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Numeri e Patristica

Il Simbolismo dei Numeri nella Patristica

 

di Mons. Lorenzo Dattrino

Questo articolo di Mons. Lorenzo Dattrino, docente di Patristica all'Università Lateranense di Roma, è tratto dal  volume Tarocchi: Storia e Magia, saggio-catalogo della omonima esposizione curata dall'Associazione Le Tarot, allestita a Bologna presso il Museo Civico Archeologico nel 1995 che vide l'autore del presente articolo far parte del comitato scientifico.  


Il nostro assunto si propone di esaminare quale uso dei simboli, nel ricorso ai numeri, appaia soprattutto nella mentalità e in varie opere dei Padri della Chiesa. Occorre però pre­mettere che non è possibile fermare la nostra attenzione unicamente sull'uso patristico, senza accennare di volta in volta, dove almeno lo suggerisca una maggiore chiarezza, all'impiego che, dello stesso numero, era stato fatto in tempi precedenti e in altre parti. Di fatto, già per la mentalità primitiva, il numero assume un significato sacrale, in quanto è lega­to a rappresentare l'immagine di oggetti che offrono un'occasione frequente di computo. Occorre pertanto tener presente che, in genere, “La sacralità dei numeri non dipende da motivi psicologici, che sarebbero uguali per tutti, ma da circostanze speciali che hanno indotto le varie genti a fissare il valore religioso di alcuni numeri piuttosto che di altri. Si può tuttavia affermare che soprattutto l'osservazione del cielo e delle grandi divisioni dell'uni­verso hanno determinato spesso presso molti popoli il carattere di alcuni numeri” (N. Turchi, s.v. Numeri sacri, in “Enciclopedia Cattolica”, VIII, pag. 1995).


Durante l'età dei Padri non esisteva uno scritto contenente un elenco relativo ai numeri richiamati nella Scrittura e tendente a chiarire il simbolo da essi significato. S. Agostino, infatti, non esclude la possibilità di una composizione, a modo di dizionario, da cui risultas­se il senso mistico dei numeri in uso nella Scrittura, e cosi conclude: “Si potrebbe pure com­pilare una registrazione con i numeri richiamati nella divina Scrittura, con il motivo del loro richiamo” (De doctrina christiana, II, 39, 59; PL 34, 62)


Ancora una premessa. Il criterio, con cui presentare qui un elenco di numeri che si tro­vano nei testi della Bibbia, non può essere, se non molto ristretto e relativo. La formula più semplice e adatta sarà quella di una enumerazione successiva, a cominciare dall'unita, in modo da offrire più che altro un saggio delle interpretazioni dei numeri singoli, offerta da qualcuno dei Padri più in vista e più incline a dare loro un significato simbolico.

 

Numero Uno - Nella teologia cristiana il numero Uno è usato in riferimento alla iden­tità ipostatica delle Tre Persone divine.


È appena opportuno indicare l'importanza e l'estensione del numero, assunta in tutto il periodo della patristica sulla questione relativa all'esigenza di sostenere, davanti ai giudici, ai pagani e agli eretici la rispondenza dell'unita e della Trinità divina. Per i Giudei era valida e unica l'asserzione del Deuteronomio: “Ascolta, Israele: Jahvé è il nostro Dio, Jahvé e uno solo!'” (Dt. 6, 4). Fin dall'inizio questa confessione giudaica fu pure professata dalla fede cristiana, modificata, s'intende, con l'aggiunta del Figlio o dello Spirito Santo. “Tutto ciò vuol dire che i Padri, quando parlano di Dio, lo fanno principalmente nel senso del Nuovo Testamento, riferendosi cioè al primo articolo del Credo, al Dio onnipotente e creatore di tutte le cose, pur allargando la titolazione divina al Figlio, anzi, anche allo Spirito Santo. Solo nei periodi posteriori gli autori cristiani, anzitutto in testi di stampo filosofico, intendono con il termine Dio tutta la Trinità, cioè la divinità unica ed eterna”(B. Studer, s.v. Dio, in DPAC, pag. 958).

