit reverendissimus dominus Sfortia Ponzonus archiepiscopi  Spalatensis, cui delato iuramento de veritate dicenda, pront tacto pectore, imantinenter”.

Interrogatus, che dica quello che sa intorno alla partenza di monsignor Marco Antonio de Dominis suo precessore, et circa il manifesto o consiglio stampato da esso, et del quale già si è havuto notitia in questo santo tribunale.

Respondit: Io conosco benissimo, che detta lettera è scritta et sottoscritta di sua propria mano di esso monsignor de Dominis già arcivescovo di Spalato, perchè ho pratica della sua mano, havendo havuto molte altre sue lettere mentre io era a Roma.

Interrogatus, che dica, che cosa habbia inteso dal fratello di quel, che ha detto di sopra circa il suo viaggio et pensieri.

Respondit: scoprii, che il suo viaggio era verso Ingilterra con pensiero di publicar nova dotrina e discrepante da quella, che tiene la chiesa catholica, come mio fratello dirà più pienamente.

Interrogatus: se detto monsignor per viaggio o in altro loco gli habbia significato la causa, per la quale andava in Inghilterra.

Respondit: disse, che andava per accomodar alcune bagatelle in materia della religione et fede, cioè che quelli de Inghilterra da noi sono tenuti per persi, et lui voleva unirli con noi altri con poca cosa, dicendo, che facilissimamente haerebbe fatto" 94.

 

Il domenicano e filosofo nonché teologo e poeta Tommaso Campanella, al secolo Giovan Domenico Campanella (1568-1639), per le sue convinzioni religiose subì ben cinque processi. Di seguito alcune dichiarazioni di testimoni interrogati dalla Sacra Inquisizione in merito al Campanella e ai suoi discepoli:

 

Primo processo fatto da fra Marco da Marcianise e fra Cornelio di Nizza in Monteleone.

 

“Atti institutivi del processo co’ capi d’accusa; 17bre 1599” (Inquisitionis Acta contra PP. Fratres Thoman Campanellam, Dionisium de Neocastro, Johann Baptistam de Pizzone et alios Inquisitos). 95

 

Esame di Cesare Pisano, clerico, 19 ottobre

 

"(Domanda sul Campanella) “Interrogatus [...] disse ancora [...] che il sacramento dell’altare è una bagatella di adorare et che è niente, et una follia a crederlo”. 96  

 

Esame di Gio. Tommaso Caccia, clerico, fuoruscito, 19 ottobre

 

(Domanda su Frate Dioniso) “Interrogatus... respondit: Padre, vi dico la verità, dal Pontio io non intesi salvo che una heresia, che stando a Pizzoni insieme nel dormitorio et havendo io sentito sonar le campane a messa gli dissi, Fra Dionisio, io voglio andare a messa, et egli all’hora mi disse che messa, burlandosi del sacrificio santo, et soggionse che erano giocherelle, et essendo io scandalizzato et dicendo Tu che sei monach dovresti mostrarmi devotione et dici che la messa è cosa giocarella, et a questo esso soggionse, o chiotto questa è una bagatella, et io allora me ne calai a basso a sentire la messa che disse Fra Silvestro, et lui si partì via senza venire a messa”. 97

 

Nel sommario del processo contro il Campanella redatto dal monsignor di Caserta (Summarium Processus contra Fratrem Thoman Campanellam), un testimone interrogato

 

“respondit dove dice quod Santissimus Sacramentus eucharestiae erat solum pro ratione status, dico che fra Cornelio scrisse ch’io l’avessi detto et non dissi tal cosa ne sò che voglia dire ragione di stato, ne tampoco hò inteso dal Campanella che questo sacramento fusse una bagatella, et che fusse pazzia credere che in esso fusse il Corpo di Christo: ma disse circa il sacramento erano alcune superstizioni et altre parole che mi parvero cattive, mà non so che lui apertamente negasse nell’hostia consacrata ci fusse il corpo di Christo”. 98.

 

Restando sempre in ambito inquisitorio, un libretto manoscritto della metà del sec. XVI ci informa su un processo istituito a Modena contro eretici o sospetti di appartenere a orientamenti non conciliabili con il credo cattolico. Alcuni di loro erano accusati di suffragare posizioni teologiche di una certa gravità: un Giacomo Graziani è delatus de eucherestiade delectu ciborum e de libero arbitrio [accusato riguardo l'eucarestia, il piacere del cibo e il libero arbitrio] e proprio sull’Eucarestia si concentrarono le critiche verso gli inquisiti Ferrante Castaldi e Ventura Paroleno, di cui un teste riferì che cum consecrasset plures hostias dixit molto credere che queste bagatelle sieno il corpo di Christo, cioè che [uno di questi] riteneva l’ostia consacrata al pari di una bagatella, ovvero una cosa di poco conto, quasi uno scherzo. 99

 

In una lettera del 1515 inviata a Martin Dorp (1485-1525) da Thomas Moore (1478-1535), quest’ultimo, con lo scopo di commentare e discutere una valutazione teologica dell’amico, riporta una frase che lo stesso Dorp aveva scritto a sua volta in una missiva indirizzata a Erasmo. Questo il passo in questione attraverso la traduzione critico-filologica della lettera originale:

 

Da una “Lettera di Thomas Moore a Martin Dorp (Bruges, 21 ottobre 1515)”

 

