Saggi Storici sui Tarocchi di Andrea Vitali

Saggi dei Soci e Saggi Ospiti

“Triunfo da Camarino”, Novella Porretana - 1483

Di Giovanni Sabadino degli Arienti

 

Andrea Vitali, novembre 2021

 

 

Giovanni Sabadino degli Arienti, letterato, notaio e umanista bolognese del Quattrocento (c. 1445-1510), scrisse tra il 1470 e il 1492, immaginando che a narrarle fosse un gruppo di persone ritrovatosi ai bagni della Porretta, località termale nei pressi di Bologna, sessantuno novelle dette Porretane, di cui la prima ha per titolo Triunfo da Camarino. Già da noi brevemente discussa in un nostro saggio in riferimento alla follia e all’essere folli 1, per il suo contenuto deve essere messa in relazione con i Trionfi dei tarocchi.

 

Avvenne, dando inizio alla novella, che il conte Piero degli Ubaldini di Urbino necessitando di un servo che si occupasse dei suoi cavalli, assunse quale famiglio Triunfo da Camarino, un giovane che al conte apparve subito virtuoso in quanto tutto dedito alle sue mansioni. L’unica richiesta che Triunfo avanzò al padrone fu di avere a disposizione un’ora al giorno per sé stesso, cosa che il conte ben gli concedette in considerazione dell’ottimo lavoro che egli svolgeva.

 

Ora occorre chiedersi il motivo del nome Triunfo attribuito al giovane, nome che in alcune ristampe cinquecentesche venne mutato in Triumpho 2. Se diamo adito alla motivazione dell’autore, quel nome corrispondeva perfettamente al suo aspetto, cosa che spinse il padrone ad accontentare la richiesta di un’ora di libertà: “Misser Piero, vedendo Triunfo de buono aspetto, e parendoli quello conseguente al nome, il tolse, concedendoli quanto adimandava” 3. Ma a ben indagare, risulta oltremodo evidente come il nome Triunfo rispecchi la vicenda descritta, in quanto l’autore nel dispiegare la sua drammaturgia coinvolge alcuni Trionfi dei tarocchi. Sono gli stessi personaggi a confermarlo: il giovane considerato matto per la sua trasformazione in Papa e Imperatore, il Diavolo e l’Inferno, la cristiana fede - incarnata nei Trionfi dalla Papessala Ruota della Fortuna, il Mondo (più volte ricordato), Re e cavalieri. A questi aggiungeremo le parole satiriche dell’imperatore rivolte a canzonare il papa e il suo amore per i piaceri e la buona tavola, piaceri che condivideva con i suoi cardinali e vescovi, “cum li vostri figlioli cardini della Chiesia” volendo con ciò ricordare le vilipese virtù cardinali presenti nei Trionfi dei tarocchi.   

 

La novella è introdotta dalla seguente descrizione: “Triunfo da Camarino, famiglio de stalla, se conviene col patrone de volere una ora del giorno per sé; nella quale facendose imperatore, striglia i cavagli e spaza la casa, e alfin se trova svergognato4

 

Nell’ora di libertà richiesta Triunfo si ritirava nella propria stanza dove, dopo averla chiusa accuratamente a chiave, tirava una cortina di tela nera sulla quale erano dipinti il papa con i cardinali come se fossero in un concistoro, poi l'imperatore, molti re, principi, signori e duchi cristiani. Dopo di che iniziava a impersonare uno alla volta i personaggi dipinti cominciando dal papa per proseguire con l’imperatore. Un dialogo che riflette la convinzione dell’autore sul significato della presenza di queste due figure nei Trionfi: due poteri in contrasto fra loro. Se da un lato l’esortazione che il papa farà all’imperatore e agli altri principi, re e duchi dipinti sulla tela, appare inizialmente dettata da giuste ed etiche motivazioni cristiane, dall’altro a sminuirne il valore sarà il successivo intervento dell’imperatore con un’esplicita e nel contempo ironica condanna del papato, attraverso la richiesta al papa di dare per primo, quale buon pastore, il buon esempio attraverso una conduzione di vita di alta moralità. In caso contrario – ma già l’imperatore sapeva che il papa non gli avrebbe dato soddisfazione alcuna – sarebbe stato meglio per sé stesso seguire le orme del piacere e senza alcuna tema – rispondendo all’invito del papa di intraprendere crociata contro i Turchi - degli infedeli e dell’inferno, luogo minacciato dal papa quale casa finale dell’imperatore e degli altri nobili se non avessero smesso di combattersi fra loro e di promuovere il bene del popolo.  