 

Numero Tre - Non v' ha dubbio che il numero Tre fu in grande stima fin dalle testimo­nianze dell'Antico Testamento. Nella sua lettera a papa Damaso, Girolamo cita il passo di Isaia, in cui è detto che «Davanti a Dio i serafini gridavano l'un l'altro, dicendo: “Santo, Santo, Santo il Signore degli eserciti”» (Is. 6, 23). (Girolamo, Ep., XVIII, 6).


“La triplice ripetizione del termine Santo detta Trisagio, è una forma di superlativo. Tale acclamazione dei Serafini è di alta importanza dogmatica, come rivelazione della tra­scendenza divina, vale a dire, delle santità e gloria di Dio. La stessa acclamazione è ripre­sa nell'Apocalisse (4, 8), come pure nel Sanctus della liturgia sacrificale e nell'inno del Te Deum. Dall'Antico Testamento si passa così a un'espressione saliente della liturgia del nuovo patto” (E. Camisani, Opere scelte di S. Girolamo, 1971, pag. 300, Nota 19).

 

Sempre intorno ai vari sensi attribuibili al numero Tre, ecco Ambrogio come si esprime, richiamandosi a diversi fatti dalla Bibbia: «Elia, dopo tre anni, irrigò di pioggia la terra (IRe 11, 1-45), e così Giovanni, dopo tre anni, bagnò l'arida zolla del nostro corpo con l'acqua della fede (il battesimo). Mi domanderai: che cosa significano questi tre anni? "Ecco” sta scritto “sono tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo” (Lc 13, 7). Ci voleva un numero misterioso perche fosse restituita la salvezza alle genti: il primo anno si ha con l'era dei patriarchi - e veramente gli uomini diedero un raccolto ricco, come non ce ne fu più sulla terra - ;  il secondo con Mosé e con gli altri profeti; il terzo con la venu­ta del Salvatore. È l'anno della misericordia per il giorno della retribuzione» (Ambrogio, Commento al Vangelo di Luca, I, 36 - Traduzione di G. Coppa, Opere di S. Ambrogio, 1969, pagg. 424-425).

 

Non contento di questo riferimento, Ambrogio così commenta il soggiorno della Madonna presso Elisabetta, durante appunto tre mesi (Luca 1, 56) “Molto opportunamen­te viene ricordato che Maria prestò il suo servizio e si conformò a un mistico numero; difat­ti il motivo di quella lunga permanenza non fu soltanto un dovere di famiglia, bensì anche il progresso di un profeta così grande” (Ambrogio, Commento al Vangelo di Luca II, 29. – Traduzione di G. Coppa, op. cit., pagg. 450-451).

 

Nel De Trinitate Agostino prende in considerazione i tre giorni della permanenza del Signore nel sepolcro. Posto questo primo rilievo, egli fa eseguire certa trattazione sul valo­re simbolico dei numeri, di volta in volta richiamati nella Scrittura. Quindi arriva a questa con­clusione: “Ed ora domandiamoci: perche questi numeri nella santa Scrittura? Qualcuno potrebbe scoprire delle ragioni preferibili alle mie o anche verosimili. In ogni caso, che la loro presenza nella Scrittura sia senza portata e che la loro frequenza sia destituita di inten­zioni mistiche, nessuno sarà così stolto e così impertinente da pretenderlo. Per conto mio, le ragioni già addotte io le ho attinte sull'autorità della Chiesa così come gli anziani ce le hanno trasmesse, sulla testimonianza della Scrittura, sulle leggi dei numeri e delle propor­zioni. Ora non c'è nessuno di buon senso da andare contro la ragione, cosi pure non c'è nessuno che possa andare contro la Scrittura, così come nessun amico della pace ardirà andare contro la Chiesa” (De Trinitate, IV, 6, 10).