“Non credere, Erasmo, che per essere un teologo perfetto sia sufficiente conoscere il senso letterale della Bibbia, o saper trarne i significati morali come un nuovo Origine. Si devono imparare molte altre cose, più difficili da capire e più utili al gregge per il quale Cristo è morto. Altrimenti come si farà a sapere come si debbono amministrare i sacramenti, quale la forma di essi, quando si deve assolvere il peccato e quando no, fin dove giunge il dovere della restituzione, e che cosa si può trattenere, e molte altre cose del genere? Se non mi sbaglio, con molta minor fatica si può imparare a memoria gran parte della Bibbia, prima di sapere come sciogliere il nodo di uno solo di questi dubbi aggrovigliati che si presentano ogni giorno, dove c’è da soffermarsi a lungo magari su quattro parole. A meno che tu non voglia chiamare bagatelle [nænias nell’originale in latino] di teologi tutto quanto si riferisce ai sacramenti, senza ai quali, bada, la santa Chiesa cattolica di Dio insegna che è in pericolo la salute degli uomini”. 100

 

Dopo di che Moore scrive: “T’assicuro Dorp, se tu stesso non avessi scritto queste parole niente mi avrebbe mai fatto credere che queste siano le tue opinioni”. 101

 

Testo originale in latino:

 

“Non persuadeas, Erasme, tibi eum demum absolutum esse theologum, qui Bibliæ seriem ad litteram intelligat; nec eum item qui morales sensus, æque atque alter Origines novit erigere. Multa restant discenda, ut intellectu difficiliora, ita et utiliora gregi pro quo mortuus est Christus. Alioqui qui sciemus, ut sacramenta sint administranda; quænam sint eorum formæ, quando absoluendus peccator, quando sit reijciendus; quid præceptum sit restitui, quid servari possit; et innumera eiusmodi? Multum nisi erro, longe minori opera bonam Bibliae partem edisceres, priusquam vel unius perplexitatis nodum discas dissolvere; cuiusmodi plurimi cottidie occurrunt, ubi vel in quattuor verbis diutissime hærendum est. Nisi tu has etiam voces theologorum nænias (1), quæcunque ad sacramenta pertineant; sine quibus tamen Sancta Dei Ecclesia Catholica profitetur salutem hominis periclitari”. Crede mihi, Dorp, nisi hæc tute scriberes, nunquam adduci possem, hæc te sentire ut crederem). 102

 

(1) nænias è qui un equivalente latino standard di bagatella, usato in una forma o nell'altra sin dal Medioevo.

 

In nota al suo Bagatelle e figmenta: Pompanazzi e Averroè, Gilberto Sacerdoti scrive sulle bagatelle nel contesto dell'opera Colloque del filosofo e giurista Jean Bodin (1529-1596), 103 come tradotto in francese dal latino nel XVII secolo da autore anonimo. Si tratta di un dialogo tra sapienti immaginati che rappresentano diversi punti di vista teologici. Ottavio rappresenta l'Islam, Curzio difende il Calvinismo e Salomon il Giudaismo. In un'edizione del 1984 Sacerdoti cita specifiche pagine della traduzione seicentesca.

 

p. 257: Bodin asserisce che le bagatelle erano certe credenze utili alla salvezza, ma in realtà appartenenti alla superstizione 104 come l’uso ebraico dei filatteri e quello cattolico-romano di appendersi al collo l’inizio del Vangelo di san Giovanni.  pp. 268-269: il musulmano Ottavio afferma che il Corano conteneva solo cose importanti e “rient qui sent bagatelle” (nulla che siano bagatelle), ma Curzio risponderà che “quando i mussulmani credono di cancellare i loro peccati lavandosi spesso” si tratta di “racconti da fare ai bambini” e che tale pratica non è facilmente distinguibile da quella osservata dagli “Indiani occidentali della Nuova Spagna, che quando vomitano ai piedi degli altari e dei loro idoli, credono che sono i loro peccati che se ne vanno”. p. 414: Salomon considera “una bagatella di cui non merita parlare” tanto “la visione sul monte Tabor dove Mosè ed Elia, a destra e a sinistra, assistettero al trionfo di Gesù Cristo” quanto l’eclissi solare avvenuta in corrispondenza della morte di Gesù. p. 500: Salomon considera come bagatelle tutte le ‘sottigliezze’ di tipo teologico. 105

 

Occorre sottolineare che tutto questo riguarda esclusivamente la traduzione anonima del XVII secolo, non il Bodin del XVI secolo, che scrisse in latino, il cui testo non usa infatti termini come de nulla o Nænias, ma una varietà di nomi come ineptiarum, execrabiles e non satis dignam quae refelli mereatur. Tuttavia, l'uso del termine bagatelle da parte del traduttore è interessante, perché dà una svolta leggermente diversa al termine. Se la traduzione è accurata, allora le bagatelle non si limitano a sciocchezze, giochi di prestigio e frodi, ma possono includere anche ciò che chi parla considera superstizioni, assurdità e invenzioni dell'immaginazione trattate come verità. Prenderemo come esempio il testo francese riguardante il passo sulla visione del Monte Tabor e sull’eclisse solare come sopra riportato:

 

“Sans m'arrester a cette Aphoteose de la Montagne de Tabor, qui pour n'estre qu'une bagatelle pour ne merite pas que l'on en parle, ceux pechent lourdement contre l’ histoire qui sont les Autheurs de cette Ecclipse solaire”

(Senza fermarsi a questa Apoteosi del Monte Tabor, che per essere solo una bagatella non merita di essere raccontata, peccano pesantemente contro la storia coloro che sono gli Autori di questa Eclisse Solare).

