di Giuseppe M. S. Ierace
Nel 1514, il pittore e incisore tedesco Albrecht Dürer (1471-1528) avrebbe realizzato la sua più celebre incisione a bulino, "Melencolia I", un’allegoria che descrive, non tanto l’umore depresso, quanto quel saturnale stato d’animo dell'artista concentrato nella sua creazione, la qualcosa lo rende una sorta di autoritratto.
Melencolia è melanconia?
Una figura alata, seduta con aria pensosa, si trova dinanzi una pietra poliedrica, intagliata a mo’ di tronco romboedrico, circondata da simboli alchemici: un putto, un cane scheletrico, e poi clessidra, bilancia, scala a pioli, coltello, attrezzi da falegname…. Tutti occorrenti al tentativo di tramutare il piombo in Oro, ovvero a illuminare le tenebre (il pipistrello) dell’anima, grazie anche alla Cometa che risplende accanto al cartiglio con l’intestazione. La quale però potrebbe essere sostituita dall’indicazione eloquente delle chiavi, quelle della conoscenza, nel senso che il tutto andrebbe considerato come modalità d’accesso alla Gnosi.
Meisterstiche
Le altre opere del trittico, detto “Meisterstiche”, raffigurano altri esempi diversi di vita, attiva [Il cavaliere, la morte e il diavolo] e contemplativa [San Girolamo nella cella (in cui il memento mori viene richiamato dal teschio poggiato sul davanzale del finestrone a sinistra)], in diretta corrispondenza, rispettivamente con le virtù morali e teologali. Laddove “Melencolia I” sarebbe esempio di vita spirituale, legata a virtù intellettuale.
De occulta philosophia
Il tema sembra che Dürer l’abbia tratto dal libro, scritto quattro anni prima, dal medico e mistico, suo conterraneo, Heinrich Cornelius Agrippa di Nettesheim (1486-1535), dal titolo "De occulta philosophia". E difatti vi si trova nascosta un’ermetica “quadratura del cerchio”: in basso a sinistra, un globo; dallo stesso lato, in alto, un semicerchio a mo’ d’arcobaleno; ancora in alto, a destra, la corda d’una campanella delimita, come una tangente, un “quadrante numerico”, mentre sotto, sempre a destra, l’interruzione della sequenza circolare, in senso orario, fa scomparire completamente ogni forma, tonda e non. Nel costituire una sorta di progressione bruscamente interrotta, la suddivisione del cerchio negli angoli del quadro, dimostrerebbe che l’artista, subendo una procedura di morte e resurrezione, avrebbe forse infine trasceso la “Melencolia”.
Quadrato magico di Giove
Dal momento che questa veniva considerata una fase depressiva nella mente dell'artista, tutto preso dall'entusiasmo per il suo lavoro, molti astrologi del Rinascimento, come trattamento empirico, proponevano di sottoporre il soggetto alla magia d’un quadrato magico, in particolare quello di Giove, che appunto, nell’opera di Dürer, compare nell'angolo in alto a destra sotto la campanella. Tale quadrato è considerato “magico” perché in ogni riga, colonna e diagonale, la somma dei numeri fornisce sempre lo stesso risultato (nel nostro caso, quadrato di Giove: 34). Ma, oltre al computo in linea orizzontale, verticale e obliqua, a dare lo stesso prodotto è pure l’addizione delle cifre dei quattro settori quadrati, e di quello centrale, in cui si può dividere l’intero schema, così come dei quattro numeri agli angoli. Inoltre, uno di questi ultimi, sommato con la cifra dell’angolo opposto, fornisce la metà di 34. E le cifre al centro dell'ultima riga danno l’anno dell’incisione, 1514.
L’Appeso
Tre e quattro, che identificano il quadrato di Giove, hanno particolare importanza in Alchimia, in quanto rappresentano la metamorfosi dell'alchimista. Una simboleggia la vita nel mondo fisico, limitata e definita, mentre l’altra la dimensione infinita del cosmo e della mente. Il loro prodotto, 12, corrisponde al numero della carta dei Tarocchi conosciuta come l’Impiccato, o l’Appeso, a sua volta metafora dell'unione della vita fisica con la vita spirituale.
Odino e Ragnarǫk
L'origine della carta dell’Appeso viene collegata alla leggenda del sacrificio di Odino, il quale, secondo la mitologia, per 9 giorni rimase sospeso a un albero a testa in giù, onde essere ammesso all'inferno a imparare il segreto delle rune. A questo scopo dovette sacrificare un occhio e ferirsi con la propria lancia.
Il parallelo simbolico, più che con la cecità di Edipo, lo si può agevolmente fare con quella di Tiresia, nonché con la crocifissione di Cristo. Odino dovette affrontare un’immane Apocalisse distruttrice (Ragnarǫk), rappresentata nella Gotterdammerung di Wagner, ultima parte del ciclo della sua opera sull’Anello dei Nibelunghi. L’orgoglio del dio innesca dei Ragnarǫk, che a loro volta ne annullano il potere, rappresentato dalla lancia, imparentata all’analoga arma di Parsifal. Equivalente di Odino, nel pantheon classico, è il dio Ermes.
