Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

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Un enigma nell'Orlando Furioso

Da un verso del poema un’ ipotesi sull’esistenza della cartomanzia nel sec. XV

 

Andrea Vitali, novembre 2013

 

 

Nella lingua italiana troviamo diverse espressioni o locuzioni usate in senso figurato derivate dal gioco delle carte. Ad esempio, ‘mettere le carte in tavola’ deriva dal linguaggio dei giocatori che in molti giochi sono tenuti a deporre le carte sul tavolo per effettuare il conteggio dei punti. Poiché in genere i giocatori non devono vedere le carte degli altri né mostrare le proprie, per non far capire in anticipo le mosse e per avere libertà di gioco, ‘giocare a carte scoperte’ e ‘scoprire le proprie carte’ in senso figurato significa rivelare chiaramente i propri piani, le proprie intenzioni, senza barare e quindi senza ingannare.

 

Di seguito elenchiamo le espressioni più comuni, usate in senso figurato, derivanti dal gioco delle carte 1:

 

mettere le carte in tavola = esporre chiaramente e veridicamente una situazione, senza nascondere nulla; rivelare le proprie intenzioni, progetti o simili; agire apertamente, senza sotterfugi.

avere buone carte = avere buone possibilità di riuscita.

giocare a carte scoperte = agire senza nascondere nulla.

giocare una carta = ricorrere a un espediente, fare un tentativo più o meno rischioso.

giocare una buona carta = ricorrere a un espediente che si considera vincente.

giocare l’ultima carta = tentare il tutto per tutto, ricorrere all’ultimo espediente.

giocare tutte le proprie carte = mettere in opera tutti i propri mezzi.

imbrogliare le carte = creare di proposito confusione, incertezza, equivoco.

arrischiare una carta = fare un tentativo rischioso.

cambiare le carte in tavola = modificare in modo furbo e poco corretto le proprie posizioni. Dare un nuovo significato alle cose già dette, interpretare le parole di un altro in senso diverso da quello giusto, mutare i termini d’una questione (con questi significati anche cambiare le carte in mano a qualcuno), fingere d’ignorare quanto s’era promesso.

giocare a carte scoperte = agire senza nascondere nulla.

giocare la propria carta = impiegare tutte le risorse a disposizione per riuscire in una impresa.

scoprire le proprie carte = rivelare le proprie strategie e gli intendimenti.

tenere la carta bassa = nascondere le proprie intenzioni.

 

Abbiamo introdotto questi modi di dire per una attenta valutazione di un’espressione che l’Ariosto usa in un verso del suo Orlando Furioso laddove descrive le vicende accadute al cavaliere pagano Ruggero e ad Astolfo in seguito al loro incontro con Alcina, una fata che assieme alle sue sorelle Morgana e Logistilla, dimorava in un palazzo incantato oltre le Colonne d’Ercole. Come la maga Circe, anche Alcina trasformava gli amanti verso cui non provava più interesse in animali o piante, come accadde ad Astolfo che si trovò tramutato in un mirto.

 

Alcina, grazie ai suoi poteri, appariva agli incauti forestieri come una donna bellissima e di fascino straordinario. Ecco come Ariosto la descrive nel momento in cui ella accolse Ruggero nel suo splendido palazzo, circondata da persone di giovanile età e di grande bellezza:

 

Canto VII 

 

IX

 

La bella Alcina venne un pezzo inante

   verso Ruggier fuor de le prime porte;

   e lo raccolse in signoril sembiante,

   in mezo bella e honorata corte.

   da tutti gli altri tanto honore e tante

   riverentie fur fatte al guerrier forte;

   che non ne potrian far più, se tra loro

   fosse Dio sceso dal superno choro 2.

 

(La bella Alcina venne avanti per un pezzo di strada fuori dalle prime porte d’ingresso del palazzo verso Ruggiero, e lo accolse con modi signorili in mezzo a una corte bella e stimabile. Da tutti gli altri furono fatte al forte guerriero tanti onori e tante reverenze che non avrebbero potuto fare di più se in mezzo a loro fosse disceso Dio direttamente dal Paradiso).