 

Di seguito la corrispondente frase latina con traduzione letterale (p. 265):

 

“Ut apotheosin Thaboritanam illam, non satis dignam quae refelli mereatur, omittam, graviter peccatur in historiam ab illis solaris deliquii inventoribus”

(Omettendo quell'apoteosi Taborita, non abbastanza degna di meritare la confutazione, è un grave peccato nella storia da parte di quegli inventori dell'iniquità solare).

 

Interessante, a questo proposito, risulta la trattazione di alcuni racconti biblici a opera del celebre filosofo italiano Pietro Pompanazzi (1462-1575), interpretando il filosofo arabo Averroè (1126-1198), per il suo uso del termine bagatella. Sacerdoti scrive:

 

«Commentando il Commentatore davanti ai suoi studenti bolognesi, Pomponazzi [1462-1525] si attarda «con evidente compiacimento su cer­te espressioni d'Averroè, di colore oscuro per ciò che riguarda la fede». «Come dice Aristotele», spiega Pomponazzi, «vivere sen­za leggi è impossibile», chiarendo a scanso d'equivoci che con «leggi» intende parlare «de legibus fidei». Ora, enunciando queste necessarie leggi, il Legislatore religioso è costretto a parlare «in modo diverso dal filosofo». D'altronde ciò che egli si ripropone e che la «multitudo bene faciat», e dunque nei discorsi contenuti nelle sue leges egli «non si cura della verità», perche sa che «co­munque sia una buona parte degli uomini, esattamente come le bestie», non si lascia condurre dalle verità della ragione, ma solo dall'«appetito sensitivo». Di conseguenza, per indurre la comunità a «comportarsi bene» i legislatori dicono, ad esempio, «andrai all'inferno», e dunque nelle loro leggi si comportano esatta­mente come fa «la nutrice col bambino» quando, per educarlo, gli «da ad intendere» una quantità di favole e «altre bagatelle». Per­ché le leggi vengono istituite «ut homines ad pacem reducantur». Tra queste «bagatelle» necessarie all'istruzione del volgo vanno annoverati certi racconti in cui si parla di sacrifici e immola­zioni. Commentando la Poetica di Aristotele, riporta Pomponaz­zi nelle sue lezioni del 1518, «Averroè cita quando Abramo volle immolare suo figlio, e dice che ciò è un figmentum [finzione], e che i legisla­tori, per indurre gli uomini al culto di dio, fingono molte cose, e che è fatuo credere che egli abbia voluto immolare suo figlio, e di­ce che le leggi sono state inventate per gli uomini rozzi, e perché si sia obbedienti a dio». 106

 

Non è quindi da biasimare l’atteggiamento di una certa parte di fedeli razionalisti che consideravano come bagatelle molte storie bibliche, nonostante la Chiesa valutasse tale posizione come peccato.

 

San Vittore (III-IV secolo) in tal modo si espresse davanti al Tribunale dei Prefetti, dopo essere stato torturato inutilmente dall’imperatore Massimiano perché ripudiasse il suo credo:

 

“Ma come potrò io essere condannato, perché preferisco ai beni presenti, e temporali, gli eterni? Non sarei un insensato, se facessi più conto di queste bagatelle [termine tradotto e interpretato dal latino], che de' beni dell'altra vita, i quali sono di un infinito valore? Il favore de' principi, i piaceri, gli onori, la gloria, la sanità, la vita medesima, che altro sono alla fine, se non beni che nè si possono sempre avere, quando si vogliono, nè si possono godere lungo tempo, ed il cui possesso viene di continuo amareggiato dal timore di perderli? Non sarà dunque giusta e lodevol cosa preferire al godimento di qualsivoglia cosa terrena la vita eterna, e la grazia di chi ha creato il tutto, e rende perfettamente felici quelli, che la posseggono? Ora questo bene inestimabile si possiede tosto chè si ama, e chi lo possiede non ha più che desiderare. Nel cedervi pertanto liberamente i beni di cui voi mi parlate, io credo di far un cambio assai vantaggioso, poichè in luogo di un piacere momentaneo vengo ad acquistare una eternità di delizie”. 107

 

Per concludere, una curiosità in campo musicale: alla scena X dell’atto terzo della tragicommedia per musica Don Chisciotte in Sierra Morena, posta in note da Francesco Conti su libretto di Apostolo Zeno e Pietro Pariati, rappresentata a Vienna il 6 febbraio 1719 presso il teatro di corte di Carlo VI, imperatore del Sacro Romano Impero, don Chisciotte si trova con altri personaggi davanti a un teatrino dove attraverso figure di cartone venivano rappresentate le vicende amorose di due amanti contrastati dai Mori. Col mutare delle scene, si giunge a rappresentare una campagna con molte squadre di Mori a cavallo. Don Chisciotte, divenuto furibondo nel vedere così tanti infedeli in cerca degli sventurati amanti, accecato d’ira salì sul palco tagliando a pezzi tutte le figure dei Mori, per poi vantandosi di tale strage compiuta da cavalier errante quale lui si considerava. Nell’assistere a siffatta azione, gli altri personaggi prorompono nei seguenti detti:

 

Queste sono le bravure.

   De gli erranti Cavalieri.