Urano, Nettuno e la perfezione dello zodiaco
L’Appeso allude al sacrificio di sé, e, nella solitudine dell’impiccagione, che lo tiene sospeso tra cielo e terra, in diretta soggezione al divino, subisce una trasformazione, per passare da una coscienza materialistica a una spirituale. Questo suo sacrificio ne favorisce al contempo la conoscenza mistica e la redenzione. In astrologia, tale carta corrisponde al segno dello Scorpione, mentre il numero 12 lo mette in corrispondenza all’ispirazione e allo sviluppo personale. A Nettuno invece s’addebita lo spirito di sacrificio, e la perfezione del numero dello zodiaco si completa nella neutralizzazione operata dall’inversione di Urano, che farebbe di questa Lama quella centrale di tutta l’operazione “transmutatoria” dei Tarocchi.
“Orribilis quantum plus potest”
Tra gli Arcani del mazzo di carte, per alcuni, l’immagine dell’Appeso sarebbe confluita piuttosto provenendo dall’affresco dell’Inferno, dipinto da Giovanni da Modena, nel 1410, all’interno della Cappella Bolognini in San Petronio a Bologna, su espressa volontà d’un tal Bartolomeo appartenente a quella famiglia, il quale volle, con disposizione testamentaria, “Orribilis quantum plus potest” la rappresentazione dell’oltretomba dei dannati, raffigurati nell’esecuzione delle pene di contrappasso.
Libri delle Ore
Dalle spettrali ramaglie di scheletrici tronchi, che di vegetale conservano assai parca apparenza, pendono due figure umane appese per i piedi nella tipica iconografia della dodicesima Lama: uno di fronte, l’altro di schiena. A identificarne la colpa di idolatria, una scritta, interrotta sulla linea dell’orizzonte dalle immagini dei malcapitati. Più in basso, tra altri dannati, che assistono inermi allo spettacolo di questa forca invertita, s’indica il fondatore di Ninive, la città idolatra per antonomasia.
I vari Libri delle Ore di Filippo II, del cardinale Ascanio Maria Sforza (conservato alla Bodleian Library di Oxford), o le Très riches heures (iniziato per conto del Duc de Berry e terminato su commissione di Carlo I di Savoia) non si allontanerebbero da questo modello iconografico.
Bagatella, gabbattèlla
Visto che “Quasi per risum stultus operatur scelus sapientia autem est viro prudentia” (Proverbi X, 23), e “il peccato che degrada maggiormente la natura umana, la snerva, l’acceca, e spogliandola della sua nobiltà e d’una sua fierezza legittima, l’asservisce alle sensazioni più umilianti” [L’abate François-Xavier de Feller (1735-1802), a proposito dell’Histoire de la Vertuese Portugaise; ou le modèle des femmes chrétiennes, dell’abate Jean Maydieu) consiste nella degenerazione dei costumi, nell’attribuire poco valore alle cose, nel farne quisquilia, stupidaggine, o “bagatelle” (da cui Bagatto, gabbattèlla, il Mago, I), (Dal saggio di Andrea Vitali El Bagatella ossia il simbolo del Peccato), in maniera del tutto contraddittoria, la sequenza delle Lame avrebbe contenuto il monito a non essere utilizzata, oppure attraverso il suo specifico ordine, tipo “ludendo intelligo”, avrebbe indicato la via mistica per l’umana salvezza.
Stolta è la Guerra delle Carte
“La Guerra al Gioco de le Carte è pari:/ Dove si perde, e vincesi tal volta,/ Dove assistono Rè, Fanti, e Danari./ Ma più la Guerra delle Carte è stolta,/ Che da Spada dipinta a Spada vera,/ Da Punto a Punta è differenza molta” (Antonio Abati: Delle frascherie, fasci tre, 1651). (Dal saggio di Andrea Vitali Follia e 'Melancholia')
I Triumphi del Petrarca e la Scala di Giacobbe
In analogia con i Triumphi del Petrarca, che attribuiscono valore gerarchico (Amore, Pudicizia, Morte, Fama, Tempo, Eternità) alle principali sei forze prodotte dalla potenza della creazione (operata appunto in sei giorni), le quali governano il macrocosmo, gli istinti umani vanno mitigati dalle virtù, così l’Amore dalla Temperanza, il desiderio d’essere onorati (il Carro) dalla cristiana Fortitudo, dato che la Ruota della Fortuna insegna come ogni successo sia effimero e tutto quanto appartiene a questo mondo sia destinato a perire.
L’Appeso, giusto prima del sopraggiungere della Morte, sarebbe caduto nella tentazione del tradimento e nel pericolo del peccato, forse proprio per aver sotteso i divini insegnamenti delle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico, altrettanti pioli della scala che, ex gradibus, sale dalla terra al cielo, come nel sogno di Giacobbe, seguendo i ventidue libri della scrittura.
