Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

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Giuseppe Parini e i Tarocchi

Il ‘Giovin Signore’ nel poemetto ‘Il Mattino, il Mezzogiorno e la Sera’

 

 

Andrea Vitali, maggio 2018

 

 

Dell'abate Giuseppe Parini (1729-1799) uno dei grandi della letteratura italiana, venne pubblicato nel 1763 il poemetto didascalico-satirico in endecasillabi sciolti Il Giorno, diviso in tre parti: MattinoMezzogiorno e Sera. Quest’ultima, successivamente, venne a sua volta divisa in due parti non complete Il Vespro e La Notte.

 

In esse Parini descrive la vita di un ‘giovin signore’ di cui l’autore si finge precettore data la sua esperienza in tal senso. Un precettore, in questo caso, che insegna al giovine, contrariamente a quanto in realtà il Parini aveva svolto per rampolli di nobili famiglie, il modo di comportarsi in società per assecondare ogni moda e per realizzare ogni capriccio passasse al giovane per la testa. Il poema si configura quindi come una ironica critica della società del tempo dove libertinismo, corruzione e licenziosità erano considerate al pari di virtù. L’autore non si manifesta nemico dell’aristocrazia, ma un pedagogo teso alla sua rieducazione affinché questa potesse recuperare quel ruolo fondamentale di utilità sociale grazie alla quale poter giustificare i privilegi di cui da sempre godeva.  

 

Il giorno del ‘Giovin Signore’, che nel Proemio del Vespro viene laconicamente additato dai versi “Che da tutti servito a nullo serve”, inizia al mattino quando appena sveglio si dibatte sull’assillante problema quotidiano della scelta fra caffè o cioccolata. Vengono poi descritte le ore successive al risveglio, turbate ‘inopportunamente’ da operai che reclamano il loro compenso per lavori svolti, ma anche da gradite visite come il maestro di musica o di francese, un’arte e una lingua da sfoggiare in società non appena se ne fosse presentata l’occasione. Seguono poi brevi letture anch’esse da sfoggiare come sopra, e di seguito la vestizione con tanto di parrucca incipriata. Poi via in carrozza a trovare una dama di cui il protagonista è fedel cavalier servente.  

 

Giunto mezzogiorno, ovvero il momento del pranzo, il nostro si siede a tavola con la signora, l’annoiato marito e altri commensali di cui uno, vegetariano 1 e amante degli animali, ricorda quando la ‘vergine cuccia’, l’amata cagnolina della dama, ricevette ‘con sommo pericolo’ della vita un calcio da un servitore, morso dal cane mentre stava svolgendo i propri compiti per la signora, da questa licenziato nonostante i venti e più anni di indefesso servizio, dato che ella svenne al solo guaire della sua adorata. Al termine del pranzo, caffè e giochi. Ovviamente.

 

Si giunge così al Vespro che vede la dama e il ‘giovin signore’ vagabondare in carrozza, non senza che la prima abbia salutato ‘pateticamente’ la cagnetta e il secondo risistemato al meglio parrucca e abito. Una visita di cortesia a un amico malato, ma solo per consegnargli il biglietto da visita e a un’amica in crisi di nervi che, sebbene in tal stato, non si ritrae dal pettegolare su ogni cosa, mentre il nostro annuncia al termine delle conversazioni la nascita di un giovane erede di una famiglia nobiliare.

 

Alfine è notte, il momento in cui i due, da Parini indicati come la Coppia, invitati a un ricevimento a cui partecipa una nutrita schiera di ‘imbecilli’ pieni di manie particolari, si siedono al tavolo da gioco, ma non dopo che il posto sia stato a loro assegnato, dato che la vicinanza con particolari persone poteva non essere gradita ad alcuni degli astanti in quanto foriera di cattivi umori e rancori o di risveglio di sopiti amori. Meglio pertanto non rischiare. A notte fonda il ‘giovin signore’ torna a casa dove si addormenta a notte ancor più fonda. [E fu giorno e fu mattina, una mattina uguale a tutte le altre mattine del mondo].   