 

Con bamboccj e con figure

   Sono arditi, e son guerrieri:

 

E di simili avventure

   Van fastosi e vanno alteri. 108

 

A questo punto l’atto si conclude con il Ballo de’ Bagattelliere a sottolineare il carattere di don Chisciotte che si vantava di essere il padrone del mondo quando in realtà era solo un bagatto, ovvero un personaggio di scarse qualità e quindi un omuncolo di poco conto.

 

Restando in ambito musicale, a Nicola Matteis (c. 1670 - dopo il 1713), violinista e compositore che in alcune sue pubblicazioni si definì ‘Napolitano’, va attribuita, assieme a giganti come Corelli e Pasquini, l’introduzione dello stile italiano in Inghilterra sotto l’impulso illuminato di Henry Purcell. A lui si deve un ballo assai famoso, straordinario per l’aspetto ritmico e melodico tanto da creare negli ascoltatori la visione di una festa di piazza del tempo, ovvero il Ballo dei Bagatellieri.  

 

Con questo lavoro sull’etimo e significato della parola Bagatella nonché sull’atteggiamento della Chiesa nel tempo, 109 siamo in grado di comprendere esattamente il valore etico-religioso che sta alla base del concetto di scala mistica dei tarocchi. Un insegnamento per l’umanità di quei secoli, legato all’ars memoriae, per ricordare attraverso un gioco di carte cosa fosse il peccato e come evitarlo ricorrendo all’insegnamento espresso dai simboli di questo straordinario corteo trionfale. 110

 

Note


1. 
Ghino Ghinassi, Un dubbio lessicale di Baldassarre Castiglione, in Paolo Bongrani (a cura), Dal Belcalzer al Castiglione: studi sull’antico volgare di Mantova e sul Castiglione.«Biblioteca Mantovana». Vol. 5. Firenze, L.S. Olschki, 2006, p. 268.

2.  Gabbatella derivò da gabbare dal significato di ingannare con frode, da cui gabbato dicesi di persona turlupinata. Riguardo il termine gabbatella si veda Voce Gab. Gabbatelle as Bagatelle: foolish and apish trickets, in John Florio, A worlde of wordes, or most copious, and exact dictionaire in Italian and English. Printed in London, by Arnold Hatfield for Edw. Blount, 1598, p. 42

3. Si vedano:

a Ottorino Pianigiani, Vocabolario etimologico della lingua italiana. Questo vocabolario, la cui prima edizione risale al 1906, è stato stampato sino al 1993. http://www.etimo.it/

b Vincenzo Coronelli, Biblioteca universale sacro-profana - antico-moderna. Tomo V. Venezia, a’ spese di Antonio Tivani, MDCCIV [1704], p. 75. 

c Termine Bagattella in Egidio Menagio, Le origini della lingua italiana. In Geneva, appresso Giovanni Antonio Chouët, MDCLXXXV [1685], p. 80.

Ludovico Antonio Muratori Dissertazioni sopra le antichità italiane. Già composte e pubblicate in latino e poscia compendiate e trasportate nell’italiana favella. Opera postuma, data in luce dal proposto Gian-Francesco Soli Muratori suo nipote. Tomo II. In Milano, a spese di Giambatista Pasquali, MDCCLI [1751], pp. 171-172.

4. Voce Bagatella in Ottorino Pianigiani, Vocabolario citOccorre dire che la moneta chiamata bagattino era già presente verso la metà del Trecento. Essa viene citata nella IX novella della giornata ottava dal Boccaccio nel Decameron: “In fè di Dio, i’ ho roba che costò, contata ogni cosa, delle lire presso a cento di bagattini”. Vittore Branca, che curò un’edizione critica del testo, così scrive al riguardo: “circa 100 lire di bagattini: così erano chiamati i piccioli [...] o denari [...] a Venezia e in generale nell’Italia settentrionale. L’espressione equivale quindi a lire di piccioli [...]” in Giovanni Boccaccio. Decameron, ed. critica a cura di Vittore Branca. Vol. II. Torino, Einaudi, 2014, p. 994. A mio avviso, dato che il bagattino era una moneta di scarso valore universalmente nota, è assai probabile che abbia dato l’ispirazione per la creazione del termine Bagatella, accomunate entrambe dal medesimo etimo.

5. [Charles Du Fresne Du Cange], Glossarium manuale ad scriptores mediae et infimae latinitatis ex magnis glossariis Caroli du Fresne, domini du Change et Carpentarii. Tomo I. Halae, apud Io. Iust. Gebaueri viduam et filium, 1772, p. 521.

6.  L.A. Muratori, Dissertazioni cit. Vol. 2. p. 171. 

7. Ludovico Antonio Muratorio [Muratori], Antiquitates Italicæ medii ævi sive dissertationes de moribus, ritibus, religione, regimine, etc. Tomus secondus. Mediolani, ex Typographia Societatis, Palatinæ, 1739, colonna 1142.

8. L.A. Muratori, Dissertazione sopra le antichità italiane   cit. p. 172.

9.  Cfr. Voce Bagattare in Enrico Galavotti, Grammatica e scrittura. Dalle astrazioni dei manuali scolastici alla scrittura creativa, II ed. Amazon, 2018, p. 220.