 

X

 

Non tanto il bel palazzo era eccellente

   perche vincesse ogn’altro di ricchezza;

   quanto ch' havea la più piacevol gente,

   che fosse al mondo, e di più gentilezza.

   poco era l'un da l'altro differente

   e di fiorita etade, e di bellezza:

   sola di tutti Alcina era più bella,

   si come è bello il sol più d'ogni stella 3.

 

(Il bel palazzo era tanto superiore agli altri non perché non aveva pari per ricchezza, quanto perché era abitato dalle persone più piacevoli e con i modi più gentili che ci potessero essere al mondo. Ogni persona era poco differente dall’altra sia per la giovane età che per bellezza: solo Alcina superava gli altri per bellezza, così come il sole è più bello di ogni altra stella).

 

XI

 

Di persona era tanto ben formata,

   quanto me' finger san pittori’ industri;

   con bionda chioma lunga, e annodata

   oro non è che più risplenda e lustri.

   spargeasi per la guancia delicata
   misto color di rose, e di ligustri:
   di terso avorio era la fronte lieta;
   che lo spazio finía con iusta meta 4.

 

(La sua persona era tanto bene formata quanto meglio sanno fare i più abili pittori; con una bionda chioma lunga e annodata non c’è oro che risplenda di più e sia più lucente. Si diffondeva lungo la sua delicata guancia un misto di colore di rose e di ligustri; simile a limpido avorio era la sua lieta fronte, che si estendeva entro i giusti limiti).

 

XII

 

Sotto due negri, e sottilissimi archi
   son due negri occhi, anzi do chiari soli;
   pietosi a riguardare, à mover parchi,
   intorno cui par ch' amor scherzi e voli;
   e ch' indi tutta la pharetra scarchi,
   e che visibilmente i cori involi:
   quindi il naso per mezo il viso scende;

   che non trova l'invidia ove l'emende.

 

(Sotto due neri e sottilissimi archi si trovano due occhi neri, anzi due chiari soli, benevoli nel guardare, lenti nel muoversi, intorno ai quali sembra che voli e giochi il dio amore, che da lì scagli tutte le sue frecce e che in modo chiaro i cuori rubi: da qui il naso scende attraverso il viso, sul quale nemmeno l’invidia potrebbe trovare un difetto).

 

XIII

 

Sotto quel sta, quasi fra due vallette
   la bocca, sparsa di natio cinabro:
   quivi due filze son di perle elette;
   che chiude e apre un bello e dolce labro:
   quindi escon le cortesi parolette
   da render molle, ogni cor rozo e scabro:
   quivi si forma quel soave riso;
   ch' apre a sua posta in terra il paradiso.

 

(Sotto al naso si trova tra due piccole fossette la bocca cosparsa di un rosso naturale; qui si trovano due file di perle rare, che un bello e dolce labbro apre e chiude: da qui escono dolci e cortesi parole tali da rendere molle, e ingentilire ogni cuore rozzo e ruvido; qui si forma quel dolce sorriso che apre a suo piacere il Paradiso in terra).

 

XIV

 

Bianca nieve è il bel collo; e ‘l petto latte:

   il collo è tondo, il petto colmo e largo.

   due pome acerbe, e pur d’avorio fatte

   vengono e van, come onda al primo margo;

   quando piacevole aura il mar combatte.

   non potria l’altre parti veder Argo.          

   ben si puo giudicar, che corrisponde

   a quel ch’appar di fuor, quel, che s’asconde.

 

(Neve bianca è il suo bel collo, il petto è latte; il collo è tondo, il petto largo e bene riempito: due seni piccoli e sodi, fatti come d’avorio, vengono e vanno con il suo respiro come onde sul margine estremo della spiaggia, quando un piacevole venticello percuote il mare. Neppure Argo, con i suoi cento occhi, potrebbe vedere le altri parti del suo corpo: si può a buon ragione ritenere che ciò che rimane nascosto corrisponda a quello che si può ammirare dal fuori).

 

XV

 

Mostran le braccia sua misura giusta;
   e la candida man spesso si vede
   lunghetta alquanto, e di larghezza angusta,
   dove ne nodo appar, ne vena eccede.
   si vede al fin de la persona augusta
   il breve asciuto e ritondetto piede.
   gli angelici sembianti nati in cielo
   non si ponno celar sotto alcun velo.