Memento mori
Cosicché, come scrive Andrea Vitali ne “Il principe dei Tarocchi Francesco Antelminelli Castracani Fibbia” (Moderna, Ravenna 2013), “nel corteo dei Trionfi, che si pone come dottrina a salvezza dell’anima, la Ruota di Fortuna risulta il fulcro di questo memento mori”, per quella sua facoltà di “resettare” l’umanità, tarandola (dalla radice araba “tarh”) in vista d’una nuova misurazione e assegnazione d’obblighi e doveri.
Das Narrenschiff
Anche se, in Das Narrenschiff (1494) dell’alsaziano Sebastian Brant, o Brandt (1458-1521), l’avvertimento circa l’instabilità della Fortuna viene fornito dalla quota raggiunta (Chi troppo in alto sal cade sovente/ precipitevolissimevolmente), dall’istrionismo narcisistico (Matto è chi troppo in alto vuol salire,/ pel mondo intero spregio ad esibire), ma soprattutto dalla padronanza sugli arti inferiori (Chi sulla ruota di Fortuna siede,/ attento stia che non gli manchi il piede…). Il che ci riporta a quella caratteristica posizione della gamba nella nostra figura XII.
La prima edizione de “La nave dei folli” venne mirabilmente illustrata dal Dürer con quadrupedi dalle lunghe orecchie bizzarramente cavalcati, come ne “L'ira e i vizi delle donne” o “Chi desidera la morte altrui per raccoglierne l'eredità è trascinato dagli asinelli in Mattagonia”, ecc.
La xilografia di Dürer della Ruota della Fortuna rende protagonista un trio di somari, rappresentati, in fase di discesa, il più umano, di salita, un personaggio onocefalo e, in equilibrio precario su una zampa ripiegata, un asino per intero, che offre le terga all’osservatore.
Erim di Catenaia (1879-1938)
“La sfinge alata del Tarot X nella Rota di Fortuna – appuntava il Conte Umberto Amedeo Albertidi Catenaia,nel suo dattiloscritto rimasto parzialmente inedito “De Arte Magna sexuali” – ha le ali della projezione e nelle zampe di leone porta una spada a significare il flusso di sangue di tal segno con il che deve essere rettificata la terra rappresentata da un disco od anello, per il succedersi a rota del quale, un eone caudato (mostrante l'ano in alto) le cadrà nella materia ed un animale sorgerà alla vita eonica caudata in sostituzione del primo: chiaramente appare la necessità spagirica, ché la proiezione in tal segno e vaso inferiore non è pertinente alla attuale confluenza del ramo ascendente, bensì all’altra confluenza di demerito dal cancro alla vergine (descendit in terram) cui spetterà la distillazione di tale eone caudato da essere dipoi projettato in terra nei quattro ultimi segni caudali dello zodiaco umano”.
Per l’autore de “Il conseguimento celestiale: dottrina e tradizioni dell'esoterismo cristiano” (curato da Paolo M. Virio, 1970), allo scopo della comprensione del Verbo (“effettivo intervento diretto dell’influsso solare”), bisogna analizzare, “in una disamina già per se stessa assai trascendente e di somma difficoltà ai fini di una efficace volgarizzazione”, il “geroglifico” zodiacale, quello ebraico e il Tarocco “sacerdotale”, prospettati “nel loro senso cosmogonico umano”.
Alfabeto ebraico
L’alfabeto ebraico consta di ventidue lettere che hanno pure valore numerale. Le tre “madri”, mem (13), aleph (1) e schin (21), poste da destra a sinistra, in base alla regola di scrittura, indicano la matrice del fuoco (maesch), potenza maschile, che “descendit in terram”, mentre, in senso inverso, (schem) valgono per quell’estatico “ascendit a terra in coelum”, che implica la spagiria, secondo la regola naturale dello scaldare con il fuoco la terra affinché l’acqua evapori in aria di proiezione (Fuoco-Terra-Acqua-Aria). Laddove invece “iterumque descendit in terram” prevede il riflesso delle tre madri nella dejezione (Fuoco-Terra-Aria-Acqua) della coppia umana in Sagittario (Fuoco), Capricorno (Terra), Acquario (Aria), Pesci (Acqua).
Le sette lettere “doppie”, poiché partecipano a un tempo alle relazioni fluidiche tanto del componente umano che dell’eone, sono i geroglifici planetari sublunari dei sette pianeti che, sul settenario, vanno da destra a sinistra a cominciare da Saturno (Giove, Marte, Sole, Venere, Luna, Terra): beth (2), ghimel (3), daleth (4), caph (11), phe (17), tau (22), vau (6).
Le dodici lettere “semplici”, invece, danno conto dell’influsso solare diretto (Verbo) che si manifesta nei dodici geroglifici zodiacali applicati all’ellittica da destra a sinistra a iniziare dall’Ariete. La loro influenza si riverbera sulla gran catena del simpatico dell’anatomia umana, manifestandosi direttamente, e semplicemente (e da qui l’attribuzione di “semplici”), senza il concorso dell’eone per otto dei dodici segni, “anzi in commiato dejettivo dall’eone per gli ultimi quattro”.
