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L'origine massonica del tarocco esoterico

 

di Gerardo Lonardoni

 

Alcuni anni fa è uscito per i tipi delle edizioni Mimesis il volume Il segreto dei Tarocchi massonici, con allegato mazzo di carte appositamente disegnate con iconografie originali; fra i coautori figura un nome ben noto come Morris Ghezzi. Un altro mazzo con iconografie originali e libretto esplicativo dal titolo Tarot maçonnique è uscito in Francia nel 1987; l’autore era Jean Beauchard. Quest’ultimo mazzo presenta un’interpretazione massonica del Tarocco più approfondita ma mancano i riferimenti alla storia comune delle due tradizioni; per tale motivo ho scritto diversi articoli e un libro, La Via del Sacro, nell’intento di portare a conoscenza del pubblico i profondi e ancora in gran parte inesplorati legami che s’intrecciano fra Tarocchi e Libera Muratoria.

 

Si crede abitualmente che i Tarocchi siano le carte divinatorie per eccellenza: nulla di più falso. Anticamente venivano usate per la divinazione le carte da gioco ordinarie, del genere delle odierne “romagnole” o della loro versione francese, e anche tale pratica è attestata assai sporadicamente. La cartomanzia fino a tempi piuttosto recenti era una pratica divinatoria assolutamente trascurabile, di cui gli antichi trattati di magia come quelli di Paracelso e Cornelio Agrippa non fanno alcun cenno. L’uso dei Tarocchi per la divinazione diviene ordinario solo a partire dalla fine del Settecento, quando essi erano diffusi in Europa da almeno quattro secoli.

 

Ma nel frattempo era accaduto qualcosa di molto importante.

 

A partire dal 1773 un erudito francese, di origine svizzera e di religione protestante, il cui nome era Antoine Court de Gébelin, aveva pubblicato una serie di volumi di un’opera monumentale dal titolo Le Monde primitif. La stessa Famiglia Reale ne prenotò un centinaio di copie; apparvero nove volumi dell’opera, prima che la pubblicazione venisse definitivamente interrotta dalla morte dell’Autore nel 1784.

 

Il “mondo primitivo” di cui parla De Gébelin è l’epoca primordiale dell’umanità, che non è affatto vista come un periodo di selvaggi ignoranti, ma tutt’al contrario come un’età dell’oro in cui la civiltà umana era unica e indivisa: esistevano un solo linguaggio, uguali costumi, una cultura comune ed una sola religione. Court de Gébelin offriva qui una visione della storia della civiltà che aveva qualche parentela con il “buon selvaggio” del suo contemporaneo Jean Jacques Rousseau; ma l’esoterista francese, rispetto al filosofo, era convinto di poter riportare alla vita quell’antica civiltà primordiale, mediante l’analisi comparata dei miti e dei linguaggi tuttora esistenti, da cui contava di risalire alla loro comune origine.

 

Di quest’opera gigantesca, ricca di ambizioni ma assolutamente carente sul piano storico e scientifico, oggi sarebbe scomparso anche il ricordo, se non fosse per un breve saggio contenuto nel libro VIII dell’opera, che si apre con un prologo famoso fra tutti gli studiosi del Tarocco e ampiamente riportato:

 

“Se ci apprestassimo ad annunciare che, ai nostri giorni, sussiste un’Opera degli antichi Egizi sfuggita alle fiamme che hanno distrutto le loro superbe biblioteche, un’opera che contiene la più pura dottrina degli Egizi su alcuni interessanti argomenti, chi non sarebbe impaziente di conoscere un libro tanto prezioso, tanto straordinario! E se aggiungessimo che questo libro è molto diffuso in gran parte dell’Europa, che da secoli va per le mani di tutti, siamo certi che la sorpresa aumenterebbe e probabilmente salirebbe al colmo se arrivassimo a sostenere che nessuno ha mai supposto che questo libro – che possediamo come se non lo possedessimo, e di cui nessuno ha mai tentato di decifrare un solo foglio – è egizio, che il risultato di tanta squisita sapienza viene riguardato come un mazzo di strane figure prive di senso! Chi non penserebbe che scherziamo o che vogliamo approfittare della credulità degli ascoltatori?”