 

Numero Quattro - È un numero di molto valore, specialmente presso i popoli non cri­stiani dell'antichita, ma anche di tempi meno remoti. Presso i Pellirosse dell'America set­tentrionale ha valore sacro determinato dai quattro punti cardinali, a cui corrispondono colo­ri, divinità, animali e qualità fisse. Anche presso i Babilonesi il quattro simboleggiava le quattro regioni della terra. Presso gli Ebrei quattro sono i fiumi del Paradiso (Gn. 2, 10).


Il ricorso a questo numero, specialmente nelle visioni dei profeti, è quasi senza limiti. Basterà, per saggio, qualche richiamo: “In mezzo al fuoco apparve la sagoma di quattro esseri viventi, e questo era il loro aspetto: avevano sembianze umane. Ciascuno con quat­tro fattezze e quattro ali... Avevano mani di uomo sotto le ali, ai quattro lati: tutti e quattro avevano proprio fattezze e proprie ali” (Ez. I, 5-8).


Tra i Padri, una delle interpretazioni più originali sul valore del numero Quattro è data da Agostino nel commento redatto intorno alla morte e alla resurrezione di Lazzaro, a cui egli subito si appella. Dice l'evangelista: «Gesù, quando arrivò, trovò che Lazzaro era nella tomba già da quattro giorni” (Gv. 11, 17). “Intorno a quei quattro giorni molte sono le cose che si potrebbero dire per il modo con cui si esprimono (certi) passi oscuri delle Scritture, i quali passi, adattandosi alla diversità di quelli che cercano di comprenderli, offrono molti sensi”. E allora proviamo anche noi a intendere che significato sembri offrire per noi quel morto da quattro giorni. Di fatto, come nel cieco (del Vangelo) noi vi intravediamo, in certo qual modo, il genere umano, così pure, per avventura, anche in questo merito potremo suppor­vi qualche aspetto: in molti modi infatti potrà essere interpretata una medesima realtà. Quando l'uomo nasce, egli nasce già accompagnato dalla morte, poiché egli trae il pecca­to da Adamo. Così si esprime l'Apostolo: "A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e con il peccato la morte, e così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché in lui tutti hanno peccato" (Rm 5, 12). Tu hai dunque qui l'accenno a un giorno proprio della morte, quello che l'uomo trae dalla sua origine. Ma poi l'uomo cresce, comincia a raggiun­gere gli anni della ragione, in modo da comprendere la legge naturale che tutti hanno fissa nel loro cuore: “Quello che tu vuoi che non si faccia a te, tu non farlo ad altri”. Eppure gli uomini trasgrediscono questa legge, ed ecco il secondo giorno della morte. Ma la legge viene poi proclamata da parte di Dio e anche per mezzo del suo servo Mosè. Fu detto infat­ti: “Non uccidere; non commettere adulterio, ecc”. Questa legge fu perfino scritta eppure anch'essa viene disprezzata. Ed ecco il terzo giorno di morte. Che cosa resta allora? Ecco che viene il Vangelo: è predicato il regno dei cieli, dovunque viene annunciato il Cristo; viene proclamata la minaccia dell'inferno, viene promessa la vita eterna; eppure anch'essa sog­giace al disprezzo. Gli uomini trasgrediscono il Vangelo, ed ecco il quarto giorno di morte. Giustamente perciò tu potrai pensare: forse anche a costoro, essendo di tale genia, dovreb­be essere negata la misericordia? Per nulla affatto. Anche per loro il Signore non si rifiuterà di apprezzarsi proprio per risuscitarli dalla morte» (Tractatus in evangelium Johannis, XLIX, 12; CCL XXXVI, p. 426).