“Le loro posizioni… quali centri fluidici del Verbo solare, dalla gran catena del simpatico, si proiettano sulla spina dorsale dal capo ai piedi di ciascun componente la umana bilancia”, perdendosi nell’atrofizzazione della cauda che assorbe le virtù degli ultimi quattro segni zodiacali, verso sinistra in un sesso e viceversa nell’altro.
L’Arcano della Teleurgia, o Alchimia perfetta
Mediante il regime spagirico schem, l’accoppiamento umano, esalta i luminari planetari (Sole, Luna, Mercurio: Verbo non manifestato, cielo, elemento Aria), compiendo le articolazioni (“phahal”) Ariete-Bilancia-Scorpione di entrambi i partners, mentre, dejettando il caudato negli inferi di Sagittario (fuoco), Capricorno (terra), Acquario (aria), Pesci (acqua), ovvero maesch, otterrà soltanto un “descendit in terram”.
Ai prolungamenti pseudo-caudali corrisponde la retta contenente le due spine dorsali, “comune asse di simmetria”. I fluidi dei segni che lo circondano si proietteranno alle confluenze Ariete-Bilancia, Bilancia-Ariete, Toro-Vergine, Leone-Gemelli, “doppio” Cancro.
Aquila paranatellon
Quattro sono i segni retti dalla Temperanza (XIV), nell’atto di “trasmutazione”; col travasare il liquido da un’anfora all’altra, senza spanderlo in terra, rivolge verso l’alto l’icona dello Scorpione, rendendolo così “superiore”, in quella costellazione paranatellon (che sorge insieme) dell’Aquila, la quale infatti lo sostituisce nella rappresentazione del Tetramorfo.
“Guardati, o discepolo, dalla via della ricongiunzione complementare, dal mortifero amore vampirico passionale, guardati dalla violenta continenza inerente ad una sfera ancora superiore alle tue possibilità… In medio stat virtus”.
La Stella
Tranne che alla prima confluenza Leone-Gemelli, la spagiria regna per tutti i segni dominati dal fuoco celeste (Leone), che, sotto l’influsso della freccia (zain)Sagittario, o Aria dei Gemelli, consentirebbe il versamento dell’acqua celeste, “more temperantia”, nel successivo calice del Cancro (connubio Leone-Gemelli-Cancro). I tratti pseudo-caudali proiettano le dejezioni di Scorpione, successive a quelle in terra del distillato in Vergine finale, secondo l’ordine Sagittario (XV, il Diavolo), Capricorno (XVI, la Torre), Acquario (XVIII, la Luna), Pesci (XIX, il Sole), che sono retti in equilibrio dalla XVII lama, la Stella, la quale, in quanto asse di simmetria extra-zodiacale, versa da ambedue i vasi.
Extra zodiaco sono anche Bagatto (I), Papessa (II), Imperatrice (III), Imperatore (IV), Forza (XI), Morte (XIII), Giudizio (XX), Mondo (XXII), Matto (XXI). La numerazione dei due ultimi da Erim viene invertita, mentre i segni zodiacali, da Ariete a Pesci, li fa coincidere con Papa (V), Amanti (VI), Carro (VII), Giustizia (VIII), Eremita (IX), Ruota (X), Impiccato (XII), Temperanza (XIV), Diavolo (XV), Torre (XVI), Luna (XVIII), Sole (XIX), che però Erim chiama “Gemelli”, anche se a volte, per esempio nel Belgio del XVII secolo, sono stati surrogati dagli “Amanti” (estrapolati dalla VI Lama), o da un solo fanciullo su un cavallo bianco, sul tipo dell’Eone con cui Aleister Crowley (1875-1947) sostituisce il Giudizio (XX).
Il dio simbolico del “novus ordo”, il terzo, come per Gioacchino da Fiore (circa 1130-1202), che parlava però di “Età dello Spirito Santo”, viene indicato in Hoor-Paar-Kraat (Arpocrate), il Signore del Silenzio. Il “bambino incoronato” sopra il Loto, nell’Uovo Blu, è simbolo universale del Sacro Angelo Custode, o Segreto Sé Silenzioso, la cui comprensione, come afferma Paola Amadesi, in “Aleister Crowley: l’enigma dell’occultista” (Moderna, Ravenna 2013), risulta essere “la Chiave universale per ogni mistero di Magia e Misticismo”.
Il Papa
Nel caso del connubio Ariete-Bilancia, il primo (superiore, passivo) si coniuga in basso a fuoco terroso (sangue blu, testicolo od ovaia di destra, nel sistema phallus superior), in cui l’icona dello Scorpione viene capovolta (Aquila paranatellon) per trattenere le dejezioni. La pastorale a tre croci del Papa (V lama) regge proprio questo elemento (Fuoco), dal quale sono nate tutte le cose, mentre i coniugi ai suoi piedi rappresentano la Terra.
Il dominio dell’Aria o del Piacere?
La Bilancia (superiore, attiva, sangue rosso, testicolo od ovaia di sinistra), corrisponde all’Appeso, che raffigura il completo dominio dell’Aria (gamba incrociata), pur risentendo dell’influenza dell’arcano extra-zodiacale, essenza del verbo solare che la precede, XI, quella Forza che Crowley chiamava il Piacere.