10. Cfr. Voce Ciabattino in Aldo Gabrielli, Grande dizionario italiano. Milano, Hoepli, 2011.

11. Il Bagatto venne raffigurato come un ciabattino in alcuni tarocchi lombardi e piemontesi (Dotti, Strambo, ecc.), mentre nei cosiddetti Tarocchi del Mantegna troviamo un artigiano (Artixan).  In tutti i casi è da intendersi come un personaggio che compie un lavoro di basso profilo sociale. Riguardo al Bagatto come ciabattino si veda alla Voce Bah! la sottovoce Bagatto: "denominazione di una carta nel giuoco de' tarocchi, cioè di quello dei tarocchi che è inferiore ad ogni altro ed era rappresentato da un ciabattino", in Giovanni Battista Bolza, Vocabolario genetico-etimologico della lingua italiana. Vienna, dalla I. R. Stamperia di Corte e di Stato, 1852, p. 92

12. Sforza Pallavicino, Dell’historia del Concilio di Trento. Parte seconda. Libro IX (Anno di riferimento 1547). Roma, per Biagio Diversin e Felice Cesaretti Librari all’Insegna della Regina, 1664, p. 62.

13. Vittorio Siri, Del Mercurio, overo historia de correnti tempi, 1635-1655. Seguitamento del tomo settimo. Casale, per Giorgio del Monte, s.d., p. 1258.

14. Luigi Albrizio, Prediche fatte nel palazzo apostolico. Seconda parte. Venetia, per gli Heredi di Francesco Baba, 1663. Predica LXXVI: “Nel Martedì Santo della Passione, &c”, p. 76. 

15. In Vinegia, appresso Gabriel Giolito De Ferrari, et Fratelli, 1547, p. 22.

16. Antonio degli Agli (et altr.), Lirici toscani del Quattrocento, a cura di Antonio Lanza. Vol. 2. Roma, Bulzoni, 1975, p. 92. Gli interi versi sono ricchi di ammonimenti morali sul governo della città.

17. Ivi, p. 91.

18. Alessandro Parenti, Gherminella e Bagattella, «Lingua nostra». Vol. LXIX. Fasc. 3-4. Settembre - dicembre 2008, p. 65.

19. Miguel de Cervantes, El ingenioso hidalgo don Quijotte de la Mancha. Frankfurt am Main, Outlook Verlag, 2022, p. 694. Trascrizione dell’originale del 1605.

20. A. Parenti, Gherminella cit., p. 74. L’autore cita R. Andreoli, Vocabolario napoletano-italiano. Napoli, Berisio, 1966. Prima edizione 1887, p. 54.

21. Ivi, p. 74.

22. Ivi, nota 68. Parenti rimanda a V. Valente, rec. a S. Gentile, Repatriare Masuccio al suo lassato nido. «Lingua nostra» 43, 1982, p. 29; e dallo stesso Per una migliore intelligenza del napoletano di G. Basile. «Lingua nostra» 40, 1979, p. 46.

23. [Pietro della Valle], Viaggi di Pietro della Valle, il pellegrino, con minuto ragguaglio di tutte le cose notabili osservate in essi, descritti da lui medesimo in 54. lettere familiari [...], Divisi in trè parti cioè, la Turchia, la Persia, et l’India, co’ l ritorno in patria. In Venetia, presso Paolo Baglioni, MDCLXVII [1667], pp. 67-68.

24. Anton Francesco Grazzini,Tutti i trionfi, carri, mascheaate [sic] ò canti carnascialeschi andati per Firenze, dal tempo del Magnifico Lorenzo vecchio de Medici; quando egli hebbero prima cominciamento, per infino à questo anno presente 1559 [...]. In Fiorenza, s.e. [Lorenzo Torrentino], MDLVIIII [1559], p. 254.

25. Anton Francesco Doni, Mondi celesti, terrestri, et infernali, de gli academici pellegrini; mondo piccolo, grande, misto, risibile, imaginato, de pazzi, & massimo, inferno, de gli scolari, de mal maritati, delle puttane, & de ruffiani, soldati, & capitani poltroni, dottor cattivi, legisti, artisti, de gli usurai, de poeti & compositori ignoranti. In Vinegia, appresso Domenico Farri, MDLXVII [1567], p. 91.

26. A. Parenti, Gherminella e Bagattella cit., p. 67. Il testo la cui lingua scimmiotta l’italiano storpiato dai tedeschi, si può parafrasare come segue: “Il Tedesco gioca abilmente col fraccurrade e con le bagatelle, che l’è fuori, ch l’è dentro, è un bel gioco la gherminella”.

27. Ivi, p. 70: “il proponente piega la corda [...] e la avvolge formando due anse [...], lo scommettitore infila il bastoncino (o eventualmente il dito) in una delle anse e deve indovinare se, tirando la corda, questo rimarrà libero o impigliato”.

28. Ivi, p. 74.

29. Iacopone da Todi, Le poesie spirituali, con le scolie, et annotazioni di fra Francesco Tresatti. Venezia, Nicolò Misserini, 1617, p. 5.

30. A. Parenti, Gherminella cit., p. 75, nota 75. L’autore attribuisce questa interpretazione a Roberta Manetti.

31. Ivi, nota 76. Il manoscritto venne controllato dallo stesso Parenti. Pubblicata originariamente come Lettera settima del padre Sorio a Pietro Fanfani. «L'Etruria», I, 1851, p. 685. Il numero di catalogo veronese è CCCCLXIV. Questa la parafrasi di Parenti, attribuita a Roberta Manetti: “Lascio la sorte traditrice agitare la sua marionetta”.

