Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

Tarocchi Grotteschi - 1587

I tarocchi nel De’ Grotteschi di Giovanni Paolo Lomazzo

 

Andrea Vitali, marzo 2014

 

 

Le Grottesche consistono in un particolare decorazione pittorica parietale derivata dagli ornamenti che abbellirono a Roma i sotterranei della Domus Aurea di Nerone e che raggiunsero la loro massima espressione nel Cinquecento. Così ne parla il Cellini nella sua autobiografia: “Queste grottesche hanno acquistato questo nome dai moderni, per essersi trovate in certe caverne della terra in Roma dagli studiosi, le quali caverne anticamente erano camere, stufe, studii, sale e altre cotai cose. Questi studiosi trovandole in questi luoghi cavernosi, per essere alzato dagli antichi in qua il terreno, e restate quelle in basso; e perchè il vocabolo chiama quei luoghi bassi in Roma grotte, da questo si acquistorno il nome di grottesche” 1.

 

Elementi vegetali si uniscono a figure di uomini e di animali per lo più stravaganti come chimere, sirene, o a piccole scene narrative, tutti di minute dimensioni. Eseguite a stucco o ad affresco, su sfondo monocromo, le grottesche si avvalgono di tinte vivaci, fra cui anche l’oro, che conferiscono loro un carattere allegro e gradevole.

 

Per Giovanni Paolo Lomazzo (1538-1592) pittore e trattatista del manierismo, autore di numerosi dipinti di cui diversi esposti presso importanti musei europei e di scritti quali l’Idea del tempio della Pittura (1590) e Della forma delle Muse (1591), le Grottesche consistono, come da lui spiegato nel suo celebre Trattato dell’Arte della Pittura, Scoltura, et Architettura del 1585, in un ornamento e arricchimento di un’opera laddove vi si trovino spazi non utilizzati, esprimendo in queste il pittore concetti non aderenti alle proprie idee, ma attraverso figure altre, riferibili alle arti o alle scienze e in grado di poter assumere a volte carattere didascalico.

 

Compositione de le grottesche, Libro Sesto, Cap. XLVIII

 

“Quantunque Monsignor Barbaro nel suo commento sopra  Vitruvio 2 non āmetta [ammetta] liberamente le grottesche, riputandole sogni & chimere della pittura, per essere compositione confusa di diverse cose, & dovendo la pittura, si come ogn'altra cosa che si fa da gli huomini, rappresentar qualche effetto, al quale sia indrizzata [indirizzata] tutta la compositione; tuttavia seguendo in ciò il parere di Baldessar Petrucci direi che liberamēte [liberamente] si dovessero ammettere facendole negli spatij, come esso insegna nel Serlio. Perche si come un historia non si può fare in aria, ne senza sostegno, cosi neanco questi che sono una bizarria & grilo introdotto per ornamento d'essa historia. In queste grottesche il pittore esprime le cose, & i concetti, nō [non] con le proprie, ma con altre figure: come se vuol rappresentar uno di buona fama, farà la fama nelle grottesche allegra & splendida; s’un’ altro di mala fama vi farà l’istessa fama oscura, & nera; & se lochi de sacrifici, vi fara sacrifici. E perche nō dimostrano liberamente il concetto nostro; però dissi che non istarebbero bene in luoco di sostegno, ma si hanno da collocare nei vacui, per ornamento & arricchimento loro” 3

 

Da Grottesche derivò Grotteschi a significare, come aggettivo, tutto ciò che per essere goffo, paradossale, innaturale, muove il riso pur senza rallegrare, e come sostantivo la particolare situazione, e insieme la sensazione, prodotta da ciò che è paradossale, sproporzionato, strano. In letteratura è uno degli aspetti del comico che nasce da uno squilibrio, da una sproporzione voluta fra gli elementi rappresentativi (per es., la morte di Morgante nel poema del Pulci), o dal contrasto fra la drammaticità, la grandiosità della rappresentazione obiettiva di un personaggio e lo spirito parodistico o satirico nel quale lo scrittore lo immerge o con cui risolve inaspettatamente una situazione non comica 4.