La vita inverte qui il percorso normale, trattenendo le relazioni esterne (mani legate dietro la schiena), mentre due sacchi rigonfi d’oro possono lasciare sgorgare la potenza dominatrice della spagiria o nel “piatto di merito” delle lune superiori del Cancro (“ascendit…”), oppure in quello di “demerito” della Ruota della Fortuna (“iterumque descendit…”), con dejezione nelle Case di Saturno e Giove, “lune inferiori” di Sagittario-Capricorno-Acquario-Pesci.
Giudizio degli Amanti
La Terra superiore non va fecondata, semmai purificata nella parte bassa, l’etera senza corona bersagliata dal Cupido nel Giudizio degli Amanti (VI). La Vergine invece è retta da una terra di proiezione inferiore a quella del Toro, dominato dal segno della trasmutazione (vau), relativo al verbo superiore e all’oralità della deglutizione. È questa terra di dejezione, tra le zampe leonine della Sfinge, che va rettificata dal moto della Ruota della Fortuna, forse anche attraverso quell’eonico “ano asinino”, ben messo in mostra dal Dürer.
Arsch, ass, âne…
L’ano implicitamente rimanda all’asino (arsch, ass, âne…), e, al di là del riferimento (e)scatologico alla Morte (XIII lama dei Tarocchi) e, per un certo aspetto, all’Appeso (XII), che inverte il percorso iniziatico (individuabile pure nelle due figure della Cappella Bolognini: uno di fronte, l’altro di schiena), soprattutto alla buona ventura (Fortuna) in genere (booty, in inglese fondoschiena, vuol dire anche bottino, vincita).
O-culus
Tutto ciò che i glutei contengono sono simbolo di femminilità, attrattività, sesso, felicità, che, etimologicamente, rinvia alla fecondità; e il loro potenziale apotropaico contrasta il malocchio (oculus malus).
Ojo del culo
“Il culo – scriveva Francisco De Quevedo (1580-1645) in “Gracias y desgracias del ojo del culo”(dirigidas a Doña Juana Mucha, Montón de Carne, Mujer gorda por arrobas, Escribiolas Juan Lamas, el del camisón cagado, 1628?) - è così disgraziato da essere superato dalle cose avvantaggiate in nobiltà e virtù, pur avendo più imperio e venerazione delle altre membra del corpo. A ben vedere, infatti, è il più perfetto e ben collocato di esso, e più favorito dalla natura, e poi la sua forma è circolare, come la sfera, e divisa in un diametro o zodiaco proprio come quella. Il suo posto è nel mezzo, come quello del sole; il suo tatto è tenero. Ha un solo occhio [oculus]… più necessario… di quelli del viso…”. Averlo significa aver fortuna!
“A luna anulus anno”
In questo contesto, però, l’ano avrebbe una maggiore valenza calendariale (“a luna anulus anno”), in particolare alle XIII fasi lunari che scandiscono il ciclo solare, come appunto il novilunio si pone in rapporto al flusso mestruale. XII giorni a partire dalla scomparsa del mestruo, il plenilunio femminile, corrispondente alla prima acqua (terrosa, giallo-verde), deposta nel calice del regime spagirico, e si contano altrettanti giorni XII.
Petit Charnier des innocents
Al regime successivo del versamento del vino, per azione del calore, la “negra terra” si tramuta in “oro fino al calor bianco”, biancore purificato del jod, terra “azima”, senza germi, “comment les innocents furent occis par le commandement du Roi Herodes” (Petit Charnier des innocents en la quatrièsme arche du cymetière bâtie par Nicolas Flamel en 1407).
“Un roi avec un grand coutelas, qui faisait tuer en sa présence par des soldats, grande multitude de petits enfants, les mères desquels pleuraient aux pieds des impitoyables gens d'armes, le sang desquels petits enfants, était puis après recueilli par d'autres soldats, et mis dans un grand vaisseau, dans lequel le soleil et la lune se venaient baigner”.
Questi temi ornamentali erano comuni all'epoca, tanto che, poco più tardi, nel 1408, lo stesso Duca di Berry, Giovanni di Valois, detto il Magnifico (1340-1416), avrebbe fatto scolpire un “Dit des trois Morts et des trois Vifs”, sul portale della chiesa di quel cimitero, dove, sugli archi della tomba a sud (lungo rue de la Ferronnerie), venne poi (tra il 1423 e il ’24) affrescata la grande “Danse Macabre”. Tutte Vanités, Ars moriendi, Triomphe de la Mort o Memento mori, ripresi nelle figure dei Tarocchi, sia come avvertimento, sia come lezione ermetica d’un’alchemica, necessaria, decomposizione.
“Surgite mortui, venite ad judicium Domini” (Nicolas Flamel: Le Livre des figures hiéroglyphiques, 1612).