 

Un'altra interpretazione intorno al numero Quattro sarà richiamata da Ambrogio, è di natu­ra ben diversa, allorché, nell'Exameron, egli giunge alla conclusione del IV giorno della crea­zione: “Ma ormai, (egli scrive) il quarto giorno è finito bene, così almeno io credo. Allora com'è che molta gente suole premunirsi contro il quarto giorno, reputando dannoso intra­prendere qualche attività quando s'incontri questo numero nel quale invece tutto il mondo sfavillò di una luce novella? Allora come può presagire agli altri la fortuna, se non è stato capace di scegliersi il giorno in cui sorgere? Oppure, come mai i suoi presagi hanno valore, eccetto che per la sua origine? Che cosa dobbiamo dire inoltre della luna, che è spuntata nel quarto giorno, e al quattordicesimo del mese indica la salvezza? Forse non è gradito il nume­ro, in cui si ripete il mistero della redenzione? Ecco la ragione per cui i demoni inducono a scansare proprio questo numero, in cui è stata annientata la loro perversità. Ecco la ragione per cui i gentili vanno dicendo che non bisogna cominciarvi nulla di nulla: sanno che da quel momento i loro imbrogli cominciarono a perdere clienti, e i popoli gentili a entrare nella Chiesa. Essi indubbiamente ritengono che se la luna è nitida e senza i corni velati al quarto giorno dopo il novilunio, essa indica che il tempo rimarrà sereno per tutti i restanti giorni, fino alla conclusione del mese. Come mai, allora, non vogliono iniziare un'attività, con gli stessi auspici con cui inizia il bel tempo? Ma è ormai ora di badare che il quarto giorno non trascorra mentre vi sto parlando; scende infatti dai monti più scura la sera, la luce diventa scarsa, e le ombre s'infittiscono" (Exameron, IV, 9, 34. Traduzione di G. Coppa, op. cit., pag. 260).  
 

Numero Sei - Questo numero, presso gli antichi, ebbe interpretazioni e applicazioni diverse: talora positive, talora negative, secondo i casi. Origine lo ritiene addirittura ottimo. Riferendosi al miracolo delle nozze di Cana, allorché Gesù mutò l'acqua in vino, così si esprime: “Ben a ragione sono sei le idrie per coloro che si purificano nel mondo poiché il mondo è stato creato in sei giorni, che è un numero perfetto” (Origene, I principi, IV, 2,5 - Traduzione. di M. Simonetti, I principi, Torino 1968, pag. 504).

 

In realtà, sotto un profilo specificamente biblico, la valutazione del sei (= sei giorni dalla creazione), scadeva di fronte a quella del sette (= giorno del riposo), in quanto il sei veniva ad indicare il mondo (= peccato) (Cfr. Clemente Alessandrino, Stromata, V, 14). La stessa oscillazione si trova negli Gnostici con valutazione negativa, in quanto il sei era simbolo del mondo materiale (M. Simonetti, Origene, I principi, pag. 504, Nota 36).

 

Numero Sette – Il Sette è per eccellenza il numero astrologico sacro per i Babilonesi, per i sette pianeti, i sette mali spiriti, le sette iterazioni per ogni rito di incantesimo e di magia e di lustrazioni, ecc. II Sette è insomma il numero che indica la completezza, e significa “tutto”: “sette volte sette” equivale a “sempre”. Esso è sacro anche per gli Ebrei che lo hanno adottato specialmente nell'apocalittica: i sette cieli, i sette fiumi, quelli delle monta­gne, e nella liturgia: i sette altari, le sette fonti sacre, i sette bracci del candelabro, le sette unzioni di olio, le sette coppie di animali puri che entrano nell'arca di Noè, ecc.


Anche nel cristianesimo il Sette è un numero altamente simbolico. Sette sono i Sacramenti, sette i doni dello Spirito Santo.

 

Numero Otto - Il numero Otto portò alla formazione del sostantivo “ogdoade” e così si ebbe il complesso delle otto determinazioni divine (Abisso e Silenzio; Mente e Verità; Ragione e Vita; Uomo e Comunità di vita divina) che costituiscono il pleroma o pienezza di vita divina, secondo le teorie gnostiche dei primi secoli dell'era volgare.