32. Ivi, nota. 76.  Palatino XCVIII, c. 51v. Firenze, Biblioteca Nazionale.

33. Si veda Il significato di Tarocco in Andrea Moniglia - 1660.

34. [Jacopone da Todi], Laude de lo contemplatiuo & extatico b. f. Jacopone de lo ordine de lo seraphico s. Francesco: devote & utele a consolatione de le persone devote e spirituale: & per predicatori, proficue ad ogni materia: el quale ne lo seculo fo doctore e gentile homo chiamato misser Iacopone de Benedictis da Todi: benche ala religione se volse dare ad ogni humilita e simplicita. Venitiis, per Bernardinum Benalium Bergomenses, 1514, c. 1v.

35. A. Parenti, Gherminelle cit., p. 76.

36. Il testo è riportato da F. Pirot, Recherches sur le connaissances littéraries des troubadours occitans et catalans des XII° et XIII° siècles. Barcelona, Real Academia de buenas letras, 1972, p. 565 (ll.19-24).

37. Alessandro Parenti, Gherminelle cit., p. 75.

38. Teofilo Folengo, Chaos del tri per uno. In Vinegia, per Giovanni Antonio et Fratelli da Sabbio. Ad instantia de Nicolo Garanta, MDXXVII [1527], s.n.p.

39. Voce Bagatto, citato dall’Accademia della Cruscain Grande dizionario della lingua italianaPrototipo edizione digitale, Torino, UTET, 2018

http://www.gdli.it/Ricerca/Libera?

40. Thierry Depaulis, Early italian lists of tarot trumps. «The playing-cards» 36, no. 1, luglio-settembre 2007, p. 42. Lo strambotto è un particolare tipo di canzone.

41. Si veda Un topolino bagatello - 1596.

42. Giorgio Vasari, Delle vite de’ più eccellenti pittori scultori et architettori. Secondo, et ultimo volume della terza parte. Dall’anno 1550 al 1567. In Fiorenza, appresso i Giunti, 1568, p. 530.

43. Erasmi Rot. [Erasmo da Rotterdam], Operum quartus tomus, quae ad morum institutionem pertinent complectens, quorum catalogum versa pagina docet. Basileae, ex Officina Frobeniana, anno MDXL [1540], p. 366.

44. Angelo Fiorenzuola, Opere, a cura di Adriano Seroni. Firenze, Sansoni, 1971, p. 185. L’espressione ‘a cavallo’ è errore del Fiorenzuola in quanto l’equestrem, in Apuleio, indica una spada da cavalleria (spatham praecutam).

45. XXIV 126, 8-127, 2.

46. XXV 112, 1-5.

47. Si cfr. l’edizione a cura di Giorgio Petrocchi, Firenze, 1957, p. 197.

48. Nicolo Macchiavelli, Clizia, commedia. In Firenze, s.e., MDXLVIII [1548], s.n.p.

49. Pietro Aretino, La cortigiana e altre opere, a cura di Angelo Romano. Milano, BUR Classici Rizzoli, 1999, s.n.p.

50. Ludovico Ariosto, La cassaria, comedia. In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de Ferrari, MDXLVI [1546]. Atto IV, scena II, c. 33r

51. Nino Borsellino (a cura), Commedie del Cinquecento. Milano, I, 1962, p. 158; II, 1967, pp. 253, 472.

52.  Baldassarre Castiglione, Il cortigiano. In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de Ferrari, MDXLIX [1549], c. 23v.

53. Cfr. G. Ghinassi, Un dubbio lessicale cit., pp. 267-268.

54. Baldassarre Castiglione, Il cortegiano. Annotato e illustrato da Vittorio Cian. In Firenze, G.C. Sansoni, Editore, 1894, p. 50.

55. Arrigo Castellani, Grammatica storica della lingua italiana. I. Bologna, Il Mulino, 2000. Introduzione, p. 120.

56. G. Ghinassi, Un dubbio lessicale cit., p. 273. Per il Novellino si cfr. l’edizione a cura di A. Conte, Roma, 2001, p. 76.

57. Quest’opera venne citata, fra gli altri, dal mons. Leber e riportata in William Andrew Chatto, Facts and speculations on the origin and history of playing cards. London, John Russell Smith, 1848, p. 117. Un altro testo che contiene la spiegazione di giochi di prestigio rinascimentali, anche se l’argomento occupa una parte esigua dell’intero volume (22 pagine su 283), è il Discoverie of witchcraft di Reginald Scot nella ristampa della Dover Publications. La prima edizione apparve nel 1584. Ringraziamo la sig.ra Valery Russo per averci gentilmente comunicato l’esistenza di questo testo.

58. Isacco della Stella, I sermoni. Vol. primo. Dalla Settuagesima alla Pentecoste, Sermone 32. Sermone terzo per la prima domenica di Quaresima. Roma, Paoline, 2006, p. 249.

59. Anton Francesco Doni, I marmi. In Vinegia, per Francesco Marcolini, MDLII [1552]. Ragionamento secondo, p. 35.

60.  Francesco Vettori, Scritti storici e politici, a cura di Enrico Niccolini. Bari, Laterza, 1972, p. 47.

61. G. Ghinassi, Un dubbio lessicale cit., p. 271.

62 Francesco Sansovino, Ortografia delle voci della lingua nostra overo dittionario volgare et latino. In Venetia, appresso F. Sansovino, MDLXVIII [1568]. Lettere B C, s.n.p.

63. Cfr. Sanctus Agobardus, Liber contra insulsam vulgi opinionem de grandine et tonitruis. «Patrologiae cursus completum». Series II, tomus CIV. Parigi, Migne, 1851, pp. 147-148. Riportato da Nicola Cariello, Stato e chiesa nel regno d’Italia al tempo di Ludovico II (844-875). Roma, Scienze e Lettere, 2011, pp. 31-32.