Veneris Magna Coelestis
Dodici giorni e, nel compenetrante e ricorrente regime spagirico superiore, l’acqua diviene così pura da evaporare nell’aria, in analogia al versamento del vino ove si compie la proiezione. Riepilogando: regime di fuoco sulla terra, regime superiore d’acqua pura in aria, regime di proiezione del vapore celeste, o nettare (Veneris Magna Coelestis).
L’asino appeso
L’onocefalo crocifisso del graffito “Alexamenos sebete theon”, ricorda l'antico culto d’origini orientali e africane, attribuito anche agli Ebrei nel deserto. L'accostamento del Dio del cristianesimo all'iconografia di Seth-Tifone venne avvalorata dallo gnosticismo, memore del rituale totemico dell'antico Egitto. Il nome egiziano di Saturno, Caivan, riportato Rhaifàn nella citazione degli Atti (7:43), abbinato con “la stella del vostro dio” (Amos 5:26), nel testo masoretico, veniva di proposito vocalizzato in modo da corrispondere al termine ebraico shiqqùts (cosa disgustante). Eppure, è sul dorso del somaro che Maria, reggente il figlio in grembo, fugge in Egitto, onde scampare alla Strage degli innocenti ordinata da Erode.
Briclebrit!
Successivamente, nella fiaba raccolta dai fratelli Grimm, “Briclebrit!”, un asino espelle, come feci, monete dall’ano, proprio in riferimento a quella sua caratteristica ctonia che lo lega sia alla terra sia al sottosuolo, e quindi ai minerali preziosi.
L’asino che vola
Proprio perché animale ctonio, legato alla terra, al contrario del cavallo (Pegaso, simbolo d’ascensione e d’apoteosi), non può avere ali. Correlato dunque all'immagine del caos, all’ano, alle deiezioni e, come composto organico, alla terra (humus), diviene, da segno di recalcitrante ostinazione e superbia, metafora di pazienza e di humilitas.
Scatologia
Sostanza tellurica per eccellenza sono gli escrementi, concime per la terra, che nei suoi intimi sotterranei nasconde tesori, custoditi da tradizionali mostri, serpenti e draghi, oppure dai demoni del nostro immaginario. Simbolo onirico di ricchezza e prosperità, lo sterco resta comunque legato al sesso, al quale partecipano insieme sia somaro sia demonio, che, attraverso la mediazione delle figure dei satiri, dal primo ha ereditato parecchi aspetti (grande pene, lunghe orecchie).
Polisemia dei simboli ambivalenti
Allegoria di recalcitrante superbia e contemporaneamente di paziente umiltà, l’asino finisce allora per partecipare delle due nozioni opposte, di ignoranza e sapere. Meglio di altri animali, quindi, mette in risalto la marcata potenzialità polisemica dei simboli ambivalenti. Quelli infatti che dapprima al centro di alcuni sistemi sacrali arcaici, con l’avvento dei sistemi successivi, sono stati suscettibili d’un rovesciamento di significato. Cosicché, gli animali introdotti dai nomadi furono visti con diffidenza dagli stanziali autoctoni. Per cui, nel Rigveda, i signori dell'aurora, gli Ashvin, montano su un carro trainato da asini e, anche in Cina, questi venivano identificati quale degna cavalcatura di entità celesti e, per gli Ittiti, assursero a simbolo di regalità e saggezza; in seguito, invece, la nobiltà della cavalcatura venne loro sottratta dall’eleganza d’un altro quadrupede più slanciato ed esteticamente più attraente.
Asino d’oro
Nelle Metamorfosi, Apuleio traghetta questa concezione da una sponda all’altra d’una polisemia contraddittoria, narrando di Lucio (devoto di Iside, mutato appunto in asino, perché schiavo dei piaceri e dell'ignoranza, mista però a curiosità per la magia), posto al servizio dei sacerdoti d’una divinità solare siriana, proveniente da Emesa (il culto della quale era stato imposto in Roma da Eliogabalo), dove un'asina bianca, priva di cavaliere, incedeva quale cavalcatura dell’invisibile, nelle processioni a quella consacrate; processioni prese in seguito a modello dai pontefici, vescovi di Roma, che l’associarono all’entrata in Gerusalemme della Domenica delle Palme.
Da qui, poi, il Bottom del Sogno di una notte di mezz'estate di William Shakespeare; il racconto Pelle d'asino, ripreso da Perrault; e le “discese agli Inferi” (dal Paese dei Balocchi al ventre del pescecane) di Pinocchio, prima della salvezza da parte della sua materna Fata dai Capelli Turchini, forse un po’ meno ctonia e terribile di Iside.
Seth-Tifone
Il mito isiaco dell’antico Egitto (De Osiride et Iside di Plutarco) rende malvagio l’asino fulvo (color della sabbia del deserto), perché legato a Seth, assassino di Osiride (verde, vegetazione) e stella del crepuscolo (laddove Horus è stella del mattino), ma soprattutto agli irriducibili nemici Hyksos, connessi agli Ittiti.