 

Con tali parole, Court de Gébelin annunciava al mondo degli eruditi della sua epoca che il Tarocco è il solo libro egizio sopravvissuto alla distruzione delle loro biblioteche, aggiungendo che nessuno prima di lui ne aveva intuito l’illustre origine.

 

L’affermazione del de Gébelin e le poche pagine da lui dedicate al Tarocco sono state il punto d’inizio – come la pallina di neve che origina la valanga – di un movimento mondiale d’immani proporzioni, in cui migliaia di ricercatori d’ogni luogo ed epoca continuano a sfornare libri per interpretarne il simbolismo, e artisti famosi come Dalì, Guttuso e Balbi creano sempre nuove iconografie dedicate o ispirate al Tarocco.

 

Sarà proprio in seguito agli scritti di Court de Gébelin che prenderà piede la pratica cartomantica con i Tarocchi, in cui divennero celebri Etteilla e la signorina Lenormand, mentre prima dell’erudito francese essi erano usati quasi esclusivamente a scopo ludico.

 

Nell’ambito degli studi accademici il de Gébelin è considerato sostanzialmente un mistificatore, che ha inventato di sana pianta la leggenda dei Tarocchi egizi e l’ha diffusa con la sua opera storico-mitologica. Credo di essere stato il primo in Italia, a fornirne una visione alquanto diversa.

 

L’erudito francese occupava a Corte una posizione di rilievo, essendo uno dei Censori Reali. Era un degno figlio del Secolo dei Lumi, ma soprattutto – per i fini che si propone il presente articolo – era un esoterista e un Libero Muratore di spicco.  Era entrato in Massoneria nella Loggia parigina Les Amis Réunis; quindi si unì ad una Loggia famosa, Les Neuf Soeurs, di cui facevano parte i più illustri personaggi della sua epoca in ogni campo, dagli scienziati Lalande e Benjamin Franklin al filosofo Voltaire, al rivoluzionario Danton. Nel 1777 tenne un ciclo di conferenze nel tempio della Loggia principale del Rito Scozzese sui significati allegorici dei gradi massonici. Fu poi tra i padri fondatori dell’Ordine dei Filaleti, filiazione della Les Amis Réunis in cui confluirono in seguito anche diversi membri dell’Ordine degli Eletti Cohen, che si era dissolto nel 1781 ed il cui ultimo Gran Sovrano affidò gli archivi del suo Ordine appunto ai Filaleti. L’appartenenza del de Gébelin al circuito esoterico settecentesco è quindi un dato di fatto, e per tale motivo ho sostenuto, nel La Via del Sacro, che egli non inventò nulla riguardo al Tarocco. Quanto egli diffuse sull’argomento doveva essere invece il frutto di conoscenze riservate cui aveva avuto accesso nelle Logge che frequentava; tali conoscenze probabilmente già all’epoca del de Gébelin erano diventate spurie, e non fosse stato per la sua opera si sarebbero definitivamente disperse. Non sappiamo neppure se egli fosse autorizzato a rivelarle – lo storico Giordano Berti ne dubita – né sappiamo se le riferì correttamente o in modo distorto, per insufficiente conoscenza dell’argomento o addirittura intenzionalmente.

 

Quando il mio libro era già stato dato alle stampe, appresi che in Inghilterra era uscita un’opera di taglio accademico scritta da tre dei maggiori studiosi contemporanei di storia del Tarocco: l’inglese Michael Dummett, filosofo e docente dell’università di Oxford, considerato il massimo esperto mondiale di storia delle carte; l’americano Ronald Decker, e il francese Thierry Depaulis. Il libro, dal titolo A wicked pack of cards,  non è mai stato tradotto in italiano; i tre illustri autori non solo sostenevano quanto anche a me sembrava ovvio – e cioè che il de Gébelin non inventò nulla riguardo al Tarocco, ma diffuse idee che circolavano nelle Logge della sua epoca – ma lo dimostravano in modo storicamente ineccepibile sulla base dell’esame accurato dei documenti originali (1).

 

In una nota a piè di pagina del trattato sui Tarocchi contenuto nell’opera del de Gébelin, si trova anche un’interessante osservazione:

 

“Ventidue tavole formano un libro ben poco voluminoso; ma se, come appare verosimile, le Tradizioni primordiali sono state conservate nei Poemi, una semplice immagine, capace di fissare l’attenzione del popolo, al quale veniva spiegato il fatto, gli serviva di supporto mnemotecnico, al pari dei versi che le descrivevano” (2).