 

Nel 1587 il Lomazzo scrisse le Rime 5 dove, a imitazione delle grottesche dipinte dai pittori, affresca attraverso la penna una svariata umanità composta da nobili, artisti e persone del popolo mettendone in luce i capricci, le professioni e le inclinazioni. Oltre a ciò, decanta le lodi a Dio, tratta delle cose sacre, delle virtù e dei vizi. Insomma, quasi un enciclopedico affresco di cose, persone e idee da lui giudicate utili per la moralità.

 

 

 

Lomazzo

 

 

All’inizio dell’opera, l’autore tratta dell’origine delle Grottesche:

 

Dell’Auttore, origine del Grottesco

 

Nasce il bizar Grottesco, à cui s'apprende

Ogni spirto gentil, dal naturale,

Fra cavi, e più alto poi spiegando l'ale,

Dimostra tutto quel, ch'à noi s'estende.

E con diverse forme al mondo rende

Diversi tuoni, ma in natura eguale

A nostri affetti; e non meno anco vale

Quando in far una cosa un'altra prende.

Quindi i concetti son si oscuri, e chiari,

Ch’usciti paion fuor dal gran caosse,

Rivolto in vari modi sottosopra.

Che que’ caprizzi dan si illustri, e rari;

Ch'à spor i gril non vi vorria che fosse,

Men pronto d'un pittor, che dij à quegli opra 6.

 Traduzione:

 

(Il bizzarro Grottesco, il quale s’insidia in ogni spirito gentile, nasce dalla natura, fra le grotte e spiegando poi le sue ali più in alto (1) manifesta ogni aspetto che interessa l’uomo. E con diverse forme rende diverse tonalità al mondo, di natura identiche ai nostri sentimenti, e non hanno meno valore quando volendo esprimere una cosa, la si dipinge attraverso un'altra (2). Quindi i suoi concetti sono così oscuri e chiari che sembrano uscire dal gran caos (3), rivoltati sottosopra in vari modi. Quei concetti chiaroscuri generano quei capricci che sono illustri e rari; per spiegare i quali (4) ci vorrebbe pronto più d’un pittore che li dipingesse).

 

(1) cioè nelle pareti delle case

(2) procede per metafore e allegorie

(3) nel caos primordiale luce e tenebra erano confusi assieme

(4) i gril cioè le proprie idee capricciose, bizzarre

 

Un atteggiamento artistico che nel seguito dell’opera egli riprenderà mettendo in evidenza cosa fossero e rappresentassero i suoi scritti grotteschi:

 

Capitolo dove si dimostra, che cosa sia Grottesco, & la sua origine.

 

Se dell'Europa li pittor novelli

     Venisser per dipinger un Museo,

     Non potrebbon ritrar co’ lor pennelli,

Questi grotteschi, ne quali è un trofeo

     Di fantasme d'Istorie, et sogni sgombri

     Et d'altre parti, i quai natura feo.

Ne’ quali il falso non vuò che l'ingombri,

     Come cosa ch'ammorba spesso il mondo,

     Mà vuò con Citheron Parnaso l'ombri.

In questi, e nel dipinger quadro e tondo

     Vi giuro in fede mia, cari lettori;

     Ch’assai v'è che salir e gir al fondo.

Sono i grotteschi tanto pien d'humori,

     Et quasi più difficili a far bene,

     Che cosa far sposa con colori. 

A questi ho scielto un muro che mantiene

     All'acqua, al foco; et li color son tali

     Ch'à le genti fan ben et coste, et vene.

Pinti gli son diversi beni et mali,

     Con le strane mazzate, che si danno

     Alle genti di notte con gl'occhiali.

In strani modi v' hò pinto l'affanno,

     Con l'allegrezza et costume moderno,

     Ch’appena scorger molti lo potranno.

Perche gl’ho fatti piccioli, e l'inferno

     Gli velo di colori in tal maniera

     Che vita gli darà quasi in eterno.