Per queste popolazioni indoeuropee dell’Anatolia le lunghe orecchie dell'asino erano un simbolo regale e sapienziale, determinato alla sacralità stessa dell'orecchio che, secondo la dottrina brahmanica, poi accolta dal buddhismo (e lunghe sono le orecchie del Buddha!), costituisce l'organo attraverso il quale si accede alla conoscenza del mondo invisibile, sede del Brahman, e attraverso il quale sarebbe avvenuto il concepimento della Vergine, da parte del Verbo, mediato dall’annuncio dell’Arcangelo Gabriele.
Immacolata concezione auricolare (ὠτός, oto-, OTO)
I connotati demoniaci dell'asino, a partire dalle stesse orecchie, dallo zoccolo, ma soprattutto dal grande organo sessuale (che peraltro rinvia al culto priapico), alla stregua della stessa ostinazione dei peccatori, nell'iconografia medievale e rinascimentale attribuiti ai caratteri materiali del peccato, non sarebbero dunque altro se non eredi della suggestione di quella stessa egizia Iside, quale Maris Stella e Dea-Madre, diventata Madonna.
Oco
Nelle culture microasiatiche di Frigia e Lidia e nella tradizione persiana, divenuto espressione di prolificità, l’Asino giusto protegge l’Albero di tutte le semenze. E lo scontro tra le civiltà persiana ed egiziana, trova conferma nella risposta fornita dal rivale di Nectanebo II, Artaserse III Ochos, lo Shah achemenide più odiato e temuto, quando seppe d’aver ricevuto il soprannome di asino: “Badate che quest’asino non si mangi il vostro bue”, intendendo Apis. E difatti, quando giunse a cingere la doppia corona, non esitò a banchettare con le carni dell'ariete di Mende.
Marsia
Prediletto dal Sileno precettore di Dioniso, nel mito della sfida musicale dell’altro sileno, Marsia, il somaro adombra il conflitto tra la tradizione apollinea e l'innovazione dionisiaca nel mondo religioso greco. Il suonatore di strumenti di pelle ovina viene scuoiato dal dio vittorioso, per farne, con quel tegumento, uno sciamanico tamburo. Poiché, fra il suono del tamburo e il raglio dell'asino esisterebbe lo stesso rapporto di profondo appello alle forze rigeneratrici del cosmo, tanto che a quest'invocazione, così piena di dolore e vuota di speranza, è stato associato, in un senso tutto gnostico, l’ultimo altissimo grido di Gesù agonizzante sulla croce (Elì, Elì, lemà sabactàni?).
Re Mida
Per punirlo del suo giudizio favorevole a Marsia, Apollo avrebbe fatto crescere all’ingiusto giudice di gara, orecchie asinine, che a Re Mida ricordavano d’essere figlio d’un satiro. Egli coltivava le medesime rose di venerazione per Afrodite che avrebbero fatto riacquistare forma umana al Lucio di Apuleio; una devozione ctonia, in immediato riferimento alle sabbie aurifere dei fiumi del Ponto, svelerebbe la sua facoltà di mutare in oro tutto quel che toccava, mentre il culto taurino lo avvelenerà mediante il sangue d’un vitello. Da un lato un perissodattilo equide dall’altro un bovide, come nella grotta di Betlemme, dove peraltro uno, animale "puro", dall'unghia bifida e che rumina, rappresenterebbe il Popolo Eletto e l'altro, in quanto impuro, dall’unghia compatta e che non rumina, i Gentili.
L'asard de Bautezar
Più volte “cristoforo”, l'umile e paziente asinello, proprio per questo è stato segnato sulla schiena dalla croce portata in spalla dal Cristo, capro espiatorio dileggiato, al pari dell'animale.
I riti "di rovesciamento", i "carnevali degli asini", le "feste dei folli" celebravano ambiguamente quella potenza asinina che ha procurato alla chiesa l’oro d’Arabia, l’incenso e la mirra del paese di Saba, doni dei Magi; uno dei quali sorprendentemente legato al caso dal motto «à l'asard Bautezar», adottato dal primo signore des Baux, Hugues, sulla suggestione linguistica d’un calembour dal valore per lui, ma del tutto soggettivamente, significativo: Bale (scarpata), latinizzato in Balchius, Baucius, tradotto in provenzale Bau, prossimo al nome provenzale di Bautezar, Baldassarre. Joseph de Maistre, secoli dopo avrebbe spiegato una (non discutibile, ma proprio errata) etimologia di “cadavere”, derivandola dalla frase: "caro data vermibus", o carne data ai vermi, secondo la “cabalistica” forzatura d’attribuire un significato più profondo a un semplice gioco di parole. E continuando in questa mistificazione, si può (à l'asard Bautezar) azzardare la lettura di Saba in Caba, da cui Cabala!
La procession du Renard
Gustave Joseph Witkowski (1824-1923), nel secondo volume (Étranger) de “L’art profane a l’Eglise” (1908), descrisse la navata di Notre-Dame de Strasbourg.