 

Il giovane Trionfo “Incominciando in persona del papa a proporre certe cose in salute de li communi Stati cristiani, diceva: - Lo effecto de la nostra congregazione, fratelli miei e figliuoli in Cristo, si è che ve dobbiate amare l’uno l’altro insieme e avere pietosamente recomandato li nostri populi, e lassare le arme e guerre fra voi, e quelle prendere solamente in defensione de la cristiana fede, che da quelli infideli e rabidi turchi è tuttavia afflicta e cruciata. Questo mio proponimento non essendo da voi cum altro animo abrazzato, perdereti alfin la grazia de questo mondo e la gloria del cielo, e andereti a l’infernali regni, dove eternamente sarete tormentati. Si che, benedicti figliuoli, affectuosamente intendete le mie parole e sequìte el mio consiglio” 5.

 

Terminata questa invocazione, Triunfo, che precedentemente aveva indossato l’abito da imperatore con tanto di diadema sulla testa e uno scettro in mano, così rispose alle parole del papa:

 

“Padre sancto, voi diceti molto bene, e sarebbe ben facto se facessi quello che dice Vostra Sanctità, quando altri però vel credesse, e non lo abiate a male. Ma volete voi che a le vostre persuasione se creda? Cominciate prima, come bon pastore, dare exemplo a noi. E se questo exemplo non darete, io intendo quanto per me goldere il mio reame senza paura de turchi né de inferno. Nel quale me rendo certo sia bon stare, perché questa nocte ad in somnio essendomeli cum mio grande piacere trovato, giocai ala balla cum molti signori e baroni, e poi cavalcai sopra belli e sfogiati corsieri, che Cicilia, Puglia, Calabria e la Iberia simile non ebbeno mai. E ultimamente, giocando e dandome piacere cum ie piu belle e zucherate donne del mondo, vidi Lucifero, che uno palmo aveva li denti fuori della boca, uscire de uno superbo palazzo per montare a cavallo. A cui volendo per reverenzia correre a tenere la staffa, me fu decto non li andassi, perché me devorarebbe. Pur senza paura alcuna li andai; e lui, facendome le più sbudellate feste e pecerlecche del mondo, me dixe: - Figliuol mio, tu sii adesso e per sempre el ben venuto. - E, montato poi a cavallo, andò per il suo regno, abitato da infinita gente. Poi, volendome io partire per andare a mangiare, me fu decto da un gentil scudiero: - Dove vai, imperatore cristiano? Tu pòi ben tu ancora mangiare quivi. Resposi io: - Dunque se mangia in questo luoco? - Se beve e mangia alla gagliarda - me fu risposto. Alora dissi: - Da poi che quivi se golde e squaquara, non me voglio piu partire. - Si che, per il barbuto sancto Antonio, poi che li se trionfa e dasse piacere, buon tempo e chiara vita, intendo ch ’el beneplacito, quale usate voi a la domestica, sancto Padre, più che tutti li altri, cum li vostri figlioli cardini della Chiesia, me sia licito” 6.

 

Detto ciò, emettendo un festevole grido e saltellando con comica movenza, iniziava a parlare di battaglie e di azioni guerresche, e prendendo un frustino di cavallo in duro cuoio si agitava forsennato e minaccioso di fronte a quei re, principi e signori per poi rispondere, assumendo il loro ruolo, alle tante domande che una piazza piena di gente avrebbe potuto porre. Dopo di che, ponendo tutto il mondo in armi, diceva:

 

“Fratelli miei, se non sequireti il mio volere e consiglio per amore del maco e della suppa [del mago e della porzione magica], cadareti nella mia disgrazia, se ben dovesse spendere questa mia corona, - ponendo tuttavia la mano sopra una carta tonda dorata avea in capo” 7.

 

In questo modo, “becandose dolcemente il cervelletto” si persuadeva in quel tempo di essere imperatore. Terminato il tutto, ritornava a strigliare i cavalli e a pulire la casa, sempre con somma diligenza.

 

Il conte, curioso di conoscere cosa facesse Triunfo nel tempo libero richiesto, accostandosi alla sua porta e guardando attraverso una piccola fessura, assistette a tutta quella strampalata drammaturgia. Ne rimase talmente sollazzato che, ridendo a crepapelle, volle rendere partecipi anche gli altri domestici. Dopo un po’ di tempo, avvicinato Triunfo gli parlò in tal modo:

 

“O Triunfo mio, io me ralegro summamente, a consolazione de’ tuoi e della tua patria, che de servo de cavalli sii imperatore de cristiani divenuto: cosi te priego, fin che Fortuna te mantiene ne la felice summità de la sua rota, che di me a le volte recordare te piacia” 8.

 

A queste parole, Triunfo si smarrì alquanto e tolto subitamente la sua cortina dal muro dopo averla ben piegata, senza dire nulla se ne andò via da quella casa e da quella terra, e dove si diresse nessuno lo seppe mai.