 

(Le braccia mostrano la loro giusta lunghezza e la bianca mano spesso appare alquanto lunga e affusolata, sulla quale non compare nessun nodo, né alcuna vena sporge. Si vede alla fine della maestosa persona il piccolo piede, asciutto ma ben rotondo. Coloro, nati in cielo, che hanno aspetto angelico non possono essere nascosti sotto alcun velo).

 

XVI

 

Havea in ogni sua parte un laccio teso;
   o parli, o rida, o canti, o passo mova:
   ne maraviglia è, se Ruggier n' è preso;
   poi che tanto benigna se la truova.
   quel, che di lei già havea dal Mirto inteso (1)
   com' e perfida e ria; poco gli giova;
   ch' inganno ò tradimento non gli è aviso,
   che possa star con sì soave riso:

 

(1) Astolfo, tramutato dalla maga in mirto, aveva detto a Ruggero di guardarsi da Alcina.

 

(Ogni sua parte del corpo è un laccio teso per catturare gli amanti, sia che parli o rida o canti o muova passi: non c’è quindi da meravigliarsi se Ruggiero è preso in trappola , trovandola così tanto buona nei propri confronti. Quello che riguardo a lei aveva appreso dal mirto (nel quale Astolfo è stato trasformato), di come fosse perfida e crudele, a poco gli serve; dal momento che non gli sembra possibile che l’inganno e il tradimento possa convivere con un così soave sorriso).

 

Ruggero rimase tanto ammaliato dalla bellezza raggiante della donna da non riuscire a scorgere la sua natura malvagia, quella natura su cui Astolfo lo aveva precedentemente messo in guardia. Al termine di un fastoso banchetto la maga propose un gioco: “Che nel orecchio l'un l'altro domande, come piu piace lor [come a loro piace maggiormente], qualche secreto” (Canto VII, XXI) 4. Il gioco si concluse con una notte d'amore tra Ruggero e Alcina.

 

Non riassumeremo qui le vicende che videro Ruggero vivere felicemente i suoi giorni in compagnia della maga Alcina. Ricorderemo solo che Bradamante, una paladina di Francia innamorata di Ruggero che al termine sposerà - dopo l’immancabile conversione di Ruggero al Cristianesimo e dalla cui unione l’Ariosto farà discendere la casa d’Este così come prima di lui aveva inventato il Boiardo - consegnerà alla maga Melissa un anello magico, un tempo appartenuto ad Angelica 5 con il quale la fata avrebbe potuto fare aprire gli occhi allo sprovveduto Ruggero. Pertanto Melissa, assunte le sembianze del mago Atlante che temendo per la vita di Ruggero aveva operato in modo da allontanarlo dalle insidie del mondo per farlo vivere felicemente alla corte di Alcina e stretto con un incantesimo il cuore della maga nell’amore per il cavaliere con un laccio così forte che mai avrebbe potuto volgerlo altrove, giunta al cospetto di Ruggero lo rimproverò aspramente per avere dimenticato tutti i suoi insegnamenti che avrebbero dovuto portarlo a compiere gloriose imprese e non a trascorrere una vita oziosa. Ruggiero, che era stato cresciuto dal mago Atlante e del quale ne subiva l’autorità, muto e pieno di vergogna, accettò di mettersi l’anello al dito per rendersi conto delle vere sembianze di Alcina.

 

Occorre ricordare che il tòpos dell'anello dotato di particolari funzioni è largamente presente in tutte le culture fin dall'antichità senza citare i poemi medievali, che mettono in scena un anello magico, come quelli che resero invisibili Angelica e Argalìa nell’Orlando Innamorato del Boiardo.

 

L’anello magico aveva una doppia valenza: se messo al dito, possedeva una funzione antinomica, in quanto annullava tutte le altre magie “contra il mal de glincanti ha medicina” (Canto III - 79) 6, se invece messo in bocca rendeva invisibili. La sua più importante azione sarà quella di ‘interpretar le carte’ cioè a scoprire il vero che si celava sotto la meravigliosa apparenza dell’isola di Alcina.