La virtù, la fortuna si dispera,

     La terra, il cielo si lamenta e duole,

     Et ogn'altra scienza e falsa e vera.

La fama hor morte cancellar non vuole,

     E gl’huomini da bestie hann’altre forme

     Di natura de i lor fatti, e parole 7.

 

(Se nuovi pittori d’Europa venissero per dipingere un museo (1), non sarebbero in grado di ritrarre con i loro pennelli queste grottesche, nelle quali vi è un trionfo di storie fantastiche, non di sogni personali, ma di altro che la natura fece. Nelle quali non si vuole che il falso l’ingombri (2), che è cosa che appesta spesso il mondo, ma il Grottesco pretende con Citerone che il Parnaso venga messo in ombra (3). Nei Grotteschi e nel dipingere le cose terrene e divine (4) vi giurò in fede, cari lettori, che esiste molto altro che arrivare in alto o raschiare il fondo. I grotteschi sono talmente ricchi di umori, che è molto più difficile realizzarli nella giusta maniera, che accoppiarvi (5) nella maniera giusta i colori. Per queste ho scelto un muro (6) che non teme né l’acqua, né il fuoco (7), e i colori sono tali che alle persone fanno bene sia alle costole che alle vene (8). In essi sono dipinti diversi beni e mali, con le strane visioni che sorprendono di notte le persone a cui si fanno indossare gli occhiali (9). Vi ho dipinto l’affanno in modi strani, con allegrezza e moderna arte, tale che molti potranno a mala pena comprenderlo, poiché li ho dipinti molto piccoli e l’inferno l’ho velato di tal colori che gli daranno quasi vita eterna. La virtù e la fortuna si disperano, la terra e il cielo si lamentano e soffrono, così come ogni altra scienza che sia vera o falsa. La morte non intende cancellare la fama (10), e gli uomini si rappresentano sotto forma di animali, secondo la natura dei loro comportamenti e delle loro parole).

  

(1) un’intera raccolta

(2) cioè che si dipingano cose non presenti in natura

(3) Sul Citerone, monte presso Tebe, i poeti consacrati ad Apollo venivano coronati d’edera “e questo accadeva innanzi che fossero e il Parnaso e l'alloro”.             

(4) il quadrato esprime simbolicamente la terra e il tondo o cerchio la divinità

(5) far sposa (di qualunque cosa possa farsi coi colori)

(6) una pagina

(7) pittura ad acqua = affresco / pittura a fuoco = encausto

(8) cioè al respiro e alla circolazione.

(9) Il concetto è che di notte le cose non si vedono bene, ma se si indossano gli occhiali tutto appare diverso, dando una forte sensazione.

(10) Evidente eco ai Trionfi del Petrarca 8

 

Si tratta di un affresco di una società variopinta che rasenta spesse volte la follia, sulla quale l’autore non si sarebbe mai immaginato di comporre versi dato che le sue inclinazioni, come quelle di ogni suo concittadino milanese, erano maggiormente protese verso il cibo che la cultura.

 

Io giuro al destin mio largo et potente;

     Che mai pensato havrei di far pittura

     Si strana, come è questa del presente.

Conoscendomi pien d'ogni sciagura,

     Et atto à seguir l'orme di Milano

     Che piu di cibi, che di studi hà cura 9.

 

(Io giuro sul mio destino largo (1) e potente (2), che mai avrei pensato di dedicarmi a una pittura così strana, così come la leggerete, dato che mi riconosco pieno di ogni male e adatto maggiormente a seguire le orme (3) di Milano, che si cura più di cibi che di studi).

 

(1) ampio

(2) ricco di possibilità

(3) l’andazzo

 

Una follia che pervade i personaggi da cui egli comunque prende posizione, ammettendo nel contempo l’impossibilità per ogni saggio di poter combattere contro la pazzia, in considerazione del fatto che il volgo spesse volte teneva in maggior considerazione gli ignoranti che i savi. Il dipinto del matto, scrive l’autore, è incompiuto, a simboleggiare la sua incerta fisionomia.