64. Laurisio Tragiense [Giovanni Antonio Bianchi] De i vitj, e de i difetti del moderno teatro e del modo di correggergli, e d’emendarli. Ragionamenti VI. In Roma, nella Stamperia di Pallade, MDCCLIII [1758]Alcuino nella lettera 107 ad Antonio, nome ascritto di Adelardo Abbate di Corbe”, nota a, p. 172.

65. Salviano di Marsiglia. Il governo di Dio, a cura di Silvano Cola. Roma, Città Nuova, 1994, pp. 23-26 e pp. 187-189.

66. Raffaele de Ritis, Illusionismi: settemila anni di teatro, scienza e religione. Viterbo, Stampa Alternativa Nuovi Equilibri, 2004, p. 194.

67. Joannes Saresberiensis, Opera omnia [...].Vol. III. Policratici Libri 1. -V. Oxonii, apud J. H. Parker, 1848, p. 229.

68. Bernardo di Clairvaux. Il libro della nuova cavalleria. De laude novae militiae, a cura di Franco Cardini. Milano, Biblioteca di via Senato, 2004, p. 169.

69. Jacques le Goff, Mestieri leciti e mestieri illeciti, in Tempo della chiesa, tempo del mercante. Torino, Einaudi, 1997, pp. 58-59.

70. Ivi, nota 22, p. 59.

71. Opera pubblicata postuma nel 1478. Online “Ecclesia Dei. Cattolici, apostolici, romani”  http://musicasacra.forumfree.it/?t=44633312 

72. Tommaso Garzoni, Il serraglio de gli stupori del mondo. Diviso in diece appartamenti, secondo gli vari, et ammirabili oggetti [...]. In Venetia, appresso Ambrosio, et Bartolomeo Dei, fratelli, MDCXIII [1613], pp. 231-233.

73. Tommaso Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo [...]. In Venetia, appresso Vincenzo Somasco, MDXCV [1595], p. 742. Ed. originale 1585.

74. Francesco Dondi Dall’Orologio, Dissertazione terza sopra l’istoria ecclesiastica di Padova. Padova, Presso il Seminario, MDCCCVII [1807], p. 30.

75. Formulai il concetto di scala mistica dei tarocchi nel 1987 in occasione dell’esposizione Le carte di corte. I tarocchi. Gioco e magia alla corte degli Estensi, realizzata su progetto storico-scientifico dello scrivente.

76. Si veda La storia dei tarocchi.

77. Il già citato Sermo perutilis de ludo. Questo è l'ordine: 1 El bagatella - Imperatrix - 3 Imperator - 4 La papessa - 5 El papa - 6 La temperantia - 7 L'amore - 8 Lo caro triumphale - 9 La fortezza - 10 La rotta - 11 El gobbo - 12 Lo imphicato - 13 La morte - 14 El diavolo - 15 La sagitta - 16 La stella - 17 La luna - 18 El sole - 19 Lo angelo - 20 - La iusticia - 21 El mondo - 22 El matto   

78. Per un maggior approfondimento si veda Il Matto (Il Folle).

79. François Louis Gauthier, Traité contre l’amour des parures et de luxe des habits. Seconde Édition. A Paris, chez Augustin-Martin Lottin, 1780.

80. François Louis Gauthier, Traité contre les danses et le mauvaises chansons. Paris, Chez Antoine Boudet, 1769.

81. In [Abbé de Feller], Mélanges de politique, de morale et de littérature, extraits des journaux de m. l’abbé de Feller. Tome premier. Louvain, Vanlinthout et Vandenzande, 1822, p. 307.

82. [Abbé Maydieu], Histoire de la vertueuse portugaise; ou le modèle des femmes chrétiennes. Par mr. l’abbé Maydieu, chanoine de l’église de Tryes, en Champagne. Paris, chez Charles-Pierre Berton, 1779.

83. A. de Feller, Mélanges de politique cit, p. 216.

84. Si veda Il Matto (Il Folle).

85. Giuseppe Cafasso, Predicazione varia al popolo. Istruzioni e discorsi, a cura di Renzo Saviano. Cantalupa, Effettà Editrice, 2005, pp. 357-358.

86. Giacomo Margotti, Alcune considerazioni intorno la separazione dello stato dalla chiesa in Piemonte. Torino, Tipografia diretta da Paolo Dagostini, 1855, p. 95.

87. Marino da Cadore, Panegirici. Discorsi morali e prediche quaresimali. Vol. Quinto. Venezia, Francesco Andreola, 1838, p. 174.

88. Agostino Santo Pupieni [Giuseppe Antonio Costantini], Lettere critiche. giocose, morali, scientifiche ed erudite. Tomo terzo. In Venezia, Appresso Giuseppe Zorzi, MDCCLXXX. [1780]. Paragrafo “Nobiltà, Sapere e Virtù”, p. 18.

89. Angelo Paciuchelli, Lezioni morali sopra Giona profeta [...]. Tomo terzo. Venetia, presso Paolo Baglioni, MDCLXIV [1654], p. 93.

90. Benedetto Fedele di San Filippo, Sacri panegirici de santide quali Santa Chiesa con solennità maggiore celebra per tutto l’anno la festa. In Venetia, appresso i Giunti, MDCXL [1640], p. 156.