 

La più probabile spiegazione del brano è che, se le carte con le loro immagini simboliche erano sopravvivenze di antiche sapienze, ad esse andavano certamente aggiunte didascalie, eventualmente in forma di poemi; si può ipotizzare che all’epoca del de Gébelin queste aggiunte verbali fossero ancora esistenti, o che se ne fosse conservata la memoria nei circoli occultistici del tempo.

 

De Gébelin fa poi un’affermazione che rivela la sua acutezza: l’aspetto ludico del Tarocco è stato il mezzo con cui la dottrina segreta degli Egizi ha potuto perpetuarsi attraverso i secoli, sfuggendo al vigile occhio dell’Inquisizione. Così si esprime lo scrittore francese:

 

“La forma frivola e leggera di cui si è rivestito questo Libro gli ha consentito di trionfare di tutti i Tempi e di pervenire fino a noi in una forma sostanzialmente fedele, e la stessa ignoranza nella quale eravamo rimasti circa il suo vero significato ha costituito, per così dire, il prezioso salvacondotto grazie al quale ha potuto attraversare incolume i Secoli, senza che qualcuno fosse tentato di toglierlo dalla circolazione” (3).

 

Anticipando Edgar Allan Poe, l’occultista francese dice giustamente che il modo migliore per celare qualcosa di prezioso e renderlo invisibile, è porlo sotto gli occhi di tutti in un aspetto privo di ogni attrattiva.

 

L’ipotesi dell’origine egizia del Tarocco non ha naturalmente retto al vaglio della storia; tuttavia, in un articolo che ho pubblicato sul web dal titolo Antoine Court de Gébelin e le origini del Tarocco esoterico, ho messo in evidenza diverse incongruenze in quanto l’erudito francese scrive (4).  L’ipotesi che ritengo più probabile, è che egli abbia intenzionalmente mescolato a quanto aveva appreso nelle Logge dei dati non corretti, per preservare un supposto segreto cui probabilmente si riteneva vincolato.

 

Dopo il de Gébelin, furono spesso Liberi Muratori a portare avanti le conoscenze sui Tarocchi: in ordine cronologico il primo fu il già citato Etteilla, anagramma del suo reale patronimico Alliette, celebre cartomante e alchimista, contemporaneo di Court de Gebelin. Egli costituì e diresse a Lione un rito massonico in sette gradi, detto Des parfaits initiés d'Egypte, fino alla sua morte, avvenuta nel 1791.

 

Dopo Etteilla dobbiamo citare Alphonse Louis Constant (1810 - 1875) che volle ebraicizzare il proprio nome in Eliphas Levi, aderì all’ala socialista della Massoneria francese e, nel clima alternativamente rivoluzionario e restauratore che si respirava nella Francia della prima metà del XIX secolo, patì per questo motivo diverse volte il carcere. Levi ricollegò la dottrina dei Tarocchi alle speculazioni cabalistiche e, aggiungendovi del suo, creò un completo sistema simbolico, teurgico e magico.

 

Quindi Oswald Wirth, Libero Muratore di nazionalità svizzera, che scrisse un libro considerato una pietra miliare negli studi esoterici del Tarocco: “Le Tarot des imagiers du Moyen Age”. Al libro erano abbinati gli Arcani Maggiori, opera dello stesso Wirth, che era stato discepolo e segretario di un celebre occultista ottocentesco, Stanislao de Guaita. L’Autore dichiarava esplicitamente di voler riportare l’iconografia dei Tarocchi al simbolismo medievale delle cattedrali, ed il suo libro, trattandosi dell’opera di un Libero Muratore di rilievo, costituiva un importante elemento a sostegno della comune origine delle due Tradizioni, ed un tentativo di “ricondurre alle proprie origini” l’iconografia degli Arcani.

 

Contemporaneo di Wirth fu il massone inglese Arthur Edward Waite, autore di uno studio sui Tarocchi e soprattutto di un mazzo, illustrato dalla pittrice inglese Pamela Colman Smith, che è attualmente il più utilizzato nei paesi di lingua anglosassone, ov’è continuamente ristampato e diffuso in milioni di copie.