 

Il Savio spesso vien vinto dal Matto,

     E astretto è d'abrusciar i libri, et anco

     A romper la fede e la promessa e ’l patto.

Più gagliardo alle volte è quel che stanco

     Vien tenuto dal volgo ignorantaccio.

     Che dipinto si vede sopra manco 10.

 

(Il Saggio spesse volte viene sopraffatto dal Matto, e costretto a bruciare i libri (1), a rinnegare la propria fede, le promesse e i patti. A volte colui che non fa nulla (2) viene considerato dal volgo ignorante addirittura il più furbo, come si vede dipinto sopra incompiuto (3)).

 

(1) riferimento alle pubbliche abiure di coloro che erano sospettati di eresia

(2) quel che appare stanco

(3) manco

 

Vedremo in seguito come l’autore, commentando tale pazzia, indichi la strada da percorrere per superare questo pietoso stato. L’interesse di questa nostra trattazione non è rivolto a una analisi critico-letteraria del componimento, ma a sottolineare, come si leggerà in seguito, oltre ai i passi dove troviamo la parola tarocchi, l’aspetto della follia umana, inizio e fine della Scala Mistica dei Tarocchi.

 

Il Lomazzo dichiara di essersi dedicato a scrivere tali grotteschi dopo aver assistito, due anni prima, a un incomprensibile lotta o battaglia, qual dir si voglia, fra genti di ogni condizione mentre si stava recando al Duomo. Nobili e Signori, armati di tutto punto, calavano mazzate ad altrettanti lor pari aggiungendosi a questi persone di ogni ceto sociale.

 

Era nel tempo che più tondi i buoi

     Si fanno allegri sopra l'herbe; quando

     Mi ritrovai in compagnia di duoi.

Et al sepolcro di Milan andando,

     Vidi à le pugne ſar sopra la piazza,

     Diversa gente in tal rumor saltando

Cosa non vidi mai si strana, e pazza;

     Perche ivi si vedean gittar à terra

     Huomini à quali era il giubbon corazza.

V’eran molti Signori atti è la guerra,

     […]  11.

 

(Era il tempo in cui i buoi ingrassano, felici di mangiare l’erba (1), quando, trovandomi in compagnia di altri due, e andando al sepolcro (2) di Milano, vidi in piazza lottare diversa gente agitandosi con un tal fracasso che non vidi mai cosa più strana e pazza, poiché si vedevano spinti a terra uomini la cui giubba fungeva da corazza. Vi erano molti nobili pronti alla guerra […])

 

(1) la primavera

(2) Duomo

 

V'eran calzanti, servi, fruttaiuoli,

     Ruffian, ladri, furſanti, agricoltori

     Sin à quei ch'acconciando van paiuoli.

Fui tutti mostrar i lor valori,

     Si picciol come grandi; et d'ogni sorte

     E vi fù pesto il ceffo a due Dottori 12.

 

(Vi erano calzolai, servi, venditori di frutta, ruffiani, ladri, furfanti, agricoltori, fino a quelli che accomodano i paioli. Tutti a mostrare il loro valore, sia piccolo che grande che fosse e di ogni tipo, e a due dottori fu pestato il ceffo (1)).

 

(1) viso

 

L’atteggiamento dell’autore nel descrivere una così grande pazzia fu di essere fedele osservatore di quanto aveva assistito, cercando di discernere ‘il vero dal falso’, ed esprimendo nel contempo le sue ragioni senza fingere alcuna cosa.

 

L'humor fù questo, ch'io vi pongo in carte,

     Che come ne la pugna visto havea

     Signori, et gente d'ogni offitio, et arte.

M'allaciassi d'attorno la giornea,

     Et pigliassi il pennello, et dipingessi

     Alto basso et mezzan come io volea.

Et che à mistura le cose ponessi,

     Secondo venea commodo al tenore;

     Acciò ch'il ver dal falso discernessi.