“Il bassorilievo di uno dei capitelli dei grandi pilastri riproduce una processione satirica nella quale si distingue un maialetto che porta un’acquasantiera, seguito da alcuni asini vestiti in abiti sacerdotali e da scimmie che portano diversi attributi della religione e anche da una volpe chiusa in gabbia. È la processione della Volpe o della Festa dell’Asino”. L’idea prigioniera del dogma, o dell’allegoria, è simboleggiata dall’astuzia della volpe, “cani” e “porci” sono la gente comune, le scimmie sono gli emuli, imitatori che accettano ciecamente con scrupolo e dedizione, mentre i veri ministri del culto, custodi della tradizione esoterica, posta sotto il simbolo della loro soma, sono gli asini.
Balaam
Cavalcatura dei profeti veterotestamentari, nell'episodio di Balaam (Numeri 22:28-33) è l'asina che riconosce per prima l'angelo del Signore. La metafora è impiegata per indicare la materia grezza, ciò che deve subire un graduale processo di trasformazione.
Nella favola Peau d'âne, resa celebre dalla versione di Charles Perrault (1628-1703), una meravigliosa fanciulla (principessa) si trova nascosta sotto spoglie disprezzabili, allegoria d’un rivestimento per qualcosa che attende d’essere portato in superficie, come i minerali preziosi delle viscere della terra, come la sapienza celata ai più, il Fuoco interiore.
Il dio-pesce dei Caldei, Oannes, ammantato dal cielo, è quel sole all’origine di tutte le pelli mitizzate, a cominciare dal vello d’oro degli Argonauti, e di tutte le maschere totemiche, travestimenti, abbigliamenti rituali, e gioielli.
Il Leone, caratterizzato dalla lettera ebraica Teth, in relazione fra la terra superiore (jod) e il flusso congenito al nodo d’amore all’altro capo, nell’Eremita (IX), diventa una lanterna (Fuoco) protetta sotto il manto, nel mentre un bastone, o verga rivolta verso terra esplora il suolo, sostenendo il cammino d’un pellegrinaggio. Si tratta del connubio Fuoco-Terra nella relazione Cancro-Leone, del quale va purificato il flusso terroso. I Gemelli, retti dalla freccia nell’Aria (zain), si ritrovano nel Carro (VII), trainato da due animali soggiogati, su due ruote (di cui una nascosta), sopra il quale veicolo il trionfante dalla terra estende la sua verga “rigonfia di virtù estrattiva”, da deporre nelle due lunule superiori alle sue spalle. Il Cancro “doppio” si commisura sulla bilancia della Giustizia (VIII), tenuta con la destra all’altezza del ventre-recipiente, in cui si chiarifica la linfa in Acqua, mentre lo spargimento “more Temperantia” è suggerito dalla mano sinistra che impugna la spada.
Ubi nunc... adimpletiones?
La Chiesa in stile romanico-gotico della Certosa di Trisulti a Collepardo (in Ciociaria) è dedicata a San Bartolomeo, martirizzato come Marsia, e contiene un quadro dedicato alla Strage degli innocenti del napoletano Filippo Balbi (1806-1890). Tra gli altri suoi affreschi ottocenteschi, nel corridoio della farmacia cistercense, un “quadrato magico” (celebre almeno quanto il quadrante numerico di Giove, nella "Melencolia I" di Dürer), il palindromo del Sator, è stato sovrastato da un personaggio barbuto, con orecchie d'asino, fronte ampia, capelli rossicci e capo cinto da tralci di vite con grappoli d'uva. Sul petto è poggiato un ramarro verde, sopra il quale si legge "Abante", non tanto in riferimento al centauro, piuttosto al figlio di Ippotoone e Meganira, che, per aver dileggiato Demetra, venne tramutato appunto in lucertola.
Alla prima s’oppone una seconda coda, marrone, appartenente ad altro animale mimetizzato tra la folta barba canuta. Sulla spalla sinistra, una zampa caprina, dallo zoccolo fesso, completerebbe una pelliccia che non riesce a ricoprire tutto quel busto appoggiato sul piedistallo parallelepipedo, simbolo della Pietra Squadrata e Levigata. Più in basso, la rima: 'Ma il cambiar di natura/ è impresa troppo dura' si riferisce alla difficoltà di tramutare il Lucio di Apuleio, se non a certe precise condizioni. Sator Arepo Tenet Opera Rotas, il Seminatore sul Carro (deve) guidare con cura le Ruote. Riconducibile a Dioniso, e per il suo coraggio anche a Marte, l’asino, in relazione con la materia, la terra, l'isolamento, la fine delle cose, è il Saturno-Sator.
Il grammatico Apione racconta come, conquistata nel II secolo a.C. Gerusalemme ed entrato nel Tempio, il re Antioco Epifane vi avrebbe trovato, quale oggetto di adorazione, un’aurea testa d'asino. Probabilmente quello stesso idolo che, nel medioevo, furono accusati di omaggiare i Templari con un Osculum Obscenum?
Meglio d’ogni altro forse evidenzia il gioco del teatro nel teatro e il linguistico calembour, l’autore di “A Midsummer Night's Dream”, con quell’ambiguo personaggio, la cui testa d’asino viene venerata da Titania, ma che per via del proprio nome indica il posteriore.
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