 

Furono quindi Massoni di grande spessore culturale ed esoterico a far conoscere e diffondere i Tarocchi nel mondo. Attualmente case editrici come lo Scarabeo in Italia, la Llewellyn americana e l’AGMuller svizzera pubblicano ogni anno centinaia di mazzi nuovi con iconografie ispirate a temi di storia, mitologia, esoterismo, perfino scienze fisiche; è recente l’uscita del Quantum Tarot ispirato alla fisica quantistica. Il Tarocco è un alfabeto universale i cui simboli si possono adattare ad esprimere compiutamente qualsiasi contenuto.

 

Il Tarocco ha ricevuto l’attenzione di famosi artisti, come abbiamo visto sopra, e di scrittori come Italo Calvino, autore del romanzo il Castello dei destini incrociati, in cui il principale protagonista è proprio il Tarocco, nelle sue due espressioni più antitetiche: un raffinato mazzo miniato quattrocentesco, e un popolano mazzo da osteria del modello “Tarocchi di Marsiglia”. Ma è nell’ambito della psicologia del profondo e dell’esoterismo che i Tarocchi hanno ricevuto il riconoscimento più importante, da parte di due Autori che avevano concezioni molto diverse fra loro e fra i quali non correva affatto buon sangue: lo psicanalista svizzero Carl Gustav Jung e il “decano” dei tradizionalisti francesi René Guènon.

 

Nella prima metà del ‘900, epoca in cui entrambi scrissero, la storia del Tarocco non era ancora stata studiata approfonditamente e con metodo scientifico, come invece è avvenuto a partire dall’opera pionieristica di Gerard van Rijnberk: “I Tarocchi – storia, iconografia, esoterismo”, uscita nel 1947. Da tale data le scoperte storiche si sono succedute ed oggi disponiamo di documentazione ben più ampia rispetto a Jung e Guènon, sebbene ancora sussistano molte incognite sull’origine del Tarocco. I due Autori sopra citati non poterono dunque dedicarsi in modo sistematico al Tarocco, su cui mancavano ancora informazioni scientificamente valide; ma gli dedicarono comunque citazioni sparse nelle loro opere, che rendono evidente l’importanza che essi annettevano a quei simboli arcani.

 

Esiste in rete la trascrizione di un documento contenuto nella biblioteca dello Jung Institute di New York, che riporta le brevi note che Hanni Binder prese delle descrizioni di Jung in tedesco, quando le parlava delle carte dei Tarocchi. La descrizione verbale di Jung degli Arcani Maggiori è basata sulle carte del Tarot de Marseille dell’editore Grimaud, pubblicato nel 1930 ma basato sull’iconografia di mazzi risalenti almeno al Seicento; egli sentiva un’affinità fra il simbolismo di quelle carte e le sue letture di testi alchemici. Ho tradotto il testo e a mia volta l’ho messo in rete sul sito della Associazione culturale “Le Tarot”, cui faccio rinvio per gli approfondimenti (5).

 

E’ interessante qui rilevare che il nonno di Carl Gustav Jung, medico come lui e suo omonimo, fu Gran Maestro della Loggia Elvetica e anche il nipote probabilmente vi fu affiliato.

 

Anche René Guénon, fiero avversario di Jung al quale imputava di svilire gli antichi insegnamenti tradizionali, utilizzandoli per la cura dei malati di mente, ebbe un’alta considerazione del Tarocco sotto il profilo esoterico.

 

Guénon approfondì lo studio delle forme di spiritualità che riteneva ortodosse, per trovarne l’origine comune in una supposta tradizione primordiale, la cui sede sarebbe stata un centro spirituale ormai passato in occultamento. Egli affermava che la reintegrazione dell’uomo decaduto della nostra epoca può avvenire solo mediante una iniziazione regolare, come quella massonica oppure il battesimo cristiano, conferita da un maestro qualificato e seguita dalle pratiche spirituali previste nella forma tradizionale cui appartiene quell’iniziazione.