 

Di seguito riportiamo le ottave in cui l’Ariosto descrive l'immagine che Ruggero ebbe di Alcina dopo essersi messo l’anello al dito:

 

LXXI

 

Come fanciullo; che maturo frutto

   ripone, e poi si scorda, ove è riposto;

   e dopo molti giorni è ricondutto

   la, dove truova a caso il suo deposto;

   si maraviglia di vederlo tutto

   putrido e guasto, e non come fu posto;

   e dove amarlo, e caro haver solia,

   l'odia, sprezza; n' ha schivo, e getta via 7:

 

(Come un fanciullo che pone in un posto un frutto maturo e poi si scorda dove lo ha messo; e dopo molti giorni ricapita in quel punto e per caso ritrova ciò che aveva lasciato, e si sorprende di vederlo completamente marcito e guasto, non nella condizione in cui l’aveva messo; e mentre prima era solito amarlo e averlo caro, adesso lo disprezza, ne ha schifo e lo getta via). 

 

LXXII

 

Così Ruggier; poi che Melissa fece
   ch'a riveder se ne tornò la Fata
   con quell'annello, innanzi a cui non lece;
   quando s'ha in dito; usare opra incantata,
   ritrova, contra ogni sua stima, in vece
   dela bella; che dianzi havea lasciata;
   donna sì laida, che la terra tutta
   ne la più vecchia havea, ne la più brutta.
 

(Allo stesso modo Ruggiero, dopo che Melissa fece in modo che potesse tornare a vedere la maga Alcina con quell’anello dinnanzi a cui non è possibile quando viene infilato al dito usare incantesimi, contro ogni sua aspettativa, invece della bella donna che aveva lasciato poco prima ritrova una donna tanto orribile che su tutta la terra non ne esisteva una più brutta e più vecchia di lei).

 

LXXIII

 

Pallido, crespo, e macilento havea
   Alcina il viso: il crin raro, e canuto:
   sua statura a sei palmi non giungea:
   ogni dente di bocca era caduto;
   che più d' Hecuba, e più de la Cumea,
   e havea più d'ognaltra mai vivuto:
   ma si l'arti usa, al nostro tempo o ignote;
   che bella e giovanetta parer puote 8.

 

(Pallido, rugoso e smunto era il viso di Alcina, pochi e bianchi i suoi capelli, di statura non raggiungeva sei palmi di altezza: ogni dente della bocca era già caduto; più di Ecuba, più della sibilla Cumana e più di chiunque altro aveva vissuto, non aveva eguali per età, ma tanto abilmente sapeva usare le arti magiche, sconosciute al nostro tempo, da riuscire ad apparire bella e giovane).

 

LXXIV

 

Giovane e bella ella si fa con arte
   si; che molti ingannò, come Ruggiero,
   ma l’annel venne a interpretar le carte;

   che gia molti anni havean celato il vero. 

   miracol non è dunque, se si parte
   del'animo a Ruggiero ogni pensiero,
   ch' havea d'amar alcina; hor che la truova
   in guisa, che sua fraude non le giova.

 

(Appariva bella e giovane grazie agli incantesimi, tanto che molti altri uomini aveva ingannato, così come fece con Ruggiero; ma l’anello giunse ora a rivelare la verità, il suo vero aspetto, che per molti anni era stato nascosto dietro a un incantesimo. Non è quindi un miracolo il fatto che si allontanò dall’animo di Ruggiero ogni possibile pensiero che aveva di amare Alcina, adesso che se la trova davanti in una condizione in cui nessun suo inganno può venirle in aiuto).

 

Per gli amanti del lieto fine, diremo che Ruggero riuscì a fuggire in groppa a Rabican, il cavallo appartenuto ad Astolfo e in seguito a lasciare definitivamente l’isola montando l’Ippogrifo, il cavallo alato che lo aveva trasportato in quell’isola su comando del mago Atlante. Astolfo, che era stato tramutato in una pianta di mirto da Alcina, venne liberato da Ruggero.

 

Il passo di nostro interesse riguarda la modalità con cui l’anello scoprì le sembianze di Alcina, rivelando la vera natura della maga, descritta dall’Ariosto all’ottava LXXIV con le seguenti versi: “Ma l’annel venne a interpretar le carte; / che gia molti anni havean celato il vero”.