 

Il nostro interesse è rivolto alla Sera, il momento in cui la Coppia si siede al tavolo per giocare a carte o meglio a tarocchi, dal Parini definiti con l’espressione “barbaro stranier nome del gioco”, dimostrando la credenza di un’origine d’oltralpe del termine diffusasi fin dal Cinquecento 2. Al Parini giocare a tarocchi piaceva moltissimo tanto da essere annoverato 'un grande giocatore’.  Scrive al riguardo il curatore di un volume sulle sue poesie: "È singolare la stranezza de' pregiudizi che il volgo si forma intorno ai meriti dei letterati. Un uomo di bassa condizione interrogato a Milano se avesse conosciuto il Parini rispose: Chi? L'Abate? Se l'ho conosciuto! quello era un uomo! giocava benissimo al tarocco" 3.

 

Seguiamo pertanto i due che stanno per concedersi al gioco, dove il sarcasmo dell’autore sottolinea in maniera incalzante ogni momento dello svolgersi della loro avventura al tavolo da gioco, quasi a raffigurarli alla stregua di maschere della commedia dell'arte.  La spiegazione di alcuni versi e parole sono dello scrivente.

 

Questa è l'ora, o Signor, da voi per legge
Al gioco consacrata, e già si reca
Or l’ara tutelar (1). Mercurio siede
Pacifico (2) custode al sacrifizio (3),
E sparsi stanno i destinati segni (4)
Del Divin culto e le dipinte carte.

[…]
Pur vi giova sperar: Fortuna siegue
Un constante valor. Per chiari segni (5)
E’ omai palese sotto quali auspici
Militar godan le compagne schiere.

Su dunque eletta Coppia or non lasciate
Liberamente d'eseguir le belle
Costumanze, che a voi concede il franco
Gallico genio, e la licenza Inglese: (6)
Al Tavolier sedete, e non stupite
Se il barbaro stranier nome del gioco (7)
Troppo duro risuona ai vostri orecchi,
Poiche da voi riceverà trattato
Mirabil gentilezza. Omai risplenda

Fra l’Eroine vostre e i vostri Eroi (8)
Quel forte spirto intrepido (9), che sempre
Vincitor d’ogn’impresa i vieti (10) sprezza
Pregiudizi del Volgo; a cui pur sembra
Poca religion espor giocando
E profetici stemmi, e immagin sacre
Miste fra le profane (11). In voi si veggia
Saldo valor, che in mezzo ai dubbi casi
Non s’arrenda a sì frivoli commenti
Di gente ignara; ma riporti pure
Premio e vittoria allora che mescendo (12)
Le figurate carte, e quelle ancora
Che dipendon dai numeri segnati (13),
Dopo gli alterni e lunghi assalti a caso (14)
Prende l’ultima forza dal supremo
Spirto dominator del vostro gioco. (15) 4.

 

(1) l’ara tutelar = il tavolo da gioco.

(2) Mercurio, considerato il protettore dell’eloquenza e dei ladri, è qui citato dal Parini poiché il parlare e il barare era pratica evidente delle persone riunite a quel tavolo da gioco, da cui il termine Pacifico, cioè 'in tutta agiatezza'.

(3) Sacrifizio = come se si trattasse di un sacro rituale.

(4) destinati segni = i foglietti con i nomi dei giocatori ai quali era stato assegnato un ben preciso posto attorno al tavolo (si legga quanto scritto sopra al riguardo).

(5) Per chiari segni = Dagli evidenti modi di esprimersi e di comportarsi dei giocatori.

(6) Questi versi si pongono come un sollecito rivolto alla Coppia a non assumere i raffinati modi francesi e inglesi alla moda sia nel parlare che nell’atteggiarsi, ma di esprimersi liberamente assecondando l'umore.  