91. Gregorio Leti, Historia genevrina o sia historia della città, e republica di Geneva, cominciando dalla sua prima fondattione fino al presente [...]. Parte terza. In Amsterdamo, per Pietro, & Abramo von Someren, MDCLXXXVI [1686], p. 521.

92. Francesco da Sestri, Parte seconda de ragionamenti a novitii [...]. In Genova, nella Stamperia d’Anton Giorgio Franchelli, MDCLXXXV [1685], p. 5.

93. Lorenzo de Zamora, Monarchia mistica della chiesaComposta de gieroglifici tratti dalle divine, & humane lettere. Tradotta nuovamente dall’idioma spagnuolo nell’italiano da Pietro Foscarini. Parte prima. In Venetia, appresso Andrea Baba, 1619, pp. 79-80. Titolo originale della prima edizione: Monarquia mistica de la iglesia, hecha de hieroglificos sacados de humanas y divinas letras, Madrid, 1617.

94. StarineNa Sviet Izdaje Jugoslavenska Akademija Znanosti I Umjetnosti, Knjga II, U Zagrebu, 1870, pp. 152-155.

95. Luigi Amabile, Fra Tommaso Campanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia. Vol. III. Napoli, cav. Antonio Morano, Editore, 1882, p. 194.

96. Ivi, p. 241.

97. Ivi, p. 245.

98. Ivi, p. 431.

99. Cfr. Matteo al Kalak, Storia della chiesa di Modena. Dal medioevo all’età contemporanea. Profili di vescovi modenesi dal IX al XVIII secolo. Modena, Poligrafico Mucchi, 2006, p. 284.

100. Tommaso Moro, Lettere. Scelte, tradotte e commentate da Alberto Castelli. A cura di Francesco Rognoni. Milano, V&P (Vita e Pensiero), 2008, p. 121.

101. Ibidem.

102. Thomas More, Dissertatio epistolica [...] ad Martinum Dorpium theologum lovaniensem. Lugduni Batavorum, apud Johannes Sambix, MDCLIV [1654], pp. 55-56.

103.  Colloque entre sept scavans qui sont de differens sentimens des secrets cachez, des choses relevées, traduction anonyme du «Colloquium heptaplomeres de Jean Bodin» ms. français 1923 de la Bibliothèque Nationale de Paris. Ed. François Berriot, Jacques Roger, Jean Larmat, Katharine Davies. Geneva, Libraire Droz, 1984. Ms. translation 1601-1700, per BnF, of original work originally written in Latin, 1588.

104. Riguardo la superstizione, considerata dalla chiesa una bagatella peccaminosa, il Muratori esplicitamente avverte: “Ubi ignorantia, ibi facile Superstitionem quoque reperias” (Dove esiste l’ignoranza, troverai facilmente anche la superstizione). Ludovico Antonio Muratori, Antiquitates italicae medii aevi. De superstitionum semine in oscuri Italiae saeculis. Dissertatio quinquagesima nona. Tomo XII. Arezzo, M. Bellotti, 1778. p. 402.

105. Gilberto Sacerdoti, Bagatelle e figmenta: Pomponazzi e Averroè, in Sacrificio e sovranità. Teologia e politica nell’Europa di Shakespeare e Bruno. Torino, Einaudi, 2002, pp. 295-296.

106. Ivi, pp. 295-296. Le citazioni sono di B. Nardi, Le opere inedite del Pomponazzi. III. Filosofia e Religione. «Giornale critico della filosofia italiana» XXX (1951). G. C. Sansoni, 1950, pp. 376-378. Così l'originale: "Ut communitas bene faciat, dicunt - Ibis in infernum, - sicut etiam facit nutrix puero, dandoli ad intendere la Zuliana et multas alias bagatellas [...]. Leges ergo fiunt et ponuntur ut hommes ad pacem reducantur", B. Nardi, p. 377, come citato da G. Sacerdoti Bagatelle cit. p. 296.

107. Pia Società di Ecclesiastici e Secolari, I Fasti della chiesa nelle vite de’ santi. Milano, Angelo Bonfanti, 1828, p. 509. 

108. Apostolo Zeno, Don Chisciotte in Sierra Mora. Tragicommedia per musica da rappresentarsi nella cesarea corte per comando augustissimo nel carnevale dell’anno MDCCXIX. In Venezia, per Domenico Lovisa, s.d. [1804], p. 47. La prima pubblicazione del libretto avvenne a Vienna nel 1719 per opera di “Gio. Van Ghelen, Stampatore di Corte di Sua M. Ces. [Cesarea] e Cattolica”.

109. Anche ai nostri giorni, seppure con rare frequentazioni, il ‘peccato-bagatella è ancora menzionato. Un esempio: il 19 novembre 1998 apparve sul settimanale L'Espresso un'intervista del prof. Luigi Lombardi Vallauri, ordinario di Filosofia del Diritto all'Università di Firenze, secondo il quale ammettere l'esistenza dell'Inferno da parte della Chiesa Cattolica risulta una "colossale ingiustizia [...], invece che rieducare il reo, come sarebbe giusto, l'Inferno lo condanna a una pena eterna, senza scampo [...] l'Inferno cattolico è una pena troppo smisurata in rapporto alle colpe commesse [...] perché si può andare all'Inferno per "peccati-bagattella", come un bacio tranquillo “sine periculo pollutionis.

110. Si vedano inoltre Preti bagatelli nel Cinque e Seicento; Di eretici accusati di peccato bagatella; La bagatella nelle opere di Ferrando PallaviciniIl Bagattino fra storia e letteratura I e II.

 

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