 

Intorno al numero Otto è ancora Ambrogio a dare al numero un suo significato simboli­co: “L'ottavo giorno della circoncisione prefigurava la totale purificazione dal peccato che sarebbe avvenuta nell'era della resurrezione” (Commento al Vangelo di Luca, III, 56.  Traduzione di G. Coppa, op. cit., pag. 468). Ovviamente l'osservazione è stata suggerita dall'avve­nuta presentazione al tempio di Nostro Signore (Lc 2, 22).

 

In riferimento allo stesso episodio, Ambrogio non manca di fare una sua personale osservazione intorno all'età alla profetessa Anna: “Non inutilmente Luca nota gli 84 anni della sua vedovanza, poiché questa cifra, composta di sette dozzine e di due quaterne, sembra voler indicare un numero sacro” (Commento al Vangelo di Luca, III, 62. Traduzione di G. Coppa, op. cit., pag. 471).

 

Numero Dieci - Il Dieci risulta la somma di due numeri sacri, il Tre e il Sette. Dieci sono le piaghe d'Egitto; dieci le vergini della parabola; nella liturgia ebraica dieci sono le tende del tabernacolo; dieci le corna della bestia apocalittica.


Dieci risultano pure i giorni che separarono l'Ascensione di Gesù dalla Pentecoste.

 

Numero Dodici - II numero Dodici formò la base del sistema numerale dei Sumeri, pas­sato poi da questi ai Babilonesi; dodici sono i segni dello Zodiaco; dodici i mesi dell'anno; dodici le ore del giorno; dodici le parti del Paradiso; dodici le tribù di Israele; dodici i pani della proposizione; dodici gli apostoli; dodici le stelle attorno al capo della donna vestita di sole nell'Apocalisse.

Riferendosi all'episodio della “disputa nel tempio” da parte di Gesù dodicenne, Ambrogio non manca di osservare: “Quando Egli ebbe dodici anni (Lc 2, 42-46), si fa ini­ziare la disputa del Signore col suo dodicesimo anno; effettivamente questo numero, pro­prio del collegio apostolico, si confaceva all'annunzio della fede” (Commento al Vangelo di Luca, III, 63.  Traduzione di G. Coppa, op. cit., pag. 471).

 

Numero Quattordici - Di questo numero così pensa S. Ambrogio: ”La Pasqua del Signore ha preso la regola della sua consueta celebrazione dalla quattordicesima luna. Infatti, chi celebra la Pasqua, deve essere perfetto, deve amare il Signore Gesù, il quale, per amore del suo popolo, si offri alla passione con una carità perfetta. Grande è il mistero di questo numero, se il Padre ha dato per noi il suo unico Figlio, quando la luna risplende­va nel suo pieno fulgore” (De obitu Theodosii, 38).

 

 Numero Ventidue - Ecco come Origene considera il numero qui elencato: "Nella disposizione numerale, i numeri singoli contengono certa quale forza e potere sulle cose e di tale potere e forza s'è valso il Creatore dell'universo, talora per la costituzione dell'universo stes­so, talora a significare la natura delle cose singole cosi come esse ci appariscono. Ne segue allora che, in base alle Scritture, occorre osservare e derivare quegli aspetti che singolar­mente appartengono ai numeri stessi. E in realtà occorre non ignorare che i libri stessi dell'Antico Testamento, come gli Ebrei li hanno trasmessi, sono Ventidue, e ad essi a ugua­le il numero degli elementi ebraici; e questo non senza motivo. Come infatti Ventidue lette­re sembrano essere l'introduzione alla sapienza e alla dottrina impressa con queste figure negli uomini, cosi pure i Ventidue Libri della Scrittura costituiscono il fondamento e l'introdu­zione alla sapienza di Dio a alla conoscenza del mondo" (Select. in Ps l - PG 12, 1084).

 

In altre parole, Origene "riferendosi ai 22 libri ispirati dalla Bibbia scorge nelle Ventidue lettere che compongono l'alfabeto ebraico, una introduzione alla sapienza e agli insegnamenti divini impressi negli uomini" (A. Quacquarelli, s.v. Numeri, in DPAC, pagg.2447-2448).