(7) Se il barbaro stranier nome del gioco = I itarocchi (Nel testo come unica nota ‘Il Tarrocco’).

(8) Fra l’Eroine vostre e i vostri Eroi = Le figure dei Trionfi ovvero gli Arcani Maggiori, composte da immagini in parte classicheggianti.

(9) Quel forte spirto intrepido = Sarcastico commento dell’autore a sottolineare l’umore della nostra Coppia.

(10) vieti = divieti.

(11) Questi versi si accordano con quanto da molti sostenuto, cioè la mancanza di un atteggiamento religioso comportato dall’inserimento nei Trionfi di immagini sacre accanto a quelle profane. Pertanto, il significato complessivo dei versi, da "Omai risplenda" a "gente ignara", tradotti liberamente è il seguente: "Sia chiaro che con i Trionfi che avete in mano la vostra intraprendenza che sempre vince disprezzando i divieti che sono solo pregiudizi, non si arrenda e dia un valore a qualunque immagine, sia essa sacra che profana, non assecondando quanto pensa il popolo ignaro che produce solo frivoli commenti".

(12) mescendo = mescolando e distribuendo le carte.

(13) dai numeri segnati = le carte numerali ovvero i cosiddetti Arcani Minori.

(14) assalti a caso = il gioco viene paragonato a una battaglia dove gli assalti della Coppia, cioè il puntare o il giocare le carte, sono fatti a caso, a dimostrare l’inettitudine dei due giocatori.

(15) Versi ironici a sottolineare che occorreva un grande spirito intrepido da mettere in atto per riuscire vincitori. Ovviamente era necessario vincere a tutti i costi.

 

Nella Notte troviamo un ulteriore riferimento ai tarocchi laddove la stanchezza per la prolungata guerra al tavolo da gioco invita i contendenti a un buon sonno ristoratore, anche se per il giovin signore avrebbe significato allontanarsi dalla dama desiderata. Mentre Amore (Cupido) con la sua faretra ricca di frecce invita gli amanti al riposo, interviene il Tempo a indicare che ne è il momento. A quel punto Amore, annunciando il suo ritiro, toglie fuori dalla faretra un mazzo di carte lasciandolo come dono agli amanti, desiosi in realtà di continuare gli amorosi intrecci.

 

Questi i versi dedicati al momento in cui Amore concede le carte in dono:

 

“[…] La gracil mano

verso l’omero armato Amor levando

Rise un riso vezzoso; indi un bel mazzo

De le carte che Felsinea colora

Tolse dalla faretra, e questo, ei disse’

A voi resti in mia vece. Oh meraviglia” 5.

 

Le carte “che Felsinea colora” indica il preciso luogo di provenienza delle stesse e cioè la città di Bologna che un tempo era appunto chiamata con quel termine.

 

Sull’atteggiamento satirico del Parini il commediografo Paolo Ferrari (1822-1889) scrisse la commedia La Satira e Parini 6 di seguito così descritta nei suoi contenuti dall’autore stesso:

 

“Conforme al titolo, La satira e Parini, presi a dimostrare che nei tempi di corruzione di costumi e di gusto due specie di satira scaturiscono generalmente: la satira anonima, triviale, personale, ed è l'espressione di un profondo riprovamento de' costumi corrotti, ma che parte da spiriti infetti della corruzione medesima, come i vermi che rodono la cancrena che li produsse, e rodendola la dilatano. L'altra specie di satira è quella che porta in fronte il nome del padre come si addice a figlio legittimo, ed è satira urbana, civile, ammaestratrice, che colpisce tutti e non colpisce nessuno, e che a guisa dei caustici abbrucia e risana; ell'è parimenti la manifestazione di quella riprovazione stessa, ma derivante da una anima nobile, culta, elevata, monda dalla corruzion del suo tempo: la prima si ascrive nella categoria dei delitti comuni e soggiace alla sanzione criminale; la seconda entra nel regno dell'arte ed arricchisce il patrimonio delle patrie lettere come poesia e come storia: quella, nonché sia feconda di sane frutta, è per contrario mal ferace di frutta ancora più guaste; questa corregge, o almeno prepara costumi più corretti; quella si propina da gente venale, o invidiosa, o accidiosa; questa si appresta da un ingegno indipendente e superiore; Parini nel passato secolo. Giusti nel nostro. - Indi la tela e l'intreccio della commedia” 7.