 

La conclusione della nobile brigata che ascoltò la novella fu che “el defecto del pazzo si è ch’el crede essere savio (ove, se la sua pacìa [pazzia] conoscesse, se occiderebbe), e concludendo che in questo mondo non è magior riposo che contentarse del stato suo, come faceva Triunfo, il quale, secondo la sua zuca vòta, se dava da intendere esser imperatore, non più oltra curandose, chè tanto a lui valeva come proprio fusse stato” 9.

 

Al riguardo del sentire dei matti, se appaiono senza dubbio veritiere le seguenti sentenze tratte da un ulteriore libro di novelle: “Alli matti ogni matto pare savio per la sua somiglianza. Adunque quando al matto sembrera huomo piu matto, quel cotale fia più savio, peroche ‘l sacere è contrario della mattezza. Ad ogni matto li savi paiono matti. Si come a savi paiono veramente matti” 10, a ben vedere Triunfo non era pazzo, poiché se lo fosse veramente stato non si sarebbe così vergognato da fuggire dai cosiddetti savi. Potremmo affermare che preferì allontanarsi da coloro che riteneva matti?

 

Prima di concludere, occorre dire che il dialogo fra il papa e l’imperatore se da un lato riflette la credenza dell’antagonismo guelfo ghibellino che proprio i Bolognesi, come lo era Sabadino degli Arienti, ritenevano essere in qualche modo presente nelle carte dei mazzi cittadini 11, dall’altrosi pone nella scia di condanna del movimento contro il lusso della Corte Papale che permeò la vita civile e religiosa del tempo. In realtà,  quei due poteri nell’ordine dei tarocchi erano stati posti quale insegnamento di carattere educativo per ricordare ai giocatori che entrambi, imperatore e papa, svolgevano la funzione di mediatori fra gli Dio e gli uomini, e da Dio stesso voluti per governare il popolo, l’uno per il suo bene temporale, l’altro per il bene spirituale.

 

Volendo sottolineare l’importanza di questa novella per la storia dei tarocchi, occorre dire che i Trionfi non erano utilizzati solo per giocare, ma anche per altri scopi, a parte la tarda cartomanzia. Ricordiamo infatti come i Trionfi fossero usati per giochi di società 12, per satirici abbinamenti con persone 13 e come strumento di comunicazione segreta per avvisare su azioni che occorreva intraprendere 14.

 

Infine, i Trionfi potevano diventare oggetto di particolari drammaturgie composte da letterati come dimostra la presente novella, a volta impersonate da veri e propri attori nelle cui messe in scena i Trionfi fungevano da protagonisti, o meglio da interpreti, delle vicende narrate così come la tanta letteratura da noi riportata suggerisce.

 

Note

 

1. Si veda I Paradossi del Lando.

2. Giovanni Gambarin (a cura), Sabadino degli Arienti. Le Porretane., Bari, Gius. Laterza & Figli, 1914, p. 7. In Edoardo Mori (a cura) “Collana di Facezie e Novelle del Rinascimento. Testi originali trascritti o trascrizioni del 1800 restaurate www.mori.bz.it. Sabadino degli Arienti Le Porretane Testo Restaurato”, Bolzano 2017.

3. Con il nome Triumpho si ritrova, ad esempio, nell’edizione stampata a Verona per Antonio Putelleto nel 1540 che reca il seguente titolo: Porretane di M. Sabadino Bolognese dove si narra novelle Settantauna, con moralissimi documenti e dichiarationi de l’anima, con una disputa et sententia di chi debbe tenere il primo loco, o il Dottore; o il Cavaliero, overo il Conte di lor tre, cosa bellissima...

4. Sabadino degli Arienti. Le Porretane..., cit., p. 7.

5. Ibidem, p. 8.

6. Ibidem, pp. 8-9.

7. Ibidem, p. 9.

8. Ibidem, pp. 9-10.

9. Ibidem, p. 10.

10. Libro di Novelle, et di bel Parlar Gentile. Nel quale si contengono Cento Novelle altravolta mandate fuori da Messer Carlo Gualteruzzi da Fano, In Fiorenza, nella Stamperia de i Giunti, MDLXXII [1572], p. 40. Il titolo della novella, la XXXVII, è D’uno huomo di corte che havea nome Saladino. Il titolo originale Le ciento novelle antike venne sostituito con quello qui descritto e stampato da G. Benedetti a Bologna nel 1525.

11. Si veda Il Principe inventore del Ludus Triumphorum.

12. Ricordiamo a tal proposito il Dialogo de' giuochi che nelle vegghie Sane­si si usano di fare del materiale Intronato di Girolamo Bargagli, Siena, 1572. Si veda al saggio I Tarocchi in Letteratura I.

13. Si vedano al riguardo i componimenti inerenti alla moda dei tarocchi appropriati in I Tarocchi in Letteratura I.

14. Si veda Crittografia con i Tarocchi nel Cinquecento.

 

Copyright Andrea Vitali © Tutti i diritti riservati 2021