Tanto amor posi à questo tal humore,

     Che mai d'allhora in quà, che son doi anni,

     Tempo i perdei d'alcune volte in fore 13.

[…]

 

(L’umore che vi trasmetto nelle mie carte (1) fu questo e cioè come avevo assistito guerreggiare Signori e gente d’ogni occupazione e capacità; che io mi allacciassi d'attorno la giornea (2) e prendessi il pennello (3) e dipingessi (4) l’alto, il basso e il mezzano (5) come io volevo. E che mescolassi tutte le cose, secondo come era d’uopo, affinché separassi il vero dal falso. Tanto amore dedicai a questo tale umore, che da quel momento in poi, dal quale son già trascorsi due anni, mai perdetti tempo andando qualche volta fuori).

 

(1) scritti

(2) giornea = toga del giudice. Per estensione: mettersi all’opera con puntiglio

(3) qui: la penna

(4) qui: descrivessi

(5) cioè ogni sfaccettatura

 

In questo mio dipinger: ò parlare

     Ch’ egli si sia, non si potrà gia mai

     Alcun error di fede imbertonare,

Onde qual ch’ei si sia ò poco, ò assai,

     Per spasso ò per diletto; come è pinto,

     Si piglierà ne la via dove andai.

Perche il mio chiaro, et natural instinto,

     E di dir giustamente la ragione

     A tutti, senza mostrar volto finto,

Ben mi lamento c’habbi il mio Bordone

     Perso per strada in tal pelegrinaggio;

     Onde per doglia il resto non si pone

E per haver parlato d'avantaggio

     Et forse fastidito, quel che visto

     Non m’hebbe mai per casa, ò per viaggio;

Commanderò poi anco ad Antecristo,

     Che per amor della superba penna

     Vegga il pinto grottesco per lui tristo

A colation, disnar, merenda, e cenna 14

 

(In questo mio dipingere o parlare, quale esso sia, non si potrà mai invogliare (1) qualche errore dovuto alle proprie convinzioni (2), per cui, per spasso o per diletto (3) o per divertimento, così come è dipinto, si accetterà il modo che io seguii. Poiché il mio istinto, chiaro e naturale, è quello di dire giustamente le cose a tutti, senza mostrare alcuna falsità. Ben mi lamento di aver perso per strada in tale pellegrinaggio il mio bordone (4) per cui a causa del dolore feci fatica a muovermi. E per aver parlato prima (5) e probabilmente infastidito, ciò che vidi non mi successe mai né in casa, né in viaggio (6). Comanderò poi anche all’Anticristo che per amore del mio superbo scrivere (7), veda il grottesco dipinto per lui sventurato (8) sia a colazione, a pranzo, a merenda e a cena)

 

(1) imbertonare = invogliare

(2) di fede

(3) perspasso o per diletto = per passare il tempo o per divertirsi

(4) bordone = bastone usato dai pellegrini e dagli eremiti

(5) d’avantaggio

(6) Il senso è che quelle lotte non gli appartenevano per sua natura.

(7) penna, per cui scrittura

(8) in parole povere, che gli porti sfortuna in ogni momento

 

Con l’accennare alla perdita del proprio bordone 15 mentre transitava vicino al Duomo, l’autore identifica sé stesso come un pellegrino, un eremita, un saggio di contro la follia dei suoi contemporanei intenti a scannarsi. Situazione a cui egli, per carattere, non ebbe mai a sostenere (Non m’hebbe mai per casa, ò per viaggio).

 

Di fronte a una tale pazzia dell’umano genere che si invischiava in guerre e lotte fratricide, l’unica via d’uscita consisteva, per l’autore, nell’affidarsi alla ragione “Si come il senno fà l'huom di gran pondo / Cosi pazzia lo pone in stato rio”. La motivazione dell’inserimento di argomenti di carattere religioso quali Del modo di ben vivere, De’ l’amor del huomo verso Dio, De la Bontà Divina, De la Gratia, Contro i peccatori, De la Eucharistia, solo per citarne alcuni, si deve alla presenza a Milano di Carlo Borromeo, campione della Controriforma. Una presenza di cui occorreva tenere conto.