 

Nel corso della sua ricerca René Guénon incontrò anche l’opposto della tradizione primordiale, che definì “l’Antitradizione”: ovvero forme completamente degenerate e “invertite” di essa, che potevano condurre l’uomo, anziché a ritrovare la via verso il Sacro, alla definitiva disgregazione spirituale e morale. Questa Antitradizione avrebbe trovato il suo culmine nel materialismo della nostra epoca, che avrebbe anche avuto l’effetto di far risorgere quegli aspetti psichici inferiori che costituiscono l’antitesi della vera spiritualità. Con queste premesse, ci si potrebbe aspettare che Guénon respingesse con sdegno il Tarocco, di cui nessuno conosce l’esatta origine e che oggi viene purtroppo usato soprattutto dai cartomanti per predire il futuro.

 

Tutt’al contrario, egli ritenne che il Tarocco si ricollegasse alla Tradizione primordiale, e che la sua simbologia, malgrado fosse passata per secoli attraverso l’opera di cartai ignoranti, avesse conservato integralmente la sua valenza esoterica. Era tuttavia del parere che non ci si potesse accostare ai suoi simboli e alla conoscenza che celavano, senza la massima prudenza. Scriveva  infatti di vedere nel Tarocco:

 

“… i residui di una scienza tradizionale indiscutibile, qualunque sia stata la sua origine reale, benché caratterizzata da aspetti assai tenebrosi” (6).

 

Possiamo ipotizzare che secondo Guénon il Tarocco, residuo di forme tradizionali ma ormai privo di rapporto diretto con ogni iniziazione ortodossa, esponesse chi lo praticava al rischio di venire risucchiato dalle “forze dal basso” contro le quali egli metteva in guardia chiunque si avventurasse sulla via spirituale senza essere saldamente ancorato ad una tradizione regolare. Guénon doveva vedere nella pratica della divinazione o della meditazione con le carte un inutile aprirsi a pericolose influenze psichiche, contro le quali gli arcani stessi a suo parere non offrivano alcun valido scudo: si tratta tuttavia della sua impostazione rispetto all’esoterismo, su cui molti altri Autori non concordano, soprattutto per quanto concerne l’indispensabilità di una iniziazione “regolare”.

 

Guénon riconosceva alla Libera Muratoria la discendenza dalla tradizione primordiale e riteneva che l’iniziazione massonica conferita da un maestro qualificato fosse realmente in grado, almeno potenzialmente, di aprire le “porte interiori” dello spirito. Poiché la conoscenza occulta relativa ai Tarocchi era, come abbiamo sopra esposto, inizialmente conservata nelle Logge settecentesche da cui il de Gébelin la trasse, finché esso fu utilizzato in quell’ambito, doveva essere considerato un mezzo di trasmissione del sapere assolutamente valido e regolare.

 

Possiamo quindi trarre le nostre conclusioni da quanto fin qui esposto: il Tarocco non è e non fu mai uno strumento per la divinazione. Quest’uso prese vigore solo in epoca molto tarda, in seguito alle “rivelazioni” del de Gébelin; ma si tratta di un’utilizzazione di tipo “inferiore”.

 

Il Tarocco costituiva invece probabilmente un insieme iconografico progettato per rappresentare, in forma simbolica, il cammino spirituale dell’iniziato verso la propria autorealizzazione. Per tale scopo dovette essere usato nelle Logge settecentesche, come una sorta di manuale esoterico ad immagini, insieme probabilmente ad aforismi o brevi spiegazioni verbali di ciascuna figura. Questo sapere era considerato esoterico e lo stesso de Gébelin lo espose solo parzialmente e in forma contraddittoria, forse anche intenzionalmente. Per tale motivo gli studi esoterici sul Tarocco continuano tuttora, nell’intento di giungere ad estrarne il sapere che si ritiene sia celato nelle sue complesse simbologie.

 

 

t Massonique

 

                                                                                                Tarot Maçonnique

 

Note

 

1 -  Michael Dummett, Ronald Decker, Thierry Depaulis, A wicked pack of cards,  III  capitolo,  St Martin Press, 1996

2http://priory-of-sion.com/biblios/links/gebelin.pdf, p.35

3 - Ibidem, p. 4

4 - http://www.associazioneletarot.it/page.aspx?id=192

5 - http://www.associazioneletarot.it/page.aspx?id=196

6http://simbolismoyalquimia.com/tarot/tarot-guenon.htm