 

Il termine interpretar lascia perplessi, in quanto è possibile che l’Ariosto abbia scelto questo verbo avendo in mente l’atteggiamento interpretativo che nelle carte si attua laddove viene svolta una pratica cartomantica. Infatti, in cartomanzia, le carte vanno interpretate e non svelate o scoperte, termini questi ultimi che si riferiscono al mettere le figure in bella vista. Carte che per molti anni, scrive l’Ariosto, avevano nascosto la verità a tutti. Come abbiamo sottolineato all’inizio di questo intervento, esistono nella nostra lingua parlata molte espressioni derivanti dal gioco delle carte. Interpretar le carte significa in senso figurato ‘interpretare la verità e non ‘mettere le cose in chiaro’ o ‘scoprire la verità’ che è logica conseguenza dell'interpretazione. Quest’ultima suggerisce un’azione intellettuale, razionale, tesa appunto a scoprire la verità e non a rivelarla sic et simpliciter 9.

 

Così scrive Laura Giannetti Ruggiero a proposito dell’anello: “La sua più importante azione sarà quella di ‘interpretar le carte’ (VII -74) e scoprire il ‘vero’ che si cela sotto la meravigliosa apparenza dell’isola di Alcina. L’anello ha dunque a che fare con la ragione e con l’atto tutto umano della interpretazione. L’apparente antinomia nella rappresentazione dell’anello, che racchiude in se stesso la magia e la razionalità, allude alla creatività della mente umana, al potere del magus rinascimentale, colui che può sposare la terra al cielo? Non va dimenticato che al tempo dell’Ariosto la distinzione, che si opera modernamente, tra la magia e la scienza o la magia e la conoscenza razionale non era così ovvia. Le due si intersecavano e si confondevano, come nelle figure di alchimisti-scrittori-maghi-astrologi quali furono Agrippa o Paracelso o Cardano. Nel Rinascimento ‘la magia non è altro che la parte pratica della scienza naturale’" 10.

 

L’Ariosto copiò pressoché pedissequamente due versi citati dal Petrarca nel Sonetto IV del Canzoniere, laddove parlando del Cristo che venne in terra a rivelare la verità di Mosè e degli altri Profeti che fino ad allora avevano nascosto il vero intorno alla venuta del Messia, scrive:

 

Vegnendo in terra à illuminar le charte,

Chavean moltanni gia celato il vero.

 

Di seguito il sonetto completo:

 

SONETTO IV

 

[Innamorato di Laura, trae argomento per lodarla

dal luogo stesso dov’ella nacque]

 

    Quel, chinfinita providentia, et arte,
Mostro nel suo mirabil magistero,
Che creo questo, et quell'altro hemispero,
Et mansueto piu Giove, che Marte,
    Vegnendo in terra à illuminar le charte,
Chavean moltanni gia celato il vero,
Tolse Giovanni da la rete et Piero,
Et nel regno del ciel fece lor parte,
    Di se nascendo à Roma non fe gratia,
A Giudea si, tanto sovro ogni stato
Humiltate exaltar sempre gli piacque,
    Et hor di picciol borgo un sol n'hà dato,
Tal, che natura el luogo si ringratia,
Onde si bella Donna al mondo nacque 11.

 

“Colui [Dio] che mostrò una provvidenza e un’arte infinita nella sua mirabile opera di creazione, che creò questo e quell’altro emisfero, e che reso Giove mansueto più di Marte, venendo sulla terra [tramite Cristo] per far comprendere le carte che per molti anni avevano nascosto la verità, tolse Giovanni e Piero dalla rete [non li rese più pescatori] e li fece diventare parte del regno dei cieli. [Cristo] nascendo non ha fatto grazia di sé a Roma, alla Giudea si, tanto che sopra ogni condizione [a Dio] sempre piacque esaltare l’umiltà. E ora da un piccolo borgo ci ha dato un sole tale che la natura e il luogo si ringrazia donde una così bella donna nacque”.