 

Del modo di ben vivere

 

Non puo senz’ ordin cosa alcuna al mondo

     Durar; & nel segreto al grande Iddio

     Non può lume passar di questo rio,

     Che di quel privo non può star giocondo.

Si come il senno fà l'huom di gran pondo

     Cosi pazzia lo pone in stato rio,

     Et ciaschedun, cui il Redentor suo pio

     Dona ben, sia al pigliarlo chiaro e mondo.

Chi tempo non hà avanti, non può fare

     Cosa che vaglia un punto a l'avenire:

     Che per la fretta i figli han le gatte orbi.

Il mal nel osso non si può sanare,

     Se non con l'emendar, ch'al fin salire

     Facci al cielo, v' non è ch'il ben distorbi 16.

 

(Ogni cosa nel mondo non può durare senza ordine, e nel segreto al grande Iddio non può accadere che ciò passi inosservato, poiché privo di ordine nessuno può essere felice. Così come il senno rende l’uomo autorevole (1), allo stesso modo la pazzia lo sprofonda in uno stato malvagio, e ciascuno a cui il suo pietoso Redentore doni il bene, nel momento di riceverlo sia chiaro (2) e mondo (3). Chi non ha davanti a sé il tempo necessario (4), non può fare nulla che serva per l’avvenire, perché a causa della fretta i figli (5) vengono male (6). Il male dell’osso (7) non si può curare, se non con il correggersi, cosa che una volta salito al cielo (8) non v’è nulla che possa disturbare il bene).

 

(1) di gran pondo

(2) chiaro = diretto, certo

(3) mondo = purificato

(4) cioè le persone anziane

(5) figli, qui da interpretare come ciò che si produce

(6) Si tratta del proverbiale: “La gatta frettolosa fece i gattini ciechi”

(7) ben radicato

(8) defunto

 

In questa indicazione si possono intravedere echi della Scolastica medievale, per la quale solo attraverso la ragione sarebbe stato possibile per l’uomo ascendere verso il divino. Un insegnamento che ritroviamo anche nei tarocchi e che trova il suo emblema nella carta del Matto 17.

 

Giungiamo infine ai Grotteschi dove l’autore cita i tarocchi. Troviamo il primo riferimento nel Quarto Libro riguardo il cui contenuto l’autore così scrive: “Dove si contengono varie dimostrazioni, essempi, istorie, riprensioni et altre fantasie dichiarate sotto metafora”.

 

Il componimento tratta di una follia umana, cioè dell’invenzione da parte degli uomini, siano essi stati saggi o pazzi, di armi di ogni genere per difendersi dai nemici oltre ad aver inventato giochi di carte, quali la primiera e i tarocchi, giochi che deliziavano i soldati. Nel contempo, l’autore parla anche delle donne italiane che imbrogliavano gli allocchi, paragonandole alle più celebri donne di proverbiale lussuria.

 

Arme, aste, barde, maglie, ruote, stocchi,

     Trabacche, cinte, artiglierie Alemane,

     Archi, archibugi, frezze e cerbotane,

     Carte à primiera, tavole e tarocchi,

Gl’huomini ritrovar e savi & sciocchi,

     Per se difender da le ingiurie humane.

     E le donne in Italia in foggie strane

     Trovar per spasso d'inveschiar gl'alocchi.

Nel che superar l'Asie, & Casirite,

     Asfrintrice, Hostie, Tribadi, Casalvadi,

     Che fur le prime e le più ben descritte.

Anzi quelle anco de le lor etadi,

     Da le brossole, & fistole trafitte;

     Puzzolenti & meschine in tutti i gradi 18.