 

Di interesse sono le citazioni “Ah! Capisco, signori, voi bramate un Tarocco” e “So che voi siete tutti taroccatori illustri” che ritroviamo nella Scena XII laddove alcuni personaggi vengono descritti sedersi in piacevole intrattenimento per giocare a carte, con la raffigurazione della dislocazione dei tavoli e della posizione delle persone convolte.  

 

 

SCENA XII

 

 

DONNA MARIA, ELENA, LA DEGIUNO, CONTESSA PAOLA, LEOPOLDO, DEGIANNI, TRAVASA, ARTURO, COLOMBI FEDERICO, le Comparse della Scena I, e due SERVI entrano dalle due porte di destra parlando.

 

 

MARIA

 

 

Animo, un po' di giuoco. Una tavola qua.

          (A due servi che pongono la tavola rotonda avanti a destra).

Qui, signori, faremo giuochi di società.

 (Elena, contessa Paola, Leopoldo, Arturo, Colombi e Federico, prendono posto   intorno a detta tavola come si vede qui appresso).

Qua, signori, un terziglio.

          (I servi pongono avanti a sinistra il piccolo tavolo. Alla Degiuno)

                           Baronessa, gradite?

                          (La Degiuno s'inchina e va al posto).

Baron Degianni, conte Travasa, favorite.

           (I due chiamati vanno al medesimo tavolino. Alle quattro comparse)

Signori, un quadrigliato?

 

UN VECCHIO

 

Oh! Dio! quel giuoco sciocco!

 

 

MARIA

 

 

Ah! capisco, signori, voi bramate un tarocco!

            (Li fa sedere con grazia al tavolo di fondo).

So che voi siete tutti taroccatori illustri.

           (Li lascia e viene al tavolo di società. Ai sei)

Ho raccolto a quel tavolo tre secoli e sei lustri!

                               (Si ride sommessamente).

 

 

 Parini

 

 (Questo è il piazzamento. Al tavolo grande si giuoca a un giuoco come ventuno o sett'e mezzo;

al piccolo si giuoca a terziglio, ma senza interruzione di dialogo).

 

 

 

 

Note

 

1. In quell’epoca l’essere vegetariani era di moda fra gli aristocratici, una moda che il Parini condannava come ipocrita in quanto i nobili disprezzavano il popolo che si cibava essenzialmente in tale modo.  

2. Si veda Taroch: nulla latina ratione

3. Poesie di Giuseppe Parini, Firenze, G. Barbera Editore, 1868, pp. XXXVI-XXXVII.

4. Giuseppe Parini, Il Mattino, il Mezzogiorno e la Sera. Poemetti Tre, Roma, Presso Giuseppe Nave Mercante Librajo al Corso, MDCCXCIII [1793], pp. 143-145.

5. Giuseppe Parini, Il Mattino, iI Meriggio, Il Vespro e La Notte, Italia, s.l., s.s., s.d.  [sec. XIX], p. 159.

6. La Satira e Parini. Commedia Storica in Quattro Atti e in Versi di Paolo Ferrari, Vol. I - Dispensa I, in “Opere Drammatiche di Paolo Ferrari”, Milano, Libreria di Vincenzo Sanvito, 1858, pp.  227-228. La commedia venne “Rappresentata per la prima volta nel Teatro Alfieri di Torino l’agosto dell’anno 1857 dalla drammatica compagnia di Gaspare Pieri e premiata al Concorso Drammatico di Torino nel presente anno”.

7. Ibidem, pp. IX-X

 

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