 

Il Petrarca usa il verbo illuminare, cioè portare in luce, far comprendere, e non interpretare che suggerisce altra azione. Dobbiamo evidenziare che le carte vanno qui intese come documenti (dato che si parla fra l’altro delle Sacre Scritture), e che il termine carte in questa accezione è utilizzato tutt’oggi nella nostra lingua dando vita a una serie di espressioni da decifrare in senso figurato come evidenziato all’inizio del saggio. Si tratta di una espressione, questa del Petrarca, che non può essere messa in relazione con i versi dell’Ariosto, perché l’anello non porta alla luce alcun documento, ma mette le carte in tavola, cioè grazie all'interpretazione rivela la verità.

 

L’Ariosto scrivendo interpretar le carte non intese ovviamente sottolineare un’azione cartomantica, ma essenzialmente divinatoria in quanto l’anello, per sua prerogativa magica, era in grado di far comprendere la verità. Inserendo questo specifico verbo e sapendo nel contempo di esprimere un concetto in senso figurato desunto dalle carte, con molta probabilità è possibile che l’Ariosto possa essersi ispirato all’azione interpretativa che i maghi adottavano nell’utilizzo delle carte stesse. Ciò confermerebbe la nostra tesi dell’esistenza di questa arte in Italia già in epoca quattrocentesca 12. Se si considera infatti che l’Ariosto iniziò la stesura dell’opera tra il 1504 e il 1507 e che l’edizione princeps apparve a stampa nel 1516, un’ipotetica data di esordio della cartomanzia dovrà essere individuata, sempre tenendo come riferimento quest’opera e la relativa pratica d’uso 13, non meno di una ventina di anni antecedenti la stesura della stessa.

 

Note

 

1. Per una più ampia disamina si veda Metafore tolte dal gioco delle carte e dei tarocchi  

2. Orlando Furioso di Messer Lodovico Ariosto con la Giunta, Novissimamente Stampato e Corretto..., Hassi la concessione del Senato Veneto per anni diece, Appresso Mapheo Pasini, MDXXXV. [1535], c. 26r.

3. Ibidem, c. 26v. Stesso numero di carta fino all’ottava XVI compresa.

4. Ibidem, c. 27r.

5. Angelica, principessa del Catai, è una delle eroine raccontate dal Boiardo nell’Orlando Innamorato. L’anello magico le venne rubato dal ladro musulmano Brunello per giungere poi nell’Orlando Furioso nelle mani di Bradamante che lo tolse a Brunello.

6. Orlando Furioso, cit., c. 13r.

7. Ibidem, c. 29v. Stesso numero di carta fino all’ottava LXXIV compresa.

8. La trasformazione di Alcina in una donna di grande bellezza e il successivo rendersi conto delle sue vere sembianti da parte di Ruggero non può che far ricordare quando Dante nel Canto XIX (IV Cornice) del Purgatorio dopo essersi addormentatosogna la mattina (simbolo di verità) una donna simbolica (una sirena) che aveva cinque menomazioni: Balba = balbuziente; Ne li occhi guercia = strabica; Sovra i piè distorta / con le man monche = gravemente menomata negli arti; Di colore scialba = pallore cadaverico. Poi la donna si trasforma e inizia un processo di fascinazione. Interviene allora una donna santa e sacra che ammonisce Virgilio a svegliare Dante per fargli sentire il puzzo che proviene dal ventre della sirena.

9. Così il Vocabolario di Italiano Sabatini Coletti: Voce Interpretare = Chiarire, spiegare qualcosa di oscuro; spesso con specificazione del modo. Deriv: Interprete che il Dizionario Etimologico Ottorino Pianigiani connota con le prerogative di cognizione e intelligenza.  

10. Laura Giannetti Ruggiero, L’incanto delle parole e la magia del discorso nell’Orlando Furioso, Pennsylvania State University, Italica 2001, p. 159.

11. Canzoniere et Triomphi di Messer Francesco Petrarcha. Historiato et Diligentemente Corretto,Impresso in Venetia per Nicolo Zopino e Vincentio compagno nel MCCCCC.XXI. [1521], c. 3v.

12. Si vedano Il Torracchione Desolato Il Castello di Malpaga.

 13. Si veda Il Principe inventore del Ludus Triumphorum.

 

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