 

(Armi, lance, armature per cavalli (1), maglie di ferro, scudi rotondi (2), armi corte per colpire di punta (3), tende (4), cinture, bombarde (5), archi, archibugi, frecce, e cerbottane, carte da primiera, tavole e tarocchi, inventarono (6) gli uomini, saggi o pazzi che fossero, per difendersi dalle offese degli altri. E le donne in Italia in abiti strani, s’inventarono, per passare il tempo, d’imbrogliare (7) gli allocchi; superando nel farlo le Asiatiche e le Casirite (8), le Asfrintrice (9), le Hostie, le Tribadi (10) e le Casalvadi, che furono le prime e quelle descritte nel migliore dei modi. Anzi, anche quelle dei loro tempi colpite da pustole e fistole (11), puzzolenti e sciagurate ovunque).

 

(1) barde

(2) ruote

(3) stocchi

(4) trabacche

(5) artiglierie Alemane

(6) ritrovar

(7) d’invischiar

(8) le Casirite abitavano in India

(9) le Asfrintrice risiedevano ad Asfinis, detta anche Afroditopoli.

(10) le Tribadi si dedicavano all’autoerotismo o omoerotismo.

(11) riferimento alle malattie veneree

 

Nel secondo documento, il tarocco (qui ‘Tarroco’) viene descritto nella sua accezione di pazzo, matto, assecondando con ciò il significato di tarocco=matto come da noi individuato e descritto in nostri saggi 19. Rispetto ad altre rime di facile interpretazione, con queste siamo introdotti, come scrive il Lomazzo, in un gran caos di concetti dove ciascuna parola può significare una cosa ma anche il suo contrario: “Quindi i concetti son si oscuri, e chiari, / Ch’usciti paion fuor dal gran caosse, / Rivolto in vari modi sottosopra”.

 

Pose una donna pregna una sua mano

     Sopra una nate, non potendo havere

     Per desio di lumache quattro schiere;

     Che al figlio restar poi in modo strano.

Il qual distrusse tutto il sesso humano;

     Che à più spirti donava gran piacere,

     Con un pugnal horrendo che lo fiere

     Scopò con un Tarroco Mantovano.

Per qual s'ascose sotto d'un ginebro;

     Quando che già Borgnino giovan bruno

     In Roma dianzi cacò giù pe'l Tebro,

Con la figlia di Cerber; secondo uno

     Mi disse, che già nacque da un cerebro;

     Che non stimò l'humor di ciascheduno 20.

 

Come detto, il testo non è di facile comprensione, proprio per le caratteristiche sopra menzionate che accomuna la maggior parte dei grotteschi. Un tentativo è comunque d’obbligo.

 

(Una donna gravida pose una mano sopra una natica (1), poiché non poteva soddisfare la sua voglia di mangiare tante lumache, non volendo poi che il figlio ne rimanesse deturbato. Il qual figlio distrusse il sesso umano (2) poiché a più spiriti (3) donava un gran piacere. Con un pugnal orrendo percosse (4) ferendolo un pazzo (5) mantovano, che si nascose sotto un ginepro. Quando già precedentemente il giovane bruno Borgnino (6) a Roma defecò (7) giù per il Tevere con grande furia (8), e uno mi disse a suo parere che un'azione del genere poteva essere stata partorita solo da un cervello (9) che non teneva in considerazione l'umore altrui (cioè di offendere il pudore degli altri).

 

(1) Nella tradizione italiana esiste la concezione che se una donna in cinta prova un forte desiderio di mangiare qualcosa, affinché non rimanga una traccia visibile (angioma) sul corpo del figlio del colore del cibo ingerito, si tocca il sedere perché è parte del corpo nascosta. Una credenza contraria sosteneva che fosse necessario procurare sempre alla puerpera i cibi e le bevande che desiderava, per evitare che l’erede riportasse sul proprio corpo una macchia del colore dell’alimento negato.

(2) Il senso è che questa macchia, trasmessagli a sua volta dalla madre in una natica, interferì in modo abnorme nella sua attività sessuale.

(3) spiriti = persone

(4) scopare = percuotere, colpire. Vocabolario della Crusca, Quarta Edizione (1729-1738), Vol. IV, pp. 415-416

(5)  Tarocco = pazzo, matto

(6) Trattasi di Ambrogio Brambilla, incisore e scrittore, contemporaneo del Lomazzo, che gli dedicò nell’opera un personale sonetto di grande considerazione.

(7) cacò = defecò

(8) Figlia di Cerbero = Furia

(9) cerebro = cervello

 

Note

 

1. Vita di Benvenuto Cellini orefice e scultore fiorentino scritta da lui medesimo restituita alla lezione originale sul manoscritto Poirot ora Laurenziano ed arricchita d’illustrazioni e documenti inediti da Francesco Tassi, Volume I, Firenze, Presso Guglielmo Platti, 1829. Libro Primo, Capitolo VI, p. 137.

2. Vitruvio aveva condannato la moda di questi ornamenti, sia perché le creazioni ibride, contravvenendo alle leggi della natura, si dimostravano contrarie alla riproduzione della realtà (mimemis), sia per l’utilizzo di fastosi e costosi colori con i quali si intendeva colpire lo sguardo. Atteggiamento che si poneva in contrasto con la sobrietà dell’arte ufficiale del tempo. Cfr. De architectura, Libro VII, Cap. V, §§ 3-4.  

3. Trattato dell’Arte della Pittura, Scoltura, et Architettura, di Gio. Paolo Lomazzo Milanese Pittore, Diviso in sette libri, In Milano, Per Paolo Gottardo Pontio stampatore Regio, MDLXXXV [1585], p. 422.

4. Voce Grottésco, Treccani, Vocabolario online.

5. Rime di Gio. Paolo Lomazzi Milanese Pittore, divise in sette Libri. Nelle quali ad imitatione dei Grotteschi usati da’ pittori, ha cantato le lodi di Dio, & de le cose sacre, di Prencipi, di Signori, & huomini letterati, di pittori, scoltori, & architetti, Et poi Studiosamente senza alcun certo ordine, e legge accoppiato insieme vari & diversi concetti tolti da Filosofi, Historici, Poeti, & da altri Scrittori. Dove si viene a dimostrare la diversità de gli studi, inclinationi, costumi, & capricci de gli huomini di qualunque stato, et professione; Et però intitolate Grotteschi, non solo dilettevoli per la varietà de le inventioni, mà utili ancora per la moralità che vi si contiene, Con la vita del Auttore descritta da lui stesso in rime sciolte, In Milano, Per Paolo Gottardo Pontio, l'anno 1587.

6. Ibidem, p. 12

7. Ibidem, pp. 13-14

8. Si veda “L’Armonia Celeste” in La Storia dei Tarocchi.

9. Rime di Gio. Paolo Lomazzi, cit., p. 15

10. Idem.Per l'interpretazione di alcuni lemmi e sensi di frasi, ci siamo avvalsi in diverse occasioni delle note riportate a piè di pagina da Alessandra Ruffino nel volume delle Rime da lei curate, pubblicate a Roma nel 2006.

11. Rime di Gio. Paolo Lomazzi, cit., p. 16

12. Ibidem, p. 17

13. Ibidem, p. 19

14. Ibidem, p. 20

15. Bordone era chiamato un lungo bastone utilizzato dai pellegrini e dagli eremiti su cui si appoggiavano durante il cammino.

16. Ibidem, Libro Primo, p. 47

17. Si veda Il Matto (Il Folle).

18 Gio. Paolo Lomazzo, De’ Grotteschi, Libro Quarto, in “Rime”, cit., p. 211.

19. Si vedano Il significato del nome ‘Tarocco’ e Tarocco sta per Matto.

20. Gio. Paolo Lomazzo, Milanese Pittore, De’ Grotteschi. Nel quale si contengono varij grilli, chimere, caprizzi, bizarrie, sotto metafore, si come da studiosi ingegni s’intenderà, Libro Sesto, in “Rime di Gio. Paolo Lomazzi”, cit., p. 431.